Da una parte il sistema sanitario che non regge, dall’altra l’economia in crisi. Da una parte i ripetuti appelli dei medici che stremati chiedono un lockdown nazionale, dall’altra la Lucca che ‘nonsispegne’ perché di qualcosa bisogna pur campare. Il grande assente? Un piano. Non c’è stato nella fase 1, quando l’emergenza ci ha colpiti di sorpresa e, inutile negarlo, non c’è neanche adesso dopo un’estate di tregua. Il tutto a spese sempre e comunque dei più deboli.
Da oggi (11 novembre), la Toscana è ‘arancione’ e, ora come a marzo, a fronteggiare l’emergenza in prima linea ci sono i loro, i volontari della Croce Verde di Lucca. A farci un punto della situazione direttamente dalla ‘trincea’ sono Elisa Massaro e Pietro Giannini, compagni di vita e molto di più. Entrambi sono infatti impegnati nei servizi del 118 legati alla pandemia: “Se dovessimo valutare solo la situazione sanitaria – dicono – sarebbe giusto che tutta l’Italia diventasse rossa. Rispetto a marzo, i casi sono molti di più. Questa è la realtà, anche se troppe volte la sentiamo negare da chi ancora non crede a questo virus. Il Covid-19 è emergenza in tutti i sensi”.
Il lockdown quindi, quella parola che ci assilla ormai da mesi, sembra, anche per chi sull’ambulanza ci lavora, l’unico modo che ci rimane per tentare di contenere quello che ci sta succedendo.
Elisa ha scoperto il mondo del volontariato grazie al Servizio Civile, Pietro grazie ad un’amica e neppure il Covid-19 e la paura li hanno fermati perché ogni giorno lavorano per noi. Oggi ci raccontano la loro esperienza e quello che vivono invitandoci, ancora una volta, alla realtà.
Com’è lavorare alle prese con il Covid-19?
“Non è per niente facile perché abbiamo paura anche noi. Ogni paziente che trasportiamo potrebbe essere un nuovo infetto quindi dobbiamo trattarlo da tale. La cosa più difficile è dover rimanere freddi e distaccati, non poter tenere per mano chi soffre. La parola d’ordine è ‘sbrigati’, perché bisogna stare il meno possibile a contatto con chi sta male. Sembriamo quasi meno umani, ma non è così. Siamo costretti ad esserlo. Rispetto alla fase 1 però, viviamo il tutto in maniera un po’ più serena adesso, perché abbiamo preso dimestichezza con le procedure, i protocolli da seguire e tutto quello che serve. Il carico di lavoro è molto alto e l’emergenza c’è. Arrivano molte chiamate e ora sulle nostre ambulanze salgono anche pazienti più giovani”.
“Mi ricordo ancora – dice Elisa – il mio primo servizio Covid sull’ambulanza. Abbiamo portato in ospedale una ragazza molto giovane, di 27 anni, con forte dispnea, tosse e febbre. Avevo tantissima paura perché ancora non conoscevamo bene la malattia e non sapevamo come fronteggiarla. Non mi scorderà mai i suoi occhi terrorizzati che mi guardavano tra un respiro affannato e l’altro. Adesso quella paura così forte non c’è più, si è pian piano trasformata in consapevolezza e attenzione ma vedere quella sofferenza non è facile per nessuno”.
Ci sono differenze fra l’ondata di marzo e quella di adesso?
“A marzo eravamo allo sbaraglio più totale. Avevamo una sola mascherina chirurgica a testa e dovevamo tenercela stretta perché non c’erano rifornimenti. Non sapevamo cosa fosse questo virus e cosa fare per proteggerci. Adesso invece abbiamo tutti i dispositivi di protezione necessari per fronteggiare la pandemia: tute, mascherine FFp2 e sanificatori ad ozono da usare sia in ambulanza sia per disinfettare le divise. Sappiamo come muoverci e cosa fare. A marzo c’erano molti meno casi mentre adesso sono molti di più ogni giorno. Prima si ammalavano quasi solamente gli anziani e i casi più gravi vedevano coinvolti pazienti con patologie pregresse, adesso non è più così. Trasportiamo anche persone più giovani e sane. Chi come noi lavora ha anche notato che durante la prima ondata si respirava un clima di rispetto, adesso invece sembra che l’attenzione scompaia ogni giorno di più e molte volte si trasforma in violenza verso chi cerca solo di dire come stanno le cose richiamando alla responsabilità. Ma ora come prima, l’emergenza c’è”.
Che consigli vi sentite di dare, soprattutto ai più giovani?
“Le regole da seguire sono quelle che ci vengono ripetute ogni giorno, che sembrano banali ma non lo sono. Limitare gli spostamenti, gli assembramenti e usare sempre la mascherina. Se fossero realmente rispettate ci permetterebbero di convivere il più possibile con il virus. I giovani, anche se non tutti, magari a volte tendono a sottovalutare il pericolo animati da quella continua voglia di ‘fare’. Ma qui ognuno deve fare la propria parte come noi facciamo la nostra sull’ambulanza”.
Secondo voi sarebbe necessario un lockdown generale?
“Purtroppo si. Per quello che vediamo noi si. C’è bisogno di mollare un attimo la presa e riprenderci per poi ripartire. La situazione negli ospedali si fa sempre più seria e se andiamo avanti così non riusciremo mai a conviverci. I contagi devono essere fermati quindi secondo noi è giusto che la Toscana sia arancione. Questa volta a rendere più difficile la situazione, come dicevamo prima, ci sono pure i no-mask o quelli che non credono alla gravità del virus; ma più ci comportiamo così, più è peggio per tutti. Fidatevi di chi il Covid lo vive, serve la collaborazione di tutti e non ci stancheremo mai di dirlo”.
Di fronte a noi quindi la spaccatura in due di un paese costretto a scegliere tra la propria salute e il proprio lavoro. Da una parte i volontari in prima linea con i medici che vivono la gravità dell’emergenza e si fanno in quattro per tutti noi chiedendoci aiuto; dall’altra chi chiude di nuovo le porte della propria attività con in bocca l’amaro dell’abbandono. Anni e anni di politica di tagli sanitari ripagati ora con l’incapacità di sostenere un’emergenza senza precedenti. E anche a livello economico niente di risolutivo. Meno male però che ci sono quelli come Elisa e Pietro, a cui dobbiamo molto e che, insieme a tutta la Croce Verde di Lucca, non si arrendono.