Ieri c’è stata una grande manifestazione per la pace a Roma in piazza San Giovanni, luogo simbolo di tante manifestazioni soprattutto della sinistra e dei sindacati. La manifestazione non era organizzata dalla politica ma da varie sigle del mondo sindacale e associativo.
Difficile, però, non vedere nel largo spazio di CGIL una caratterizzazione politica, come anche nel comunicato che accompagna la manifestazione, che termina con “Insieme esigiamo che le nostre istituzioni assumano questa agenda di pace e si adoperino in ogni sede europea ed internazionale per la sua piena affermazione”.
Ciò premesso, resta il punto che si sono state molte decine di migliaia di persone che hanno manifestato per la pace.
E questa è una cosa buona.
Buona perché è importante che le persone si attivino e partecipino alla discussione pubblica. Buona perché comunque una tensione a favore della pace è sempre positiva. Buona, infine, perché non dobbiamo consentire che la guerra in Ucraina venga progressivamente dimenticata.
Epperò il modo in cui se ne parla è importante. Anzi fondamentale.
Ci sono delle tesi pericolose. E quasi sempre le tesi più pericolose sono quelle che si travestono di ragionevolezza. Quelle che mascherano la codardia con magnanimità. Che giustificano l’interesse con il manto di una qualche forma di giustizia. Che spacciano l’egoismo per prudenza e realismo.
Vediamone alcune.
“Non si tratta di vincere la guerra ma di far vincere la pace”. “Non si è equidistanti ma equivicini”. “Siamo con l’Ucraina, sì, ma serve una tregua immediata” (che però, implicitamente, cristallizza lo status quo nei territori invasi). “Siamo accanto a Zelensky, certo, ma non dobbiamo mandare armi”.
Queste sono tutte posizioni che rappresentano una scissione tra desiderio e realtà.
Tutti desideriamo la pace. Tutti aborriamo la guerra.
Ma spegnere la fiamma della guerra con il sangue di chi è invaso non pare così altruistico e generoso come si vorrebbe dire. E dire che chi è invaso dovrebbe ottenere da chi invade il ritiro dei soldati e dei carri armati sedendosi al tavolo della trattativa è come dire che i regali di Natale li porta davvero un buon uomo che, vestito di rosso, scende dal camino. Anche nelle case che il camino non lo hanno.
La verità che tutti sappiamo, la verità che non servirebbe neppure ricordare a tutti, è che un esercito invasore non si ritira se non è affrontato da un altro esercito. E che un esercito come quello russo può essere affrontato da un esercito come quello ucraino solo se quest’ultimo ha buone dotazioni in quantità e qualità di armi. Dotazioni di armi occidentali che possano essere usate efficacemente contro carri armati, arei, missili e droni. Perché è con questi potenti mezzi, non con mazzi di fiori e qualche archibugio del ‘800, che l’esercito russo ha invaso l’Ucraina. Quindi o diciamo chiaramente che a noi dell’Ucraina, del suo destino, della sua libertà e del suo popolo non ce ne fraga nulla, o dobbiamo farci carico di un sostegno almeno logistico e di fornitura di strumenti (che sono armi) per rendere possibile questa difesa.
Tertium non datur. Non ci sono altre possibilità realistiche di azione.
Il resto sono pelose e interessate posizioni di egoistico interesse, ridipinte di buone parole per l’occasione delle feste.
La piazza San Giovanni di ieri è stata una piazza ambigua. Ambigua perché alla giusta tensione per la pace non ha dato una via concreta. Perché ha lasciato convivere insieme ricette opposte.
È stata una piazza ambigua perché è nata come non politica ma in realtà è stata estremamente politica. È stata una pizza che ha lanciato una proposta di opposizione politica al governo su temi populisti con uno “slittamento verso il canone classico del pacifismo cattocomunista (ora in salsa neo-grillina)” [copyright di Goffredo Buccini de “Il Corriere della Sera” in una interessante cronaca della giornata che invito a leggere https://www.corriere.it/politica/22_novembre_06/manifestazione-pace-conte-letta-8ebd03f2-5d44-11ed-b67c-31a110f523e8.shtml]. Dal palco, giacché non vogliamo pensare che tutta la piazza fosse così, si è palesata una nuova versione della sinistra populista, sindacale, vestita di buone intenzioni e spoglia di interesse per raggiungerle davvero. Perché, sul piano politico, ciò che è andato in scena è la definizione di un nuovo gruppo dirigente politico che vuole fare politica nei palazzi del potere, non occuparsi concretamente della pace. Ma di questo, magari, ne proveremo a riparlare altrove.
