Questa storia è diversa. Parla dell’attentato di Sarajevo, una piccola storia nella grande Storia. Ne parleremo meglio più avanti, ma intanto, una foto mi riporta molti ricordi, e una piccola curiosità piuttosto inedita.
Nel 1997 ero stato comandato come artificiere in missione proprio a Sarajevo, in Bosnia-Herzegovina. Il Comando italiano si era insediato nell’ex-ospedale pediatrico “Zedhra”, pesantemente devastato dalla guerra, perché si trovava proprio sulla linea di confrontazione serbo- bosniaca. Tutta la facciata nord era crivellata di cannonate e mitragliate. Negli scantinati avevamo rinvenuto molti cadaveri.
Intorno al grande edificio intitolato a una benefattrice Mordecai Zedhra c’erano diversi campi minati protettivi, che noi del Nucleo Bonifica Ordigni Esplosivi (B.O.E.) piano piano abbiamo bonificato.
Oggi l’ospedale è stato ristrutturato e funziona alla grande; sono contento di averci messo un pochino anche del mio. Per svolgere il nostro compito specifico, quello di rimuovere mine e bombe dal territorio, noi del B.O.E. utilizzavamo spesso, come accompagnatori, militari dell’ex-esercito serbo e bosniaco, che in base agli Accordi di Dayton dovevano fornire collaborazione e tutte le informazioni possibili per agevolare il nostro compito. Mappe, carte militari, documentazione tecnica ecc. tutte informazioni che aiutavano il difficile compito di bonifica dagli ordigni.
Il miliari serbi e bosniaci ci accompagnavano sui luoghi di combattimento da bonificare. Insieme a loro avevamo assunto alcune interpreti, per dialogare e capire meglio la difficile lingua bosniaca e serba. Le interpreti erano assunte rigorosamente nelle due fazioni, serbe per i lavori in territorio serbo, e bosniache per il rimanente territorio. Impensabile a quel tempo, andare con un interprete serbo a operare in Bosnia e viceversa, c’era da rimanerci; bene che andava finiva a sassate. L’odio tra le parti era una cosa seria e non si spegne con una firma su una accordo. Occorre tempo; spero che oggi, dopo 25 anni siano cambiate le cose, ma la vedo dura. A Kososka Mistroviza si scambiano fucilate ogni tre per due ancora oggi.
La foto che ho ritrovato mostra riporta il mio team in operazioni;
il Maresciallo oscurato detto “Sax”, la ragazza serba bionda si chiama Svetlana Povic e il piccoletto era un Ten. serbo soprannominato “Excalibur”. Era stato un soldato molto efficace durante l’assedio di Sarajevo e ci aveva raccontato e mostrato cose davvero agghiaccianti.
Svetlana invece prima della guerra era stata fidanzata con un ragazzo che aveva una pizzeria a Trieste e per questo parlava benissimo l’italiano. Per lavorare con noi aveva dovuto “integrare” le sue conoscenze di italiano con la parte esplosivistica che più ci serviva, traducendo termini come main charghe – carica base, booster – carica iniziatrice, pin – spillo di sicurezza, fuse – detonatore, ordnance – ordigno, catdrige – cartuccia, guns – cannone, step – passo, ecc. In questa foto siamo sminando un campo minato a Dobrinja, a sud di Sarajevo, sulla linea di contatto tra i due schieramenti.
Lavorando a contatto per molto tempo era giocoforza che si sviluppassero dei contatti di amicizia abbastanza serrati. Parlando di Storia, Svetlana mi fece vedere il famoso Ponte Latino, lungo il fiume Miljaca, che scorre in mezzo alla città, e dove si svolse la scena finale dell’attentato di Sarajevo.
La freccia indica punto esatto dal quale lo studente serbo Gavrilo Princip sparò due colpi mortali di pistola alla Contessa Sophie Chotek e all’Arciduca Francesco Ferdinando, il 28 giugno 1914, scatenando una reazione a catena che portò alla Prima Guerra Mondiale. Nell’edificio all’angolo prima c’era un caffè, lo Schiller’s Delicatessen di un commerciante ebreo; oggi c’è una libreria.
