Viviamo in una società nella quale la bonomia è spesso scambiata per debolezza, e i modi cortesi e gentili per vuoto formalismo. Delle persone arroganti, invece, ormai si dice che “hanno carattere”. Ecco, Giorgio Tori assommava in sé tutta una serie di caratteristiche umane oggi purtroppo da certuni scarsamente considerate. La sua figura rischia perciò di essere sottovalutata. Sento l’esigenza di scriverne, a qualche settimana di distanza dalla sua scomparsa, per portare la mia testimonianza su di lui: un semplice ricordo, che però cerca di avere in sé anche qualche elemento di analisi.
Ho conosciuto Giorgio Tori nel 2014, nel suo ruolo di presidente della Fondazione Ragghianti. All’inizio di quell’anno fui cooptato nel Comitato scientifico. Due anni e mezzo dopo sarei diventato direttore. A colpirmi fu immediatamente la sua profonda passione profusa nell’esercizio della carica. Non si trattava soltanto di adempiere doveri istituzionali. No, in Giorgio Tori c’era autentica comprensione dell’essenza di un ente culturale, dei suoi obiettivi, delle dinamiche che ne governano l’esistenza e l’azione.
Si trovò anche, per ciò che almeno posso testimoniare, in situazioni non facili, ma fu sempre sorretto dall’equilibrio, da una grande correttezza e dalla lungimiranza di chi ha alle spalle un’esperienza importante (in precedenza, dal 1988 al 2008, aveva diretto l’Archivio di Stato di Lucca, tra le altre cose). Tutto questo, però, senza sussiego. Magari a volte accalorandosi un po’, ma conservando il senso della misura e soprattutto una sana ironia.
A Giorgio Tori, che dal 2012 al 2018 è stato davvero un grande presidente della Fondazione Ragghianti, si deve molto. In particolare, fu il suo determinante impulso a imprimere una svolta decisiva nel lavoro di riordino e inventariazione dell’enorme patrimonio archivistico lasciato da Carlo Ludovico Ragghianti (1910-1987) e dalla moglie Licia Collobi (1914-1989). Quale grande soddisfazione fu per lui veder poi ultimata, dopo anni, la titanica impresa, con la pubblicazione online degli inventari completi (ma lui mi consigliava sempre di farne anche libri stampati su carta, perché aveva qualche dubbio sulla durevolezza del supporto digitale)!
Era un uomo discreto, mai prevaricante. Sapeva riporre fiducia nelle persone e comprendere perfettamente che non è il pressante e assillante controllo a determinare il raggiungimento di buoni risultati, bensì la responsabilizzazione dei sottoposti e dei collaboratori.
In un Paese polarizzato come il nostro, Giorgio Tori era un perfetto liberale (posizione politico-ideale che in Italia non ha mai purtroppo riscosso molta fortuna né diffusione): il rispetto per le opinioni e le prerogative altrui era per lui sacro. So benissimo che, pur apprezzandone la qualità scientifica, non tutte le mostre che realizzammo durante il periodo in cui lui era presidente e io direttore risposero al suo gusto. Non era un estimatore dell’arte contemporanea e delle avanguardie. Eppure mai una sola volta fece pressioni in un senso o nell’altro, cercando di determinare scelte tematiche o curatoriali. Fu per me un grande insegnamento constatare il suo assoluto senso delle istituzioni. Al di sopra delle inclinazioni personali c’era, per lui, il bene della Fondazione Ragghianti.
E poi era un uomo autenticamente simpatico, nel senso etimologico del termine. Sapeva insomma porsi in consonanza con gli altri, capirli, si sforzava di comprenderne le ragioni.
Contemperava la serietà istituzionale con il gusto del divertimento. Ricordo con sorridente commozione la cena che seguì, nel settembre del 2017, all’inaugurazione della mostra dedicata al pittore astrattista Mario Nigro (1917-1992). Avevamo ospite la direttrice di un importante museo tedesco. Ebbene, mi chiese di tradurle alcune barzellette sui Pisani. Devo dire che fu una fatica notevole! In quel modo riuscì a rendere la serata subito piacevole, ad alleggerire il clima, che avrebbe rischiato di essere troppo formale. Non è poco: anche questa era abilità “politica”.
Molto altro si dovrebbe scrivere su Giorgio Tori. Qualcuno l’ha già ben fatto, e sono certo che altri proseguiranno, perché la sua figura è di quelle destinate a rimanere nel pantheon dei grandi Lucchesi. Voglio ricordare la sua ammirazione per il meraviglioso esploratore capannorese Carlo Piaggia (1827-1882), vittima di un recente e maldestro tentativo – di marca woke – di messa in discussione (giustamente stigmatizzato da Luca Lupi). Gli dedicò lavoro ed energie. E non dimentichiamo la splendida edizione che approntò delle Croniche di Giovanni Sercambi (1347/1348 – 1424), una pietra miliare per la storiografia locale, e non solo.
Sì, era un uomo di finissima intelligenza e sensibilità. A me mancherà, perché, anche quando il suo mandato da presidente terminò, non manco mai di interessarsi alle sorti della Fondazione Ragghianti, che davvero gli stava a cuore. A moltissimi mancheranno la sua presenza, il suo pensiero, il suo consiglio prezioso.
Persino il modo in cui ha affrontato la malattia è stato esemplare. Un modello difficile da emulare, che denota una grande forza d’animo, cui guardare come a un esempio indimenticabile.
Un saluto a te, Giorgio, uomo intelligente, cólto, ironico, arguto, generoso, appassionato. Ti sia lieve la terra.
Paolo Bolpagni
Mi associo totalmente, Paolo Mariti