Concludo la prefazione al libro su Piero Del Frate cominciata con questo articolo e con la seconda parte.
[…] Per tutto questo complesso di ragioni e di sentimenti, per come li ho vissuti e per gli effetti che poi ho sperimentato, ho attribuito alla mostra “Fra il Tirreno e le Apuane” il valore di un evento esistenziale dal quale la mia autostima, altrimenti ad andamento variabile, aveva ricavato un salutare incremento ed un saldo ancoraggio in alto. Quel mio saggio che il catalogo della mostra ospitava riservandogli uno spazio che lo distingueva per ampiezza dagli altri interventi, l’ho considerato come il testo programmatico del lavoro da continuare. Un lavoro che mi accompagna da più di trenta anni utilizzati per precisare, definire, affinare quelle prime intuizioni, quegli spunti interpretativi che sono andati maturando fino a raggrupparsi nel nodo culturale della “ricerca dell’Eden”: che se era già all’origine di “Fra il Tirreno e le Apuane” si è poi avvalso dei risultati di una più vasta ricognizione che ha saputo individuare i collegamenti che formavano la trama che aveva unito in una comune condizione esistenziale-spirituale la “triade magica”. Una condivisa ansia edenica aveva condotto negli stessi anni di fine Ottocento Puccini, D’Annunzio e Pascoli all’approdo alla “terra incantata”: Torre del Lago, “gaudio supremo empireo paradiso” per Puccini, la Versilia “Nuova Ellade” per D’Annunzio, la “Valle del Bello e del Buono” che Pascoli aveva trovato ai piedi dell’Appennino lucchese.
Che la “triade magica” potesse diventare il nucleo di un ambizioso programma culturale ero riuscito a convincere il neopresidente della Provincia Andrea Tagliasacchi che seppe dargli una struttura operativa fissandone con scadenza annuale gli appuntamenti. Si cominciò con D’Annunzio con la bellissima mostra alla Versiliana curata dalla professoressa Anna Maria Andreoli ed il convegno in Sant’Agostino a Pietrasanta che fu concluso da Ezio Raimondi: l’anno successivo fu la volta di Giovanni Pascoli, omaggiato da due mostre in contemporanea, a Barga ed a Castelnuovo Garfagnana, che furono allestite con dalla mano sicura di Carlo Cresti. Era previsto e stabilito che il progetto, denominato “Memoria del Novecento” riservasse l’appuntamento conclusivo a Giacomo Puccini che avrebbe dovuto essere celebrato con una mostra da tenere a Lucca. L’appuntamento saltò per le bizze di una primadonna, inacidita più che mai, che non voleva rassegnarsi al ruolo di comprimario. Succedeva, succede, succederà.
Mancato quell’appuntamento, non appena si presentò l’occasione di riprendere il filo del progetto il presidente Tagliasacchi non se la fece sfuggire e volle affidarmi l’incarico di allestire una mostra dedicata a Giacomo Puccini da farsi a Glasgow a suggello delle relazioni di amicizia che, tramite Alex Mosson Lord Provost, come sindaco di Barga, avevo stretto con la città scozzese. Con il titolo “The enchanted Land. Puccini’s landscape lights and colours” si allestì una esposizione che recò in Scozia opere di Nomellini, Viani, Chini, Moses Levy, Magri, Cordati, Santini e presentò i lavori che il più qualificato pittore scozzese, John Bellany, aveva realizzato nei mesi della sua permanenza in Valle del Serchio. Ospitata nelle immense sale della prestigiosa “Mitchell Library” l’esposizione fu accolta con grande interesse al punto che la stampa scozzese la qualificò come la più bella mostra d’arte italiana presentata in Scozia. Tanto per non farci mancare nulla, una sbrigativa considerazione: forse per salvare il Centenario Pucciniano dalla mesta fine che gli è stata fatta fare bastava riprendere quella mostra e trasferirla a Lucca: sarà per il prossimo Centenario.
A conferma dell’inesauribile ricchezza del filone scoperto Il tema della “terra incantata” tornava esplicito nella mostra “Dipingere l’incantesimo. Pittori di inizio 900 nelle terre di Lucchesia” che il centro espositivo della Banca del Monte di Lucca ha ospitato fra il dicembre del 2015 e il gennaio dell’anno successivo. A ragion veduta la si può considerare come un aggiornamento, ricco di autonoma vitalità, del ciclo avviato da “Fra il Tirreno e le Apuane”. Sicuramente apparteneva a quel ceppo genetico, ma sapeva mettere in giusta luce gli esiti di un lavoro di trent’anni che aveva saputo andare oltre i confini fissati nel 1990 ed aveva saputo recuperare quella generazione di pittori che in Valle del Serchio si era formata adottando il “filtro pascoliano. Accanto al titolato Alberto Magri, che per suo conto era uscito dal circuito delle esperienze pittoriche valligiane, per sistemarsi, grazie alle esposizioni di Firenze 1914, Milano 1916, Venezia 1927 tra i protagonisti del rinnovamento nazionale, la mostra della Banca del Monte portava all’attenzione l’opera seria di Adolfo Balduini, Umberto Vittorini, Giovan Battista Santini, Oreste Paltrinieri, Vasco Cavani che avevano formato una comunità artistica impegnata, applicando i precetti impartiti da Pascoli, a dare rappresentazione a quella bellezza che il paesaggio della Valle solcata dal fiume conservava intatto.
Per un’altra strada, scendendo dai dolci Appennini seguendo il placido Serchio, tanto caro a Pascoli ed Ungaretti, la mostra del 2015 si spingeva fino a Lucca a Lucca ed anche in questa città di antico lignaggio, serrata fra solide mura attraversata da strade così strette che sembrano fatte apposta per impedire alla luce del sole di penetrarvi, l’incantesimo aveva avuto i suoi pittori e la mostra finalmente li ripagava: il pascoliano Giorgio Lucchesi, ammaliato dalla poesia dei pioppi lungo l’argine del Serchio, Ezio Ricci che sapeva fissare sulla tela lo struggimento di una giornata di pioggia, l’infaticato acquarellista Alfredo Meschi e quell’indimenticabile eterno fanciullo che era Marco Pasega che nella sua opera metteva l’impronta di quella magia che solo chi ama Lucca può provare. Anche loro entravano nella rassegna della Banca del Monte, che con l’esplicita intenzione di rivelarne la paternità dedicai “alla cara memoria di Piero del Frate che nel 1990 volle la mostra Fra il Tirreno e le Apuane”.
Questo libro, che raccoglie saggi ispirati al motivo conduttore di quella mostra, lo intendo, e vi sollecito a fare altrettanto, come un omaggio ad un amico generoso, ad un cittadino esemplare, testimone, discreto e paziente di quell’Italia civile, dei buoni e dei giusti che merita un più degno destino.
Ripeto con il poeta Bertacchi questi versi che fanno da guida ai miei giorni
Il carro oltrepassò d’erbe ripieno
e ancora ne odora la silvestre via.
Sappi fare anche tu come quel fieno
lascia buone memorie, anima mia!