Nel caffè Moritz il giovane Gavrilo si era recato poco prima l’attentato, sconsolato e deluso, perché i suoi complici precedentemente dislocati lungo il percorso e muniti di bombe a mano e pistole, avevano mancato o sbagliato per vari motivo l’agguato.
Poi il destino aveva riportato l’auto con i reali a fermarsi incredibilmente proprio davanti a lui, che non si lasciò scappare l’occasione completando l’operazione criminale. Tragicamente. Trasse di tasca la pistola e sparò due soli colpi mortali. Definitivi e iniziali degli altri colpi avrebbero prodotto sei milioni di morti.
Uno come me, che la Storia la beve a colazione, era affascinato dalla circostanza che mi era capitata. Emozionante.
Il punto era quello preciso nella famoso ultima foto prima dell’attentato. Ero nella Storia!
L’ interprete Svetlana, che aveva studiato Lettere, era orgogliosa di mostrarmi queste cose, perché lei era serba, come Gavrilo. Per loro è un vero eroe; per i bosniaci un criminale terrorista.
Le autorità comunali di Sarajevo tengono in magazzino due targhe con le stesse dimensioni, ma murare nel punto preciso, secondo chi amministra la città: in quella scritta in cirillico = serbo, Gavrilo Princip è descritto come un eroe, patriota. Nell’altra scritta in bosniaco, …Gavrilo è indicato come un criminale terrorista bandito ecc. ecc.
Un pomeriggio di una domenica, poco prima di venir via in fine missione, Svetlana, che conosceva la mia passione per la Storia e in particolare per quella storia dell’attentato, mi invitò a incontrare una sua vecchia parente, una seconda zia, che viveva a Pale, una piccola enclave della Republika Srpska, a quindici chilometri da Sarajevo. La Brigata Italiana aveva lì un distaccamento di Incursori, chiamato “Andromeda”, e fu facile per me trovare un motivo per rimanere un fine settimana a Pale per poter parlare con questa interessante signora di oltre 90 anni. Ci trovammo in un caffè, accompagnata da Svetlana la nipote, che traduceva e da Excalibur, che prestava servizio nella vicina e famigerata caserma serba, la “Famos-Koran”; eravamo diventati “quasi” amici.
La anziana signora che si chiamava Vesela era del 1898; all’età di sedici anni viveva con i genitori serbi a Gorbaviza, il quartiere serbo a nord di Sarajevo. Viveva il mondo dell’insurrezionalismo e frequentava in maniera assai libertina (come mi disse), un caffè nel colorito quartiere turco della Baščaršija.
La sera precedente l’attentato, il 27 giugno del 1914, nello stesso caffè, Vesela aveva conosciuto un tipo strano ma curioso, un ragazzino magro, spaurito, affamato. Era un serbo che veniva da un piccolo villaggio, Obljai, nel nord. Aveva fatto un lungo viaggio e qui a Sarajevo risiedeva da alcuni parenti. Viveva il sogno della Grande Serbia che condivideva con tutti i frequentatori serbi del caffè… e quindi anche con Vesela, che alla età di sedici anni, era così carina da far girar la testa a molti uomini più grandi di lei.
Quel giorno parlando tra di loro, capirono di avere molti punti in comune. La faccenda cominciava a intrigare. I ragazzi stanno bene insieme, e mentre scendeva la sera Gavrilo invitò Vesela a fare una passeggiata in un luogo più romantico: il grande Cimitero Groblje Sveti a Nord di Sarajevo!
