Ricominciamo. È questa la parola d’ordine della prima settimana di giugno 2020 che dovrebbe concederci la tanto agognata e (quasi) definitiva libertà. Libertà di cosa? Di togliersi le mascherine quando camminiamo per strada? Via tutto, via i brutti ricordi di lockdown, che poi a me che stavo in casa con la fidanzata, i miei due gatti, le torte della domenica, gli gnocchi al ragù il sabato sera, la musica in giardino, non è che dispiacesse. Via il virus, che appena ci hanno dato modo di tornare all’aria aperta, sembra sparito come le conferenze stampa delle 18 di Borrelli. Mica è vero che il contagio si sta azzerando perché siamo stati in casa due mesi. Tutte cavolate. Meglio credere ai fantasmi che ai dottori.
Ricominciamo, appunto. Con Pappalardo, quello sbagliato. Omonimo del grande Adriano che intorno a quella parola ha scritto sì un capolavoro, un urlo di rinascita, di tenacia, d’amore. Lui Antonio, ex carabiniere, ex politico, ex un po’ di tutto che ci ha provato anche con la musica, invece si è spinto oltre. È sceso in piazza con la pettorina arancione al grido di “che ci frega se ci consigliano di attenersi a certi comportamenti, primo di tutti la distanza, stiamo accalcati come un branco di pecore, tanto è tutta un’invenzione: il Covid non esiste“.
Ricominciamo. Con gli slogan e gli stereotipi nazional provinciali: fa più morti la fame del Coronavirus. Basta, con questa storia, non si può proprio più sentire. Di fame, tolto chi veramente non ha niente e non aveva niente nemmeno prima del Coronavirus, non è morto nessuno. Vero, viviamo in un paese che non funziona, con un governo che non funziona, con un’economia che non funziona, con una burocrazia che ci attanaglia anche quando dobbiamo pagare un bollettino alle poste. Ma riposizioniamo l’economia al suo posto: il secondo. Perché prima c’è la vita.
Ricominciamo. A sfrecciare in lungo e in largo sulle nostre strade, con auto sportive da sfoggiare alla prima buona occasione o motociclette che ti fanno sognare di essere al MotoGp e non sui viali di una normale provincia della Toscana. Come se inseguire il tempo che ci scappa via, fosse l’unico modo per diventare immortali. Poi, però, questa “normalità” che volevamo e che denunciavamo come un diritto inalienabile, diventa orrenda e straziante quando leggiamo sul giornale la notizia dell’incidente di Lunata in cui hanno perso la vita tre ragazzi, uno di 38 anni e gli altri due addirittura adolescenti e con gli occhi pieni di sogni.
È questa la normalità? Forse potevamo migliorarla, ma non ci è riuscito. Perché nella settimana del “ricominciamo” del Pappalardo sbagliato, non certo gradevole come un Negroni sbagliato, è ufficiale anche la notizia del calcio che riparte. Ma non quello che vive di passione, di volontari che un giorno tagliano l’erba e il giorno dopo lavano le maglie, di piccole comunità, di bambini che corrono dietro a un pallone. Riparte il calcio dei Balotelli, delle bizze su Instagram, dei contratti milionari, delle polemiche finite in tribunale. Riparte il campionato di Serie A, che bello! In fin dei conti va bene a tutti così. L’importante era ricominciare. Poi, se le serie minori rischiano di scomparire, se tutto quel mondo di sportivi senza soldi sono ancora fermi e forse senza futuro, se delle scuole non parla più nessuno, se i campi estivi costano di più alle famiglie, non è poi così importante. Tanto la domenica ci sono le partite in televisione e siamo tutti felici. Ricominciamo sì, ma peggio di prima.
Fonte foto: profilo privato Facebook Antonio Pappalardo