Prima sconfitta per il centrodestra dell’era Meloni.
Sonora sconfitta.
Non per i numeri assoluti: alla fine hanno perso per un misero 0.3% e, a più riprese, la distanza era anche minore. E quando si vince o si perse per uno zero-virgola in sé non c’è né gloria né vergogna.
È il contorno che marca la differenza: il candidato era stato imposto da Meloni; il candidato ha preso ben il 4% meno delle sule liste; il centrosinistra era azzoppato dalla lista Soru; il centrosinistra era decisamente poco centro e molto sinistra; il centrosinistra non ha certo il vento in poppa in questo periodo. Cinque ragioni per cui il centrodestra avrebbe dovuto vincere. Altrettante ragioni per cui la sconfitta, anche se sul filo di lana, è una sconfitta importante.
Andiamo con ordine. Il candidato: era un uomo di Fratelli di Italia. Uno di indiscussa fede meloniana ma anche il prototipo della classe dirigente che il partito ha sui territori. E quella classe dirigente, in Sardegna, ha dato il primo tangibile segno della sua incapacità.
È la chiave delle difficoltà che il partito egemone troverà sul suo percorso. Se il paese si riconosce nel suo presidente del consiglio, almeno a quanto ci dicono le statistiche sul gradimento della premier, altrettanto non è avvenuto per la classe politica. Ed è un bene: difficile non osservare lo iato che c’è tra la premier e chi la dovrebbe rappresentare sui territori.
Berlusconi aveva raccattato manager e venditori dalle reti vendita delle sue concessionarie di pubblicità facendo un partito scoppiettante e plastificato, tutto marketing e immagine, con poco personale politicamente significativo ma con una capacità di penetrazione sociale che gli valse più di venti anni di potere indiscusso.
La lega raccolse una piccola schiera di manager del nord che portò a Roma. Gente capace ma supponente, cresciuta a pane e nordismo. Con l’idea che sarebbe stato possibile davvero cambiare l’assetto istituzionale del paese e portare ad un federalismo dal sapore scissionista. Una squadra competente ma certamente non particolarmente attraente su scala nazionale. (Diversa la lega di Salvini ma qui servirebbe più spazio per parlarne)
Ma Fratelli di Italia chi sta portando come classe politica?
Da quello che si vede, un eterogeneo gruppo fatto un po’ di nostalgici di tempi di cui non si dovrebbe avere nostalgia, un po’ di personale di secondo ordine che andava bene per tenere aperta una sede di un movimento marginale come era FdI fino a pochi anni fa, un po’ di persone che pensano (con qualche ragione) di aver trovato il biglietto d’oro alla riffa della vita e sono preoccupati che non arrivi qualcuno a toglierglielo.
Ciò che non c’è davvero è un vero personale politico che possa rappresentare un’idea di cambiamento per la nazione. Almeno non sui territori. E di questa povertà di personale politico, di questo basso livello, il Truxido pare essere un degno esemplare.
Ma, ad onor del vero, anche la strategia ha difettato. Aver cacciato il precedente presidente poteva essere anche una mossa valida. Se si andava a sostituire un candidato discutibile con uno di ben altro profilo. Andare a sostituire un governatore come Solinas con un Truxido ha dato la sensazione (solo sensazione?) che si sia trattato solo di un fatto di potere, non di cercare un effettivo miglioramento. E, giustamente, la gente non ha apprezzato.
E il fatto che il problema è di personale politico è ben evidenziato anche dai risultati di FdI: alla fine è alla pari con un PD per altro esangue e più vicino di quanto non sembri al Movimento (non dimenticate l’effetto della lista Todde che ha pescato soprattutto tra i 5 Stelle). Una situazione che testimonia la povertà dell’offerta politica e il poco consenso che il partito della premier riscuote quando esprime politici locali.
Il risultato del candidato del centrodestra nella sua Cagliariè poi il marchio dell’infamia.
L’idillio della nazione con la premier non è finito. Ma si va esaurendo la pazienza verso una classe «non dirigente», con un partito che, lontano dalla leader, non convince. Se la Meloni non si porrà rapidamente il problema di come rifondare il suo personale politico finirà in un gorgo di problemi da cui non riuscirà ad uscire.
Io credo che la vittoria di Alessandra Todde sia dovuta al fatto che è considerata una donna preparata, capace, aperta all’innovazione, grazie anche alla sua formazione professionale , caratterizzzata da una laurea in ingegneria acquisita presso l’Università di Pisa e il lavoro svolto presso imprese nazionali ed estere in ruoli di responsabilità. Ha alle spalle una buona esperienza politica avendo già ricoperto l’incarico di parlamentare e vice ministro. Oltre a questo si è rivelata capace di interpretare le aspettative della sua gente che vede la Sardegna ridotta malissimo in tutti i campi ( sanità, trasporti, economia, innovazione , sfruttamento dissennato delle risorse ambientali ed economiche) a causa dei precedenti governi inadeguati e incapaci di comprendere l’animo fiero e orgoglioso dei sardi. In maniera intelligente e lungimirante ha chiesto ai leader della sua coalizione di evitare comparsate nell’isola durante la campagna elettorale …Be, che dire, onore al merito, visto che nel voto disgiunto è stata eletta anche da molti elettori di centro-destra che hanno espresso il voto di lista ma non quello al Presidente della loro coalizione. Ora ci attendiamo che dia una risposta concreta alle legittime e sacrosante aspettative della sua gente e, a fiuto, sembra la persona più adatta a farlo.
Da non più votante mi sforzo di commentare:
rimpiango la cosiddetta “prima repubblica”, quando la politica sembrava essere una cosa abbastanza seria e non un “circo” in cerca di voti: quando si costruivano case popolari per chi ne avesse bisogno, e quando si inventò il lavoro a tempo indeterminato, i diritti e le garanzie dei lavoratori, la scala mobile, l’articolo 18, la pensione, le casse mutue e, poi, il SSN, ambedue messi in condizione di funzionare abbastanza bene; e si cercava di attenersi al dettato della Costituzione che dichiarava che l’Italia fosse un Paese fondato sul lavoro, e che tale lavoro garantisse una vita, (penso nell’ambito del possibile), più dignitosa possibile.
E quando millenovecentotrentaseieventisette lire erano 1936,27 lire, e non 1000 lire.
Quanto sto dichiarando ho l’impressione che, con le successive repubbliche, sia stato un po’ depauperato e, naturalmente, posso sbagliare e, eventualmente, chiedo scusa in anticipo.
Comunque sia rimpiango la vecchia “Tribuna politica” in bianco e nero e gestita da imparziali distinti signori in giacca e cravatta che, oggi, qualcuno potrebbe definire “ingessati”.
Per il resto, relativamente agli ultimi, più o meno, cinquanta anni, “no comment”.
La Meloni è Segretaria di FdI da tempo immemore. Dunque, se la classe dirigente è scarsa, la responsabilità politica principale è sua. Mi si dovrebbe spiegare in che cosa sta brillando Giorgia nel suo ruolo di Capo del Governo
La politica estera dell’ Italia è segnata da tempo e la Meloni non se ne può discostare se vuole rimanere per un po’ premier. Per il resto c’è molto poco, a parte qualche cenno di arroganza che ha radici antiche.