Gavrilo era in qualche maniera misterioso e affascinante e a Vesela piaceva; non ebbe problemi ad accompagnarlo fino al cimitero. Stava bene con lui. Li nel parco probabilmente gli ormoni e la tensione fecero il loro lavoro. Gavrilo apparteneva a una setta ascetica, e aveva fatto un giuramento di castità per arrivare in forze fino al momento dell’attentato; niente sesso, ne alcol ne fumo. Ma a vent’anni, (per la precisione 19 e 11 mesi, questo particolare gli eviterà la condanna a morte), la vicinanza di una ragazza (a suo dire carina), era irresistibile. La pressione amorosa di Gavrilo divenne… impetuosa. La povera Vesela resisteva, ma era in difficoltà a respingere i dolci ma decisi assalti del giovane serbo. Gavrilo allora decise di tentare il tutto per tutto. Pur di espugnare la virtù della bella, per farla intenerire e quindi cedere… le raccontò che il giorno dopo lui sarebbe morto, e che quella era l’ultima sera che gli rimaneva di vita! Gli raccontò che lui avrebbe ucciso l’Arciduca in visita, che faceva parte di una setta di terroristi e che di qui e che di là, e comunque dopo l’attentato si sarebbe suicidato con una fiala di cianuro! (non gli riuscirà a suicidarsi, perché il farmacista gli aveva venuto per pochi soldi del cianuro scaduto; vomiterà anche l’anima ma rimarrà vivo…). Che gli facesse questo regalo! Era l’ultima sera della sua vita! E che diamine…
Vesela sempre più stupita e impaurita, cominciava a credere di essere davanti ad un maniaco, e allora Gavrilo per rafforzare la sua versione e farla cedere, gli mostrò la pistola. Questa ultima cosa sortì esattamente l’effetto opposto! La ragazza a questo punto ebbe paura e scappò di corsa a casa sua, pensando che di balle dai ragazzi ne aveva ascoltate tante, ma questa le superava tutte! Questo era matto bell’ammodo! Gavrilo sconsolato tornò alla sua cameretta e al mattino andò come andò. Due colpi che innescarono una guerra!
La polizia bosniaca in breve tempo arrestò tutti gli attentatori , e di conseguenza tutti i fiancheggiatori. Familiari, amici, simpatizzanti.
Tra loro fu fermata e interrogata anche Vesela.
La polizia sapeva che aveva incontrato Gavrilo il giorno prima. Quindi lo conosceva. E gli chiesero se sapesse niente. E lei scoppiando in lacrime, a sedici anni è facile piangere di paura, confesso che Gavrilo gli aveva sì detto tutto!
Ma che lei credeva fosse una colossale balla, creata solo per farla cedere… E quando gli aveva fatto vedere la pistola aveva avuto paura, ma per se stessa ed era scappata a casa; mai avrebbe potuto pensare che quella storia potesse essere vera e che quel ragazzino magro e spaurito potesse essere un assassino attentatore. Lei pensava che tutto era una balla per fare il grande, per farsi importante, per riuscire a far l’amore con lei! Ma più che glielo diceva e più che lei credeva a una grossa bugia. Nessuno poteva essere cosi sciocco da fare una cosa del genere, men che mai una ragazzino di neanche vent’anni… Invece.
La polizia dopo un po’ gli credette.
Fu rilasciata, ma tenuta sotto sorveglianza a lungo. Poi il tempo passò. La Guerra anche, anzi le guerre. Per quella gente, tre!
Ma i ricordi erano precisi e ben fissati nella mente di VESELA.
E da allora anche nella mia.
Sono tornato una seconda volta missione in Bosnia tre anni dopo, e sono andato a cercare gli amici a Pale.
La situazione era molto cambiata, il clima sociale era più disteso, tranquillo, ci si muoveva bene, la gente aveva ripreso la vita. Non sparava quasi più nessuno. Anche le sassate erano diventate davvero poche. Ma la signora Vesela di Pale, nel frattempo era morta. Anche Svetlana se ne era andata; non faceva più l’interprete. Con il marito aveva aperto un ristorante a Brkcò, sul fiume Sava a nord di Sarajevo.
Excalibur era morto, saltato su una mina.
Vittorio Lino Biondi a Vrbana, Sarajevo, BH 1997. “il Ponte degli Innamorati”; tristemente noto per essere il luogo della uccisione da parte di cecchini di due ragazzi, uno serbo Bosko Brkic, e una ragazza bosnica, Admira Ismic; innamorati della vita, si incontravano in un caffè poco distante, li sotto. E lì sul ponte, qualcuno dalla collina, ha terminato il loro amore.
I loro corpi vi sono rimasti per otto giorni, sotto il fuoco dei tiratori scelti che bersagliavano chiunque… Uno di loro era Excalibur. Ci volle una tregua speciale per permettere il recupero di “Romeo e Giulietta di Sarajevo”.
Bellissima e commovente storia, grazie Colonnello Biondi
massimo di grazia
Storie di vita vissute, che dopo tanti anni raccontarle deve essere un’emozione. Grande Vittorio!