Si svuoterà il lago artificiale di Vagli – Careggine nella prossima estate?
Sì… no… forse…
Se ne parla ormai da alcuni anni ma ogni volta ci sono stati impedimenti o, quantomeno, problemi più urgenti.
Anche questa volta, per l’estate 2024, il tema della riserva idrica rimane preponderante visto che veniamo da stagioni estive caratterizzate dalla siccità. D’altra parte negli ultimi anni i lavori che prima avvenivano con regolarità, ogni 10 anni, sono stati rimandati perché è stato possibile intervenire con mezzi subacquei per le situazioni più urgenti. Non si tratta più di una novità. Già nell’estate di 50 anni fa i celebri «batidischi gialli» dell’equipe di Jacques Cousteau vennero utilizzati per ispezionare le dighe francesi dell’Ente per l’energia elettrica (EDF). Prima nella diga di Serre-Poncon poi nel bacino idroelettrico di Cap-de-Long negli Alti Pirenei.
Insomma da almeno 50 anni si è capito che la tecnica di ispezione subacquea ha vantaggi tecnici ed economici. Le conseguenze di un prosciugamento di un grande bacino come quello di Vagli – Careggine sono di ben cinque ordini: tecniche, energetiche, umane e agricole, sull’ambiente e sulla fauna. I bacini artificiali rappresentano un motivo di attrazione turistica e di impiego del tempo libero che, nel caso di Vagli – Careggine sarebbero comunque sostituiti dal grande richiamo del paese sommerso che ormai non si vede da moltissimi anni.
Sicuramente Enel Green Power Italia ha necessità di intervenire sulla grande diga, ma non ci sono condizioni di urgenza. Gli importanti riflessi culturali, turistici, economici richiedono inoltre una messa a punto dell’intera zona, a cominciare dall’adeguamento della viabilità visto che si prevede la presenza di centinaia di migliaia di persone per vedere il paese sommerso di Fabbriche di Careggine nei pochi mesi di svuotamento della diga.
Operazioni che – almeno teoricamente – dovrebbero essere già avviate o comunque essere imminenti. Già nel novembre del 2020 Enel Green Power Italia srl «in conformità al progetto di gestione, approvato con decreto dirigenziale numero 13520 del 9 agosto 2019, aveva trasmesso il piano operativo di svaso relativo al bacino Vagli, sito nei Comuni di Careggine e Vagli di Sotto». Detto piano operativo di svaso era stato approvato con decreto dirigenziale dell’8 giugno 2021 e prevedeva lo svaso per la primavera 2023. In realtà il 20 marzo 2023 Enel Green Power Italia ha comunicato di ritenere opportuno rinviare lo svaso del bacino di Vagli, tenuto conto che con delibera del Consiglio dei Ministri del 28 dicembre 2022 «è stato prorogato di 12 mesi lo stato di emergenza idrica in relazione alla situazione di deficit idrico in atto nei territori delle Regioni Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto, Umbria, Lazio, Liguria e Toscana e del perdurare di condizioni di scarsa piovosità tali da compromettere il soddisfacimento dei fabbisogni idrici della piana di Lucca nel periodo estivo, in particolare quelli irrigui». Così si è arrivati al decreto 11380 del 30 maggio 2023 che ha accordato «il rinvio alla primavera 2024, delle operazioni di svaso del bacino Vagli, sito nei Comuni di Careggine e Vagli di Sotto già previste per la primavera 2023, accogliendo la richiesta presentata da Enel Green Power Italia del 20 marzo 2023».
Vedremo fra qualche settimana se verrà chiesto un nuovo rinvio o se tutte le procedure consentiranno di arrivare allo svaso programmato.