L’altra posizione, quella che considera sé stessa opposta, è quella che ritiene che la Russia sia stata in qualche modo costretta a attaccare l’Ucraina. Costretta dal militarismo della NATO; dalla “Grande Storia” che ha visto Ucraina e Russia nascere insieme e, in qualche modo, non può sostenerne la separazione; da motivazioni di “necessità geopolitica” di sicurezza nazionale russa pressata e quasi accerchiata dalla NATO. Quasi che l’ipotesi di aggressione armata da parte della NATO contro la Russia e il suo territorio potesse essere una ipotesi concreta, o anche solo più concreta di, che so, l’aggressione della Cina verso la stessa Russia. È questa una narrazione meno di popolo e più elitaria. È di chi cerca nella propria cultura e nella storia, le motivazioni per sostenere che la faccenda della guerra all’Ucraina è un imbroglio. Magari condendolo con una certa dose di complottismo internazionale; di servizi segreti che hanno sobillato le popolazioni ucraine nella rivoluzione arancione; di poteri che hanno manovrato nell’ombra al servizio dell’imperialismo americano; di diffidenza verso gli Stati Uniti che, in realtà, vedono l’Europa come avversario e non come alleato. Con una sottesa morale, che piace sempre, tipo “chi semina vento raccoglie tempesta”. Che è un po’, almeno in parte, il pensiero che sembra trasparire dal recente Berlusconi.
Proporre la necessità di difesa strategica della Russia come giustificazione della scelta del Cremlino, assomiglia alla favola del lupo e della pecora: quella in cui un lupo, che beveva l’acqua di un ruscello, vedendo una pecora che si abbeverava più in basso lungo lo stesso fiume, va e la sbrana perché gli stava sporcando l’acqua che stava bevendo.
Queste due posizioni, apparentemente così lontane le une dalle altre, hanno, curiosamente, la stessa proposta di soluzione: indebolire, nei fatti, il supporto all’Ucraina.
Il problema sia della piazza di Roma che delle posizioni berlusconiane o similari, è che sono una specie di mutilazione della logica. Di codardia nel dire la parte gradevole del pensiero e tacere quella sgradevole o disagevole.
Dire che le armi non sono la soluzione del problema è dire il vero. Ma dovremmo anche dire che non mandare più armi peggiora la situazione, non la migliora.
Dire che siamo vicini al popolo ucraino è elegante. Ma dovremmo anche dire che siamo lieti di condividere una parte (assai piccola, in verità) del costo di questa guerra sulla nostra pelle.
Dire che Putin è l’aggressore e l’Ucraina l’aggredito è sacrosanto. Ma questo vuol dire che non possiamo accettare nessuna soluzione che premia il violento e penalizza chi è stato vittima.
L a realtà e che oramai la via di uscita dal dramma dell’Ucraina comincia a delinearsi. Lo fa nella stanchezza che gli eserciti cominciano a mostrare. Nelle parole che le parti cominciano a dire piano e in modo generico.
La via è quella di un cessate il fuoco (un armistizio, non una pace) in cui la Russia rinuncia ad aggredire l’Ucraina ma non ritira le sue forze da tutto il territorio mantenendo alcune posizioni (a partire dalla Crimea) dando però la possibilità a chi vuole andarsene di farlo. In cui l’ONU mette delle forze di interposizione tra i due eserciti con la partecipazione di Cina ed Europa. Ma anche in cui le sanzioni dell’occidente alla Russia rimangono in piedi ancora a lungo, fino a quando la Russia non deciderà di lasciare libere (davvero libere) le aree occupate. In cui l’Ucraina comincia una complessa, costosa e sussidiata (dall’Europa prima di tutti) ricostruzione senza l’incubo di attacchi che distruggano ciò che si va facendo. Il tutto in una situazione non smilitarizzata ma almeno non grondante sangue.
Questa è evidentemente una via di uscita dalla guerra guerreggiata non dal dovere morale e politico di sostenere l’Ucraina. Ed è in questa via di mezzo che le cose di faranno difficili per l’occidente. Perché questo periodo sarà meno e empatico ma ugualmente economicamente costoso (forse persino di più di ora). Perché qui si vedrà chi veramente vuole una “pace giusta” per il popolo ucraino e chi invece vuole solo tornare al “business as usual”, a portare avanti i propri interessi e il proprio lavoro. Si vedrà chi vuole solo che tutti costoro smettano di disturbarlo.
È lì che vedremo quanto pacifisti sono quei leader, soprattutto della sinistra radicale e 5 stelle, che oggi si riempiono la bocca di parole di pace.
Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi
Condivido fino nei minimi particolari tutto quello che scrive. Coloro che chiedono lo stop all’invio di armi all’Ucraina in nome della pace senza se e senza ma sono oggettivamente a fianco di Putin. E lo sono a mio parere per interessi non dichiarabili ( leggi soldi!). non mi meraviglia tanto Conte e i grillini, visto l’atteggiamento tenuto nei confronti della Russia dal suo governo ai tempi della pandemia, nè quello di Berlusconi, che ha un debito di riconoscenza verso l’amico Putin, che lo ha aiutato in un momento di difficoltà per le sue aziende ( leggi lodo mondadori). Quanto la posizione del PD, fino a ieri, quando era al governo, il più schierato a favore delli’invio di armi ed oggi invece in una posizione ondivaga, che sembra contraddire quanto sostenuto finora dagli stessi dirigenti