Torna la datata guerra dell’acqua e della gestione degli acquedotti. Una ricchezza da difendere, anche dall’inquinamento.

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Da una ventina di giorni si assiste a una nuova puntata della datata “guerra dell’acqua e degli acquedotti”. Oggetto della contesa la grande risorsa del territorio lucchese: l’acqua. Una ricchezza che, teoricamente, consentirebbe a chi abita nella pianura di Lucca di scavarsi un proprio pozzo, dunque di accedere direttamente e con limitate spese alle falde idriche del sottosuolo lucchese. Possibilità questa effettivamente utilizzata ancora oggi da molte famiglie e aziende. Ma lo era soprattutto in passato, quando molte zone non erano allacciate agli acquedotti pubblici. I “pozzi infissi” e quelli trivellati hanno infatti sostituito nel tempo i più antichi e superficiali pozzi «romani», scavati a mano con rivestimento in muratura che avevano profondità comprese tra 5 e 15 metri e che sono ormai poco utilizzati se non per il residuo uso agricolo locale. Proprio in questo periodo dell’anno, nel trimestre gennaio-marzo, si registra generalmente un andamento piezometrico con un massimo legato alla normale stagione di ricarica invernale delle falde idriche.

La città di Lucca è servita da circa 110 anni dall’acquedotto civico che inizialmente aveva 12 pozzi artesiani realizzati alla fine degli anni venti del secolo scorso nella zona di Salicchi (immagine qui sopra), dove sono ancora presenti i manufatti in pietra emergenti e la galleria, da cui parte la tubazione interrata che giunge nel centro storico e che attualmente è in fase di sostituzione. La Geal, l’azienda che gestisce l’acquedotto a Lucca, ha proprio la sede tecnico-operativa a Salicchi.

Della società Geal e del futuro degli acquedotti lucchesi si è tornati a parlare nella seconda metà di febbraio quando la commissione regionale ambiente ha votato a favore della proposta di proroga della gestione delle acque lucchesi a Geal. Voto poi ribaltato, pochi giorni dopo, in consiglio regionale.

Come già negli anni settanta e ottanta del secondo scorso, dunque da circa mezzo secolo, si ripropone la guerra tra chi difende la “lucchesità” dell’acqua sia come ricchezza sia come modalità di gestione e chi invece punta ad esportare l’acqua ed amalgamare la gestione lucchese in ambiti regionali più vasti e anche poco uniformi.

Seguendo quelli che erano i rami storici del fiume Serchio si riesce ancora oggi a ricostruirne i principali paleoalvei attraverso le foto aeree. Partendo dall’unica ramificazione nella zona compresa tra Saltocchio e San Pietro a Vico si può seguire una specie di tridente. Un primo ramo parte da San Pietro a Vico dirigendosi verso Lunata, Paganico e poi verso Bientina; un secondo ramo si dirige verso Antraccoli, Mugnano, Pontetetto e poi verso Ripafratta; il terzo ramo passa a nord di Lucca e si dirige anche esso verso Ripafratta dopo essere passato da Nave e da Montuolo.

Da ricordare che la zona compresa tra Pontetetto e Sorbano del Giudice rappresenta la soglia morfologica di separazione delle acque superficiali della pianura con il canale Ozzeri che va verso ovest, dunque con deflusso verso il Serchio, e con il canale Rogio che va verso est, con deflusso verso Bientina e il suo canale emissario.

La divisione della pianura lucchese fra i due ambiti, con il bacino del Serchio che comprende il comune capoluogo e il bacino dell’Arno che comprende Capannori e altri territori verso Bientina, è stata spesso oggetto di serrato confronto politico. D’altra parte la falda della pianura di Lucca alimenta, ormai da decine di anni, molti acquedotti anche di altre province. Oltre alla centrale di Salicchi e agli altri pozzi periferici dell’acquedotto cittadino, possiamo ricordare l’acquedotto di Carignano per la zona di Lucca nord, quello di Nozzano per Lucca ovest, quello di Gattaiola per Lucca sud; ed ancora gli acquedotti di Paganico di Capannori, di Porcari, di Altopascio, l’acquedotto del Pollino che alimenta la zona di Pescia e Montecatini Terme, l’acquedotto delle Cerbaie per Pontedera e il comprensorio del cuoio, l’acquedotto di Cascine di Buti e ancora quello che all’epoca era il tanto discusso “acquedotto sussidiario di Pisa Livorno” con pozzi a Carignano e a Filettole.

Ovvio che eventuali e nuovi attingimenti dalla falda dovranno tenere conto del bilancio delle risorse disponibili e possibilmente essere  localizzati vicino alle aree di alimentazione, dunque lungo il corso del fiume Serchio, dove sono possibili anche gli interventi atti ad incrementare la stessa ricarica, come la costruzione di traverse in alveo, da ubicare e dimensionare tenendo conto anche della sezione utile di piena.

Un esempio di ricarica di tale genere si verifica in corrispondenza del tratto di fiume a monte della traversa di Monte San Quirico che venne costruita negli anni sessanta per Ia salvaguardia delle pile del ponte omonimo e che ha prodotto la formazione di un bacino in alveo, nel tratto prospiciente i pozzi dell’acquedotto di Salicchi, con un effetto permanente di alimentazione della falda e con una piezometrica di circa 2 metri più alta di quella naturale, presente prima della costruzione della stessa traversa.