Nel frattempo dobbiamo ricordare che l’ecosistema fluviale, così come tutti i sistemi naturali, è il risultato dell’interazione di molteplici fattori che concorrono alla determinazione di un particolare habitat in cui l’equilibrio delle caratteristiche ambientali è in continua evoluzione ed è particolarmente sensibile alle variazioni dei parametri idrologici e di qualità delle acque. Il fattore naturale che maggiormente caratterizza un corso fluviale è costituito dalla variazione delle portate lungo l’asta nel corso dell’anno, in particolare tra la stagione invernale e quella estiva, cosa che si riflette in un alto grado di diversità biologica. Ad alterare la naturale evoluzione e diversità degli ambienti fluviali possono concorrere numerosi fattori antropici, tra cui particolare importanza assumono le opere di derivazione e di ritenuta a scopi idroelettrici, irrigui e idropotabili che modificano in modo radicale il deflusso delle acque.
Nel bacino del Serchio lo sfruttamento idroelettrico delle acque data all’inizio del novecento, ed è stato favorito da un territorio acclive con abbondanti valori di precipitazioni. A riscontro si evidenzia che, in Toscana, lungo l’asta del Serchio e della Lima sono presenti 17 impianti di proprietà Enel contro i 6 impianti dell’asta dell’Arno e l’unico impianto lungo il Magra.
L’estensione del parco impianti Enel nel bacino del Serchio conta 12 dighe. 3 sbarramenti fluviali, 51 opere di captazione e 128 chilometri di opere idrauliche ci cui 82,6 chilometri di canali a pelo libero, 40,6 chilometri di gallerie e canali in pressione, 4,8 chilometri di condotte forzate, realizzate dal 1901 (Ania) al 2005 (Gallicano).
Gli invasi Enel sono 12, con un volume totale originario di 46,3 milioni di metri cubi di, dei quali 40,5 milioni di volume utile, ridotti ad oggi ad un volume utile attuale di 32,8 milioni di metri cubi dei quali circa il 75 per cento rappresentato proprio dall’invaso di Vagli.
All’uso “storico” dell’acqua per la produzione idroelettrica effettuato da End si è aggiunto in anni recenti un utilizzo della stessa con impianti di ridotte dimensioni e piccola produzione, in grado di sfruttare differenze di quota abbastanza modeste, che assicurano comunque una redditività tale da rendere conveniente l’investimento. Tali impianti, cosidetti MiniHydro, sono costituiti da un’opera di presa, ubicata lungo il corso d’acqua, che spesso sfrutta la preesistenza di traverse o briglie, da un canale derivatore che corre intubato pressappoco seguendo l’andamento del corso d’acqua e da una centralina finale che riceve le acque del canale e le turbina, con successiva restituzione delle stesse al corso d’acqua originario. Si verifica pertanto una sottrazione localizzata di acqua dall’alveo, con rischio di conseguente impoverimento delle forme biologiche al suo interno. Al momento della redazione del Piano di gestione si contavano, nel bacino del Serchio, circa 110 MiniHydro fra esistenti ed in progetto.
Le fonti rinnovabili di energia hanno un ruolo di primo piano nella produzione di energia elettrica e soprattutto nel processo di decarbonizzazione. La regione Toscana presenta un’alta vocazione rinnovabile con geotermia, idroelettrico, eolico, fotovoltaico e bioenergie che rappresentano circa il 55 per cento della produzione elettrica regionale. Il contributo dell’idroelettrico è intorno al 10 per cento ed è fondamentale per garantire la stabilità della rete. Nell’ambito idroelettrico, Enel Green Power gestisce in toscana dighe, sbarramenti e 33 centrali concentrate principalmente in due bacini idrografici: il bacino del Serchio, nei territori delle province di Lucca e Pistoia, le cui acque vengono invasate principalmente nel serbatoio di Vagli per un totale complessivo di circa 29 milioni di metri cubi; il bacino dell’Arno, nei territori della provincia di Arezzo, le cui acque vengono invasate nei bacini di La Penna e Levane per un totale complessivo di circa 8,7 milioni di metri cubi.
Gli impianti idroelettrici Enel Green Power toscani hanno una potenza efficiente di 250 MegaWatt e negli anni 2021 e 2022 hanno generato mediamente circa 541 GigaWattora di energia elettrica all’anno, in linea con la produzione media pluriennale, garantendo il fabbisogno elettrica di circa 220.000 famiglie (quasi il 10 per cento a livello regionale).
