Tre foto apparentemente simili, ma diverse.
La nostra percezione della Storia, manipolata.
La foto scattata dal fotografo Tino PETRELLI, all’indomani della liberazione di Milano il 25 aprile 1945 (la data reale dello scatto è incerta, dal 27 al 29…), mostra un gruppo di persone civili che cammina armato.

Il Fotografo Tino PETRELLI lavorava per agenzia milanese PUBLIFOTO diretta da Vincenzo CARRESE, un altro affermato fotografo giornalista che aveva lavorato a suo tempo presso il Word Wide Photo del New York Times, e successivamente per la prestigiosa Keystone Press Agency. Nel ’34, assieme a Fedele TOSCANI, fonda a Milano una filiale della Keystone. L’autarchia gli imporrà il più italico nome di Publifoto. Lavora per il Corriere della Sera, e siccome è bravino nel ’38 apre un ufficio a Roma. Invia foto anche all’Unità, al Giorno, e a L’Europeo, oltre che all’ANSA. Nel dopoguerra lavorerà anche per l’Agenzia Magnum in Italia, poi il declino negli anni 50 e la vendita del grande archivio fotografico dal gruppo Olycom nel 2003. Per lui, nel 37 inizia a lavora il giovane Tino PETRELLI, che inizia come fattorino, ricalcando le orme di Robert Capa, e prosegue come fotografo fino al 1981. Ricordiamo alcuni suoi scatti celebri, il reportage sul poverissimo paesino di Africo in Calabria, (L’Europeo 1948), l’alluvione del Polesine 1951, Fausto Coppi sulla Stelvio nel ’53 con la scritta nella neve W Coppi, da lui stessa tracciata poco prima del passaggio del campione! E tante altre: Amintore Fanfani, Gianni Agnelli ecc.
Ma torniamo a questa foto, che ha scatenato diverse ipotesi storiche a volte molto contrastanti tra loro.
Si sono espresse persone che niente hanno a che fare con la storia di quel periodo, ma son generosamente capaci di elaborare la “loro” verità storica attraverso una semplicistica ma errata visione della immagine.
Tra i vari commenti, a volte faziosi, a volte sempliciotti, a volte penosi, merita ricordare:
…I “resistenti” mandano avanti le donne…
…Sapevo fà anche io la guerra, con le scarpette eleganti e l’impermeabile…
…Guarda a chi si sono arresi i tedeschi, non sanno neanche imbracciare un fucile! (riferito al fatto che la prima donna porta un fucile capovolto).
E via così.
Questa deve far riflettere sulla potenza comunicativa e convincitiva dell’immagine rispetto alla capacità di analisi reale e storica.
Vediamo come stanno invece le cose.
Siamo a Milano, appena liberata da 500 uomini della Guardia di Finanza che, al comando del Col. Malgeri occupano i centri di potere, Prefettura, Radio, Questura, e lanciano il segnale della avvenuta occupazione e liberazione.
Sono giorno cruciali, fino al 28 alcuni cecchini e centri di resistenza tedesca continuano a far fuoco, ignorando i termini di resa.
La guerra non è un interruttore che si spegne con un click (Questa è di Rambo, nella fase finale del primo film…).
Il 29 aprile i partigiani appendono i cadaveri di Mussolini, Claretta e alcuni gerarchi al traliccio di una insegna di distributore in Piazzale Loreto, dove il 10 agosto ’44 i fascisti avevano fucilato e lasciato esposti per un giorno intero 15 partigiani. La scena provoca il forte risentimento di Ferruccio PARRI Vicecomandante del CNL Alta Italia, che la definirà (pare…) una scena da “macelleria messicana!”
Nel frattempo a Milano, e in tutta Italia, proseguono vendette personali e regolazioni di conti… Proseguiranno a lungo…
Torniamo alla foto; viene chiamata “Le partigiane di Brera”. Qualcuno le definisce “gappiste” o “sappiste” rispettivamente dagli acronimi di G.A.P. e S.A.P. (Gruppi armati partigiani, o Squadre armate partigiane).
Una copia (tagliata) della lastra originale è conservata presso il Museo della Fotografia di Cinisello Balsamo con un timbro e questa dida: “Fotografia di Tino PETRELLI distribuita dalla Publifoto/Word copyright n° 10296” con il titolo “Milano. Tre ragazze partigiane armate di fucile in via Brera”. Poi una data 26 aprile 1945 Milano.
Un altro titolo recita. “Tre ragazze aggregate a gruppi di partigiani in Via Brera, mentre perlustrano la città assieme ai gappisti…”.
E ancora un tale Augusto MIGNEMI in “Storia fotografica della resistenza” titola questa foto come: “Ricostruzione della partecipazione alla Resistenza degli studenti di Brera”…
Come si legge, anche per chi era lì, le idee eran ben confuse.
Anche perché di questa foto esistono almeno tre diverse versioni.
Nella prima compaiono tre donne seguite da tre uomini;