Da ricordare che uno studio di Raffaello Nardi, Gerardo Nolledi e Francesco Rossi del 1987, dal titolo: «Geologia e idrogeologia della pianura di Lucca» evidenziava le caratteristiche geologiche ed idrogeologiche della pianura di Lucca, sulla base degli studi eseguiti nei precedenti 15 anni. «Definito il quadro geologico e della geometria del serbatoio idrico sotterraneo – si legge nelle conclusioni – sono stati affrontati l’analisi della falda nei suoi vari parametri ed il bilancio idrogeologico della pianura. II contesto che ne risulta porta alla definizione di una rilevante riserva di acque sotterranee (quasi 700 milioni di metri cubi di di acqua), con una elevata funzione regolatrice (tasso di rinnovamento oltre il 12 per cento). Questa notevole presenza di acque nel sottosuolo della pianura lucchese, che si abbina e si integra con la elevata disponibilità delle acque di superficie, ha costituito l’elemento forse più determinante nella evoluzione del territorio e ne ha vincolato le vocazioni ambientali e funzionali. I dati raccolti e le indagini eseguite hanno messo in luce che il quadro idrogeologico della piana di Lucca non ha subito variazioni di rilievo negli ultimi 15 anni, sia sotto l’aspetto piezometrico e quantitativo, sia in ordine alla qualità delle acque, salvo qualche alterazione circoscritta connessa con un locale supersfruttamento dell’acquifero (zona industriale di Porcari, area dell’acquedotto di Filettole). Ciò non toglie che, data l’importanza della riserva e la sua vulnerabilità, non debbano essere adottate con urgenza alcune misure per la sua protezione, nella consapevolezza che è assai più facile prevenire l’inquinamento o i danni prodotti da sfruttamento indiscriminato piuttosto che operare decontaminazioni o ristabilire equilibri perduti».

Molte le curiosità leggendo la trentina di pagine di quell’interessante studio che venne pubblicato su “Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria”.

Per esempio che, a titolo esemplificativo, «il tempo occorrente ad una particella d’acqua proveniente dal subalveo del Serchio per percorrere in falda la distanza tra Saltocchio e l’alveo del Bientina all’altezza di Orentano, pari a 16 chilometri, sarà di 25 anni circa». Oppure che «il tempo di rinnovamento della riserva idrica (intervallo teorico necessario affinché il volume proveniente dall’alimentazione annua dell’acquifero sia uguale alla riserva totale media) è di circa 8 anni». Dunque teoricamente – e soltanto teoricamente – nella pianura di Lucca si potrebbe continuare ad avere acqua pompandola dal sottosuolo anche nel caso di totale assenza di pioggia per 7/8 anni.

Insomma abbiamo veramente una grande ricchezza di acqua che è giusto difendere, anzitutto dai crescenti rischi di inquinamento.

Intanto nell’ultimo anno, considerando il periodo dal primo marzo 2024 al 28 febbraio scorso, sul centro storico di Lucca si sono registrati ben 1.344 millimetri di pioggia a fronte della media storica annuale di 1.216,1 millimetri. Il 28 febbraio si è infatti conclusa la scalata alla classifica del febbraio più piovoso nel centro storico di Lucca con il 2025 che si è fermato al quindicesimo posto dall’anno 1916. In gennaio erano caduti 215,8 millimetri di pioggia a fronte di un valore atteso di 127,6 millimetri. In febbraio sono caduti 177,2 millimetri di pioggia sul centro storico di Lucca a fronte di un valore atteso di 106,2 millimetri. I primi due mesi del nuovo anno, dunque, hanno registrato un totale di 393 millimetri a fronte di un valore atteso di 233,8 millimetri, un valore superiore del 68,09 per cento rispetto alla media storica (che parte dall’anno 2016 e arriva all’anno 2024). Considerando che la media di pioggia sulla città di Lucca è di 1.216,1 millimetri l’anno fra gennaio e febbraio si è registrato circa un terzo del quantitativo totale atteso. Ciò segue a due anni piovosi con il 2023 che ha raggiunto quota 1.343,8 millimetri e il 2024 con 1.248 millimetri.

Allargando lo squadro agli altri bacini che compongono la provincia di Lucca (immagine qui sopra) emerge che nel periodo 1 marzo 2024-28 febbraio 2025 nel bacino del Serchio sono caduti in media 2.048,9 millimetri a fronte del valore storico e dunque atteso di 1.787,1 millimetri; nel bacino del Massaciuccoli 1.078,5 millimetri di pioggia valore in linea con quanto atteso (1.032,1 millimetri); nel bacino Valdarno inferiore che comprende parte della Pianura di Lucca 1.227,2 millimetri a fronte del valore atteso di 1.136,2; nel bacino Versilia, che comprende le zone più piovose del versante Alpi Apuane, 1.799,4 millimetri a fronte del valore medio atteso di 1.622, 1 millimetri. Valori dunque considerati nella norma ma comunque tutti superiori alle medie storiche, con punte di maggiore umidità (moderata e fino a severa) negli ultimi2-60 giorni nel bacino del Valdarno inferiore e negli ultimi 10/20 giorni di febbraio nel bacino Versilia.

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