Gli impianti idroelettrici sono importanti anche per l’utilizzo plurimo della risorsa idrica; le acque invasate nelle dighe, oltre ad essere utilizzate per la produzione di energia elettrica, vengono anche derivate dai gestori del servizio idrico integrato per usi potabili e dai Consorzi di bonifica regionali per usi irrigui. Gli invasi gestiti da Enel Green Power sono inseriti nel cosiddetto reticolo strategico e nel periodo estivo le decisioni sulla loro gestione vengono assunte nell’ambito di riunioni periodiche dell’Osservatorio delle risorse idriche istituito presso l’Autorità di Bacino distrettuale dell’Appennino settentrionale.
D’altra parte l’impegno di Enel Green Power è volto anche alla valorizzazione del territorio mediante accordi e convenzioni con gli Enti locali, per l’utilizzo, a fini turistici, naturalistici e sportivi, degli invasi e delle sponde che per gli impianti di Levane e La Penna sono particolarmente fruibili e si integrano perfettamente nel territorio e nel contesto paesaggistico offerto dal Serchio e dall’Arno, impreziosito dalle riserve naturali in cui le centrali e le opere idrauliche sono inseriti. Questi impianti rappresentano quindi un modo razionale di utilizzo plurimo delle risorse che la natura rende disponibili senza depauperarla, in un’ottica di sviluppo sostenibile con il pensiero rivolto alle future generazioni.
La grande diga di Vagli – Careggine è entrata in esercizio nel 1953, ovvero 10 anni prima della gigantesca frana del monte Toc che causò la tragedia del Vajont.
Il sistema delle dighe della valle del Serchio e della valle della Lima comprende impianti in alcuni casi datati, come quello di Corfino, diga costruita fra il 1913 e il 1914, oppure quella di Gangheri (o Trombacco) costruita fra il 1915 e il 1916. Proprio queste due dighe superarono anche il “collaudo” del devastante terremoto del 7 settembre 1920 con epicentro proprio nella zona vicina a Corfino di Villa Collemandina.
Nella storia delle dighe il crollo è comunque un evento raro. In Italia si ricordano le tragedie di Gleno che risale a cento anni fa, il primo dicembre 1923, nella valle Scalve in provincia di Bergamo, e di Sella Zerbino diga secondaria di Molare, che risale al 13 agosto 1935, sopra Ovada in provincia di Alessandria. Più frequenti sono invece le situazioni di stramazzo dovute a fenomeni precipitativi molto intensi, che in alcuni casi hanno raggiunto in 24 ore valori di circa un terzo delle precipitazioni medie annue attese in quell’area, oppure di frane più o meno grandi, come avvenuto sul monte Toc e quindi nella diga dal Vajont 60 anni fa.
Proprio la tragedia del Vajont ebbe effetti, almeno indiretti, anche sulla grande diga di Vagli in Garfagnana. L’invaso di Vagli era stato costruito fra il 1941 e il 1946, con interruzione dovuta a cause belliche. Inizialmente con livello di massimo invaso di 530 metri sul livello del mare e capacità complessiva utile di 8,5 milioni di metri cubi di acqua. Venne poi sopraelevato di trenta metri, fra il 1952 e il 1953, portando il livello di massimo invaso a 560 metri sul livello del mare e capacità complessiva utile di 31 milioni e 700 mila metri cubi di acqua. Il volume totale di invaso arriva a 34 milioni di metri cubi.
Circa l’esercizio della diga, fino al 1964 la quota fu effettivamente di 560 metri sul livello del mare. Dopo la tragedia del Vajont e le preoccupazioni riguardanti possibili instabilità di alcuni tratti delle sponde del bacino la quota venne diminuita, inizialmente a 546 metri sul livello del mare e successivamente a 530 metri sul livello del mare, in pratica con una riduzione del volume utile di regolazione dell’82 per cento, ovvero ben 26 milioni di metri cubi in meno.
