All’inizio del XXI secolo, la Tunisia si presentava come un Paese caratterizzato da una stabilità politica apparente, ma con sottostanti tensioni sociali ed economiche. Sotto la presidenza di Zine El-Abidine Ben Ali, al potere dal 1987, il regime era noto per il suo autoritarismo, la repressione delle opposizioni e la limitazione delle libertà civili. Nonostante una crescita economica moderata, le disparità regionali e la disoccupazione, soprattutto giovanile, alimentavano un malcontento diffuso.
La Rivoluzione dei Gelsomini e le sue conseguenze
Il 17 dicembre 2010, Mohamed Bouazizi, un venditore ambulante della città di Sidi Bouzid, si diede fuoco in segno di protesta contro le vessazioni subite dalle autorità locali. Questo gesto estremo scatenò una serie di manifestazioni in tutto il Paese, culminate il 14 gennaio 2011 con la fuga di Ben Ali in Arabia Saudita. La “Rivoluzione dei Gelsomini” non solo segnò la fine di un regime autocratico, ma diede anche il via alle cosiddette “Primavere Arabe” in tutta la regione.
Successivamente alla caduta di Ben Ali, la Tunisia intraprese un percorso di transizione democratica. Nel 2014, venne adottata una nuova Costituzione considerata tra le più progressiste del mondo arabo, garantendo diritti fondamentali e libertà civili. Tuttavia, il cammino verso la democrazia non fu privo di ostacoli. Attacchi terroristici, instabilità politica e sfide economiche misero a dura prova il nuovo sistema.
Evoluzione dei diritti civili e politici
La nuova Costituzione del 2014 sancì importanti diritti civili e politici, tra cui la libertà di espressione, di associazione e di stampa. Organizzazioni per i diritti umani, precedentemente represse, poterono operare più liberamente, monitorando e denunciando eventuali violazioni. Tuttavia, nonostante questi progressi formali, la pratica ha spesso mostrato discrepanze. Negli anni successivi alla rivoluzione, si sono registrati episodi di repressione contro manifestanti e attivisti, sollevando preoccupazioni sulla reale implementazione dei diritti sanciti.
Sul fronte politico, la Tunisia ha vissuto un periodo di pluralismo con la nascita di numerosi partiti politici. Le elezioni del 2014 portarono al potere una coalizione guidata da Nidaa Tounes, con la partecipazione del partito islamista Ennahda. Questo equilibrio delicato tra forze laiche e islamiste rappresentò sia una sfida che un’opportunità per la giovane democrazia tunisina.
Diritti religiosi e libertà di culto
La Tunisia è storicamente conosciuta per il suo approccio laico, con una netta separazione tra Stato e religione. La Costituzione del 2014 ha mantenuto questa tradizione, garantendo la libertà di culto e vietando la discriminazione basata sulla religione. Tuttavia, la presenza di gruppi salafiti e l’influenza di movimenti islamisti hanno talvolta creato tensioni, soprattutto riguardo alla libertà di espressione e ai diritti delle minoranze religiose. Episodi di violenza contro artisti e intellettuali accusati di blasfemia hanno evidenziato le sfide nel bilanciare libertà di espressione e sensibilità religiosa.
Sicurezza e minacce terroristiche
Dopo la rivoluzione, la Tunisia ha affrontato una crescente minaccia terroristica. Nel 2015, due attacchi di grande portata colpirono il Museo del Bardo a Tunisi e una località turistica a Sousse, causando decine di vittime, principalmente turisti stranieri. Questi eventi ebbero un impatto devastante sul settore turistico, una delle principali fonti di reddito del Paese. In risposta, il governo adottò misure di sicurezza più rigide e promulgò leggi antiterrorismo, che, sebbene mirate a garantire la sicurezza nazionale, sollevarono preoccupazioni riguardo al rispetto dei diritti umani e delle libertà civili.
Situazione economica e tenore di vita
Nonostante le aspirazioni rivoluzionarie, la Tunisia ha continuato a confrontarsi con significative sfide economiche. La disoccupazione, in particolare tra i giovani laureati, rimane elevata. Le disparità regionali persistono, con le zone interne del Paese che registrano livelli di povertà e sottosviluppo superiori rispetto alle aree costiere. La corruzione e la burocrazia inefficiente hanno ulteriormente ostacolato gli investimenti e la crescita economica. La pandemia di COVID-19 ha aggravato ulteriormente la situazione, colpendo duramente settori chiave come il turismo e aumentando il debito pubblico.
Recenti sviluppi politici
Nel 2019, Kais Saied, un professore di diritto costituzionale con posizioni indipendenti, vinse le elezioni presidenziali con un ampio margine. La sua campagna si basava sulla lotta alla corruzione e sulla promessa di riforme istituzionali. Tuttavia, nel luglio 2021, Saied sospese il parlamento e assunse poteri eccezionali, citando l’articolo 80 della Costituzione che permette tali misure in caso di “pericolo imminente” per il Paese. Queste mosse sono state accolte con preoccupazione da oppositori e osservatori internazionali, che le hanno interpretate come un ritorno a pratiche autoritarie. Nel 2024, Saied è stato rieletto, ma con un’affluenza molto bassa alle urne, segnale di un crescente disincanto della popolazione verso il processo democratico. Nel frattempo, ha introdotto modifiche costituzionali che gli conferiscono un controllo ancora maggiore sull’esecutivo e sul sistema giudiziario, riducendo di fatto l’indipendenza dei poteri e sollevando timori per una progressiva deriva autocratica. La soppressione delle istituzioni elettive e la marginalizzazione dei partiti hanno riportato la Tunisia in un clima politico molto distante dalle aperture e dalle conquiste civili seguite alla rivoluzione del 2011.
