Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera aperta inviata a questa Redazione dall’Avv. Lodovica Giorgi – volto noto in città e socio della Fondazione Cassa di Risparmio – attraverso la quale la nota professionista prende posizione sulle ultime vicende cittadine ed invita l’Amministrazione ad un maggiore dialogo con le opposizioni e con la città.
«Pochi giorni or sono, con un post su facebook, il Sindaco ha svolto alcune osservazioni senz’altro condivisibili: “La città italiana è frutto della connessione di più funzioni. Vive se riesce a mantenere un equilibrio fra residenzialità, funzioni pubbliche e private, commercio, artigianato, turismo cultura e spettacolo, ossia se la comunità locale, nelle sue molteplici articolazioni, sente propria e vive la città, ed è in grado di presentarla come fortemente sua ai visitatori. Se solo uno di questi elementi prende il sopravvento a scapito degli altri, la città italiana si ammala e rischia di perdere identità, divenendo qualcosa di diverso dalla sua storia”.
Leggendo queste parole, è impossibile non pensare a Lucca e non identificare, proprio nello squilibrio fra le funzioni di cui Lucca si è progressivamente ammalata, la causa della attuale perdita di identità della nostra città e di riconoscimento in essa dei suoi abitanti, perdite che anticipano necessariamente il venir meno di vera attrattività da parte del viaggiatore. Il viaggiatore non sceglie luoghi massificati dall’industria del turismo, è noto. E sono lieta che il Sindaco affermi la propria consapevolezza in tal senso. A fronte di una simile osservazione, mi sarei però attesa non semplicemente la lamentela degli scarsi strumenti (che senz’altro sono limitati) e l’invocazione di un intervento “normativo nazionale” che colmi gli “strumenti limitati” degli amministratori “per contrastare le derive del turismo di massa e lo svuotamento dei centri storici, in cui le abitazioni divengono progressivamente preda di grandi gruppi immobiliari” –, ma una coraggiosa assunzione di responsabilità e di iniziativa. Pur con tutti i limiti di una amministrazione locale. I mali che minano l’identità della nostra città, e più ancora i timori di una sua incombente appropriazione da parte dei “nuovi monopolisti che razziano il nostro territorio”, sono dal Sindaco esattamente identificati. Ma poi sorge la rassegnazione. Personalmente penso che l’unico antidoto alla rassegnazione, piuttosto che l’invocazione di interventi altrui, sia il coraggio. Il coraggio di mettersi in discussione, il coraggio di riflettere, di confrontarsi, di progettare, di elaborare una visione del futuro della città, il coraggio di ridefinire, per Lucca e con Lucca, una nuova identità, che dia, per dirla con le parole del Sindaco, un nuovo senso di appartenenza ai cittadini. Che’ la vecchia identità è morta ed è inutile invocarne il ritorno.Lucca manca di una visione del proprio futuro, di un chiaro percorso di sviluppo, di una direzione, sballottata qua e là fra le rivendicazioni del commercio e le lamentele dei residenti, fra la movida e gli schiamazzi, fra il turismo e le tante mancanze del decoro urbano. Con una industria avanzatissima ma spesso assente dal dibattito cittadino. Con una mobilità ferma a quando la circonvallazione era strada extraurbana. Vivacchiamo. Ed invece dobbiamo ricominciare a pensare.
E’ entro una corale riflessione sul futuro, in cui ci si interroga e concretamente si definisce una precisa idea di città, che ritengo vada inserita la discussione relativa alle funzioni degli spazi dismessi di proprietà pubblica, primo fra tutti della parte sud della ex manifattura tabacchi.Non è corretto né certo utile rispondere alle critiche che da più parti, trasversalmente, si levano contro il progetto targato Coima, con un “lì cosa ci mettiamo? Se lo sapete, fate proposte” o con un “nessun altro, oltre la Fondazione, si è fatto avanti”, così da giustificare una futura e quasi inesorabile adesione al project financing proposto da Coima. Detto in altri termini, non è certo limitando il confronto al mero utilizzo materiale dello spazio, o peggio ancora rassegnandosi ad identificare nella proposta Coima la soluzione di un problema ( soluzione che appare anzi esattamente confliggente con quanto il Sindaco lamenta), che potremo rendere quello spazio vivo, perchè funzionale ad un modello identitario di città, che lo stesso Sindaco invoca. La “questione Manifattura” ha una necessaria premessa. Quale idea di futuro coltiviamo per Lucca? Come riteniamo che la nostra città possa rinnovare la propria identità? Quale prospettiva di sviluppo da qui a venti, trenta anni? E quali prospettive di occupazione per i nostri figli? Una prospettiva nuova od il potenziamento e sviluppo di espressioni culturali già presenti?Vogliamo farne città leader della economia circolare (pensiamo solo alla annosa problematica degli scarti