Soltanto dopo una decina di anni, a metà degli anni settanta iniziarono gli studi per il possibile reinvaso. Negli anni ottanta l’Enel varò interventi di consolidamento nell’area Vagli Sotto e nelle aree Banchiera-Rigolaccio, in sponda sinistra, che consentirono di riportare la quota a 546 metri sul livello del mare con una riduzione del 47 per cento del volume di regolazione ovvero di 15 milioni di metri cubi in meno rispetto al massimo invaso.
Ricordo di aver partecipato come cronista, all’epoca, con i tecnici dell’Enel e con il geologo professor Raffaello Nardi, ad alcuni sopralluoghi proprio sulle aree della sponda sinistra, al paese di Vagli Sotto e alle strutture della diga.
Fra la primavera del 1983 e l’estate 1985 ci furono varie prese di posizione contro i progetti di ripristino della capacità totale del serbatoio di Vagli. Gli studi geologici (per esempio quello della società Progeo di Pisa, del 20 maggio 1985) invitavano alla massima cautela nella gestione del lago, individuando due aree (fra il fosso Banchiera e il Rigolaccio e nel promontorio di Vagli) «la cui natura geologica può rappresentare un potenziale pericolo tanto maggiore quanto più venga innalzato il livello dell’acqua».
Negli anni novanta i successivi interventi di potenziamento del monitoraggio della diga e delle sue sponde, uniti all’effettuazione di ulteriori studi sulla stabilità delle stesse sponde, portarono a ulteriori innalzamenti della quota: prima fino a 551 metri sul livello del mare poi a 555 metri sul livello del mare, e successivamente a 557,5 metri sul livello del mare, ovvero a una riduzione del 20 per cento del volume utile di regolazione; in pratica 7 milioni di metri cubi in meno rispetto al massimo invaso.
Complessivamente oggi gli invasi del reticolo strategico del Serchio arrivano a un volume utile di 30 milioni di metri cubi. Anche nell’estate scorsa alcuni degli invasi sono stati svuotati per lavori di manutenzione ma – nonostante la perdurante siccità con un livello di severità idrica bassa – il livello di riempimento è risultato superiore al valore obiettivo per il periodo.
L’obiettivo dell’Enel è sempre stato il ripristino della quota originaria di invaso anche proseguendo i controlli sulle sponde della diga e sul promontorio di Vagli Sotto, con sempre ulteriori studi geologici nelle aree Banchiera e Rigolaccio in sponda sinistra; con il potenziamento della strumentazione inclinometrica per il completo monitoraggio della sponda sinistra dell’invaso. Per l’Enel con il massimo invaso si può migliorare la fruibilità complessiva per usi plurimi delle acque contenute nell’invaso sotto i vari profili: energetico; ambientale, industriale e irriguo; turistico e ricreativo con la riduzione del rischio idraulico in ambito locale legato al torrente Edron.
A proposito dei risvolti turistici si potrebbe arrivare dunque il prossimo anno allo svuotamento dell’invaso di Vagli, per gli stessi lavori di manutenzione già realizzati in altre dighe, riportando alla luce l’antico borgo medievale di Fabbriche di Careggine, come già avvenne nel 1958, nel 1974, nel 1983 e nel 1994.
Ricordo di aver vissuto professionalmente – nella veste di cronista de La Nazione – gli svuotamenti del 1983 e del 1994, anche intervistando, nel 1983, alcuni degli ex residenti nell’antico borgo, tornati ad ammirare – con l’inevitabile nodo alla gola – la loro chiesa di San Teodoro con il suo campanile, la via Vandelli con il ponte a tre arcate che attraversa(va) il torrente Edron e naturalmente le loro case, tutte senza il tetto; in molti casi anche senza una parte dei muri perimetrali e/o interni. Già nei primi 30 anni (dal 1953 al 1983) fango e detriti avevano invaso molti spazi, comprese le strade interne all’antico borgo cambiando le proporzioni e le prospettive dell’antico edificato medievale.