Poi esiste una seconda versione versione “ridotta” per esigenze giornalistiche, o per evidenziare meglio la parte femminile, con solo le tre donne;

Infine una terza versione dove compare un quarto uomo a sinistra con cappotto nero, ma il secondo uomo accanto a lui con impermeabile bianco è graffiato in volto, artificialmente!

Il fotografo Mignemi scrive che la sua foto è una “ricostruzione”, e l’uomo con impermeabile appare graffiato per non riconoscerlo; lo richiese proprio l’uomo con l’impermeabile bianco successivamente con una azione legale: probabilmente aveva i suoi buoni motivi…
Quella al centro e quella a destra sono due sorelle, polacche. Si distinguono bene i lineamenti somatici simili.
Una delle due si chiamava Aniuska.
Verrà accidentalmente uccisa dalla sorella in foto la sera stessa mentre maneggia un arma! La fonte di questa informazione è lo storico dell’arte Mario De Micheli, ex partigiano in un suo racconto del 1985. Ma è comunque una informazione piuttosto vaga…
La donna a sinistra, con l’impermeabile chiaro è invece certamente identificata in ANNA MARIA (LU) LEONE (1927/1998), un nome noto nella cinematografia e nella sinistra italiana del dopoguerra.
Milanese finanzata e poi spostata con Fabrizio ONOFRI funzionario del PCI. Lavora come assistente con De Sica in “Miracolo a Milano” 1951 e reciterà in “Achtung! Banditi!” di Carlo LIZZANI; quindi sempre nel mondo del cinema e della cultura di sinistra, con Dacia Maraini, con Francesca Panza e con Maricla Boggio.
Veniamo alla foto tecnica
Lo scatto in b/n è potente e tecnicamente molto centrato. Immagine piena, messa a fuoco perfetta. Mostra tre donne in primo piano, armate e alcuni uomini dietro. Che camminano a passo spedito
Anna Maria LU, imbraccia un fucile tedesco, un Mauser K98; le altre due portano due moschetti italiani, mod ‘91 in maniera non aggressiva: gli uomini dietro sono armati di pistola, il prima con una rivoltella appesa al collo, una GLISENTI cal 10,35 un vecchio pistolone italiano e l’uomo in nero porta in mano una Walther P38 cal. 9 Pb. di preda tedesca.
Gli altri non si vedono bene.
Procedono così perché stanno semplicemente recandosi a depositare le amri in obbedienza al decreto della A.M. G. (ALLIED MILITAY GOVERNAMENT) l’autorità di occupazione alleata, che impone il disarmo immediato di tutti i partigiani una volta raggiunti dalle truppe alleate.
Tutto qui.
Portano le armi in modo “non aggressivo”, perché le devono consegnare.
Non dovranno più usarle.
Fine della storia della foto.
Proprio fine non direi.
In effetti le armi non furono riconsegnate proprio tutte.
In obbedienza ai dettami del partito, molte (le piu moderne ed efficienti) furono nascoste per un eventuale successivo utilizzo…
Basta leggere i libri di Guareschi o guardare la saga di Don Camillo e Beppone… C’è scritto tutto… Avevano addirittura nascosto un intero carro armato (funzionante!) in un cascinale della Bassa parmense.
E se ben analizziamo le armi che vengono riconsegnate… si tratta di armi piuttosto vetuste, moschetti e pistole vecchie. Non pistole mitragliatrici, o fucili automatici.
Quelle… compariranno ben oliate e funzionanti, 30 anni dopo in mano a un gruppo terroristico inizialmente chiamato “i compagni che sbagliano”, in Via Fani.
Ma questa è un’altra storia, o sempre la stessa che si insegue.