industriali ed ai lodevoli tentativi di alcuni imprenditori di progettarne un concreto riutilizzo)? Ed identificare in questa prospettiva nuovi ambiti di ricerca, nuova formazione, nuova occupazione? Vogliamo farne città del fumetto e della cultura pop che intorno ad esso ruota? Progettare dunque intorno ai Comics e con gli imprenditori del settore una rete diffusa di formazione di nuove figure professionali, di eventi, e necessariamente di spazi? Vogliamo invece farne la città italiana della musica (quale musica?) per eccellenza? E magari coinvolgere l’imprenditoria musicale nella progettazione di spazi tecnici ed operativi e di nuove figure professionali? Od invece vogliamo farne città leader nella mobilità sostenibile? E progettare una città in cui le mura, simbolo di chiusura per eccellenza, non siano barriera, ma siano valicabili e da valicarsi con facilità e con scelte di mobilità a basso impatto ambientale: centro e periferia perfettamente integrati. Od invece vogliamo valorizzarne esclusivamente la c.d. “vocazione turistica”? Se così fosse capirei perché si continua, ad esempio, a disinteressarsi del centro storico, del suo decoro e della sua vivibilità, a lasciarlo in mano al turismo ed anzi a voler agevolare ancor più l’utilizzo turistico della città: perché è evidente che, se non altro perché il più redditizio, tale finirebbe con l’essere l’utilizzo di quei nuovi condomini di appartamenti e negozi, cui Coima ipotizzerebbe di destinare il 60% della ex manifattura nella sua porzione sud. Ma se il Sindaco scrive, e condivisibilmente, che è necessario “contrastare le derive del turismo di massa e lo svuotamento dei centri storici, in cui le abitazioni divengono progressivamente preda di grandi gruppi immobiliari” e trovare dunque un nuovo senso di appartenenza alla città, non posso ritenere che sia la “vocazione turistica”, fortemente messa in discussione dalle parole del Primo Cittadino, a costituire il progetto della Lucca del futuro in cui l’Amministrazione vuole investire. Ed ancora, in che misura l’idea di città dovrà oggi armonizzarsi con le emergenze e le nuove esigenze poste dalla pandemia? Pandemia che certo prima o poi finirà, ma magari, come preconizzato ormai da decenni, per far posto ad un’altra. E’ su questo, su una nuova idea di città e di abitabilità, che si stanno interrogando gli urbanisti di tutto il mondo.Queste sono le riflessioni che mi piacerebbe sentir fare dalla Amministrazione quando affronta la tematica dell’utilizzo della parte sud della ex Manifattura, così come di ogni altro “contenitore”. Perché senza visione è dannoso qualunque progetto, a maggior ragione se coinvolge 30.000 metri quadrati del centro storico. Come si inserisce il “progetto Manifattura”, qualunque esso sarà, entro il progetto di sviluppo della città di questa Amministrazione? E qual è questo progetto di sviluppo? Qual è la visione? Quale identità si vuole costruire? Vorrei saperlo. E vorrei discuterne. E vorrei che l’Amministrazione della mia città accettasse consigli, si aprisse ad un dibattito franco con le opposizioni senza nascondimenti, coinvolgesse le tante menti brillanti ed operose della nostra città (anche i c.d. “Intellettuali” cui taluni esponenti della amministrazione non sanno riservare altro che derisione) senza supponenza, ascoltasse “l’alta società che fa bla bla bla” e chiunque abbia voglia di pensare. Vorrei che ascoltasse le istanze dell’ambiente. E vorrei capire e giudicare, liberamente ma consapevolmente. E’ proprio su questo, sulla idea di futuro, che ci vuole chiarezza con la città. E ci vuole confronto. Diversamente ogni dibattito sulla destinazione della porzione sud della ex manifattura navigherà a vista, si confronterà con l’immediato, sarà privo di respiro. E non sarà né funzionale allo sviluppo della città né tantomeno appassionante. E non si dica che abbiamo parlato tante volte di Manifattura: l’aver parlato in passato di Manifattura non significa nulla se ancor oggi non abbiamo definito una precisa idea di città. Abbiamo parlato di spazi, quasi fossero contenitori a sé stanti rispetto allo sviluppo della città, e nel frattempo abbiamo lasciato andare la città alla deriva. Abbiamo parlato del “cosa ne facciamo” piuttosto che del “perché lo facciamo”. Ed allora ripensiamo e riparliamo, prima che sia troppo tardi, perché è solo in una logica di prospettiva, di progettazione di futuro, di ricerca di una rinnovata identità, che gli spazi dismessi, primo fra tutti la ex Manifattura, smetteranno di essere un problema (“cosa ci mettiamo? Chi li mantiene?” e cosi via) e diventeranno una appassionante opportunità: la progettazione della loro funzione, corale e coinvolgente, diverrebbe funzionale ad una consapevole e possibilmente condivisa idea di città. Allora, ma solo allora, i cittadini potranno nuovamente sentire la necessaria appartenenza alla città.»