Il territorio della Lucchesia è ricco di storie fantastiche ed episodi magici legati al mondo del folclore locale. Racconti tramandati di generazione in generazione narrano di fate, folletti, spiriti, diavoli, animali fantastici, ecc…ma tra i più tipici e conosciuti spiccano certamente quelli sulle streghe, figure che dall’alba dei tempi sono presenti in miti e leggende.
Purtroppo però quelle che per noi sono solo delle storie di un passato ormai così diverso e distante , non lo erano affatto per coloro che le hanno vissute. La superstizione e una religiosità morbosa e sempre pronta a scorgere nell’altro il maligno erano piaghe che si sono estese nel tempo ben oltre quanto si possa immaginare. L’inquisizione, l’organo predisposto dalla Chiesa per indagare su quegli episodi sospetti di eresia che potevano destabilizzare la fede cattolica, nonostante vari cambi di nome restò attivo fino al XX secolo in Italia.
Anche nella nostra Lucca si registra purtroppo un fatto tristemente legato a quella caccia alle streghe che costò la vita a migliaia di donne innocenti, spesso afflitte da quelle che oggi riconosciamo come malattie psichiche o neurologiche, o addirittura perché semplicemente additate da qualche lingua maligna in base a loro presunti atteggiamenti sospetti.
Correva l’anno 1571, il Rinascimento era al suo apice con la riscoperta degli studi classici e il fiorire delle arti e delle scienze. Eppure nonostante un’epoca di scoperte e di rilancio dopo gli anni bui del Medioevo, la paura e la superstizione ancora albergavano nel cuore della maggior parte della popolazione e a farne le spese furono due donne innocenti: Margherita di San Rocco e Polissena di San Macario. Le cronache del periodo ci raccontano che il 28 giugno di quell’anno le due donne furono accusate di praticare la magia nera da una certa Pollonia, di professione balia che risiedeva entro le mura della città. Ella sosteneva che esse le avessero lanciato dei malefici che le avrebbero causato malanni ed altre disgrazie e che entrambe le donne lo avessero fatto per conto di Bartholomea, sorella della vittima con la quale da anni era in lite.
La posizione delle due accusate fu da subito molto complicata, tutte e due erano rinomate come guaritrici: sapevano curare i vermi ed il metrito degli infanti, la febbre, il malvitio (epilessia), il malocchio, sapevano disfare le malìe che si trovano nel letto. Ma quella fama di benefattrici si trasformò ben presto in quella di spose del demonio. Polissena poi soffriva anch’essa di epilessia e, conoscendo il suo disturbo , a chi assisteva alle sue crisi raccomandava “lasciatemi stare perché mi fate più male che bene”. Subite queste parole riportate dai testimoni vennero trasformate in quelle di una strega che stava effettuando un qualche rituale satanico per separare lo spirito dal corpo e compiere chissà quali nefandezze. All’epoca poi l’epilessia era una malattia già nota e non un morbo o un fenomeno del tutto inspiegabile. Nonostante dunque la mancanza di prove tangibili, il Podestà di Lucca Alessandro Naselli e l’Anziano Giovanni Balbani ordinarono di procedere al processo di Margherita e Polissena.
Il motivo alla base di questa crudele decisione pare fosse il mantenimento dell’indipendenza nella gestione degli affari religiosi inerenti alla città di Lucca, dato che dal Papato insistevano perché l’Inquisizione si stanziasse anche nella nostra città. L’unico modo per evitare un’ingerenza politica dello Stato Pontificio era dunque dimostrarsi attenti, rapidi ed esemplari contro gli eretici. A pagare le spese di queste deprecabili manovre politiche furono però due povere donne senza alcuna colpa.
Margherita e Polissena vennero dapprima incarcerate e poi sottoposte a tutti quei supplizi necessari a “capire” se fossero davvero delle streghe. Nei primi giorni di luglio Margherita non resistendo alle torture cedette e confessò tutto: essa era una strega e aveva commesso sacrilegi e perpetrato malefici e messe nere in onore di Satana. Polissena invece si dimostrò molto più forte e stoica, solo nel mese di settembre, ormai abbandonata anche dal marito e ridotta allo stremo e alla follia, ammise di essere colpevole pur di sospendere quel tormento. Ammise di essere una strega, e di esserlo diventata in seguito al lascito di una sua zia di Pescaglia, un pensiero tipico legato a credenze popolari del tempo ma privo di qualsiasi fondamento ovviamente.
Il 2 ottobre 1571 dunque venne emessa la sentenza di morte per entrambe le imputate, da eseguirsi il giorno 13 dello stesse mese. Unica “pietà” concessa alle due fu la commutazione della pena di morte in strangolamento antecedente al rogo. Si chiuse così una delle pagine più buie della storia dei processi nella nostra città.
Riguardando con gli occhi di oggi questo triste episodio, un unico monito resta tremendamente attuale “il sonno della ragione genera mostri”.