Il ruolo della società civile e la resistenza democratica
Nonostante le difficoltà, la società civile tunisina ha mantenuto un ruolo attivo e spesso decisivo nel frenare derive autoritarie. Organizzazioni come l’UGTT (l’Unione Generale Tunisina del Lavoro), l’Ordine degli Avvocati, la Lega tunisina per i diritti dell’uomo e l’UTICA (l’Unione Tunisina dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato) hanno ricevuto il Premio Nobel per la Pace nel 2015 proprio per il loro contributo fondamentale alla transizione democratica.
Questi attori continuano a monitorare l’operato delle istituzioni, a proporre soluzioni per uscire dalla crisi economica e a difendere le libertà fondamentali. Tuttavia, negli ultimi anni, il loro margine d’azione si è progressivamente ridotto a causa delle pressioni del potere esecutivo e di un clima politico che tende a delegittimare ogni forma di dissenso.
Le proteste popolari, sebbene meno organizzate rispetto al periodo post-rivoluzionario, sono ancora frequenti, soprattutto nelle aree economicamente marginalizzate. L’aumento dei prezzi, la carenza di beni essenziali, i tagli ai sussidi e l’austerità imposta dagli accordi con il Fondo Monetario Internazionale hanno innescato nuovi cicli di mobilitazione sociale, ai quali il governo ha risposto in alcuni casi con repressione e arresti arbitrari.
Lo scenario internazionale e i legami con l’Europa
La Tunisia mantiene una posizione geopolitica importante nel Nord Africa, essendo uno degli interlocutori privilegiati dell’Unione Europea, soprattutto in materia di migrazione e sicurezza. I rapporti con Bruxelles si sono intensificati, ma non senza contraddizioni: l’UE ha spesso sostenuto economicamente il Paese, anche in momenti critici per la democrazia, privilegiando la stabilità politica e il controllo delle frontiere alla promozione effettiva dei diritti umani.
Questo approccio ha generato tensioni all’interno della società tunisina, che percepisce in parte le istituzioni internazionali come complici delle derive autoritarie in nome del contenimento dei flussi migratori. Le partenze dalle coste tunisine verso l’Europa sono infatti aumentate negli ultimi anni, segno di una crescente disperazione sociale e di un deterioramento delle condizioni di vita, in particolare tra i giovani.
Parallelamente, la Tunisia ha cercato di rafforzare i legami con altri attori regionali, come l’Algeria e alcuni Paesi del Golfo, ottenendo sostegno finanziario ma spesso a caro prezzo in termini di autonomia politica e libertà interne.
Prospettive future: tra incertezza e speranza
A oltre dieci anni dalla rivoluzione del 2011, la Tunisia si trova di nuovo a un bivio. Le speranze suscitate dalla caduta del regime di Ben Ali si sono in parte infrante contro le difficoltà della transizione, i limiti strutturali dell’economia e una classe dirigente incapace di affrontare in modo credibile le priorità del Paese. Il ritorno a una forte centralizzazione del potere, la repressione delle opposizioni e la crisi economica rischiano di vanificare i progressi ottenuti nella prima metà del decennio.
Eppure, la Tunisia continua a distinguersi nel panorama nordafricano per la vitalità della sua società civile, per il dibattito pubblico acceso e per una popolazione che, pur disillusa, non ha rinunciato del tutto all’idea di una democrazia autentica. Le nuove generazioni, più istruite e connesse, continuano a rivendicare spazi di libertà e partecipazione, nonostante l’emigrazione sia vista da molti come l’unica via di fuga da un presente stagnante.
Le sfide da affrontare nei prossimi anni sono enormi: occorrerà rilanciare l’economia con riforme strutturali che riducano le disuguaglianze e favoriscano l’occupazione; riformare le istituzioni per garantire l’equilibrio dei poteri; ricostruire la fiducia della popolazione nel sistema politico e garantire una reale inclusione delle istanze sociali e territoriali.
In un contesto globale attraversato da tensioni e incertezze, la Tunisia rimane un esperimento fragile ma ancora aperto. Il destino della sua democrazia non è segnato, e dipenderà dalla capacità della società tunisina – e della comunità internazionale – di sostenere un percorso che ponga al centro i diritti, la dignità e la giustizia sociale. Dopo il sogno della rivoluzione, è tempo di una nuova maturità politica, capace di coniugare libertà e sviluppo, pluralismo e stabilità. Solo così la Tunisia potrà scrivere il prossimo capitolo della sua storia senza tornare indietro.
Eduardo
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