Migranti – pull factor

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Ne parlavamo ad un aperitivo con degli amici: “che vuol dire pull factor quando si parla di migranti?”

Beh come tema da aperitivo è un po’ strano ma, a volte, la conversazione viaggia per improbabili percorsi…

E allora ci siamo accalorati tra quelli con “le anime belle della sinistra” e “i rozzi fascisti di destra”. Amici sì ma non è che per questo si smette di pungersi…

Ci siamo accalorati sugli epiteti ma sulla discussione di divergenze ce ne erano poche. Perché, a parte gli sfottò, il problema era avvertito da tutti come significativo. E quando parli tra persone normali, gli estremismi della politica quotidianamente urlata fanno la fine dei colori quando si è al crepuscolo: diventano pochi e slavati.

Tutti concordavamo sul fatto che non si può sapere di una barca che sta affondando e non mandare un soccorso. Non è umano.

Tutti concordavamo che non possiamo accogliere in Italia (o in Europa) tutti coloro che lo desiderano perché non sapremmo come dargli quell’esistenza che vengono a cercare e che non sarebbe possibile fargli avere. E che quindi non possiamo non contemplare i respingimenti come parte della gestione dei migranti.

Tutti concordavamo che bisogna contrastare chi specula e guadagna su queste persone che sono disperate.

E, alla fine, tutti concordavamo sul fatto che, se riuscissimo a trovare il modo di aiutare i paesi di origine, quella sarebbe la vera soluzione del problema.

Qualche differenza è emersa soprattutto sul tema delle così dette ONG. Anche perché il loro ruolo è avvolto da una foschia di informazioni parziali, miti, pregiudizi.

È lì che è piovuta l’espressione “pull factor”. Che per spiegarla si potrebbe dire che un trafficante di esseri umani che sa che una nave delle ONG “pattuglia” le acque territoriali in cerca di persone che sono in difficoltà, farà la considerazione che non ha neppure bisogno di mettere su una barca con un motore che sia in grado di fare la traversata; gli basterà una bagnarola che malamente galleggia e un telefonino dato ai migranti: li mette in mare, li porta un po’ al largo se ne va e loro chiameranno aiuto; la nave della ONG arriverà e lui avrà incassato i soldi del trasporto senza neppure doverlo fare davvero. Facile e efficace.

Naturalmente la bagnarola che malamente galleggia potrebbe affondare. E tenderà a farlo molto di più di una nave scelta per avere (o per dare l’impressione di avere) qualche chance di attraversare lo Stretto di Sicilia. Il che porta a un certo numero di morti che, nelle logiche economiche di quei “bravi ragazzi” dei trafficanti, possono essere contato come “perdite accettabili”.

Nel passato c’è stato un caso simile: si è trattato di prendere decisioni difficili quando lo Stato ha combattuto contro “l’anonima sequestri”.

Ci furono una serie impressionante di rapimenti. Ognuno con metodi più brutali del precedente. O pagavi o i tuoi cari ti tornavano a casa: un pezzo alla volta. Raccapricciante.

E la gente pagava.

Non che questo fosse sempre sufficiente, ma la speranza di rivedere i propri cari valeva sicuramente i soldi del riscatto. Cosa è più importante? Un po’ (o anche tanti) soldi o la vita di un figlio/marito/moglie? Nemmeno a parlarne…

E così fare i sequestri era un’industria remunerativa. Che cresceva e cresceva.

Lo Stato intervenne: era illegale pagare un sequestratore. Alla famiglia del sequestrato venivano immediatamente congelati i beni.

La misura fu accolta con comprensibile paura: se uno fosse stato rapito come avrebbe fatto?

Riportando quanto accade oggi a quell’esperienza, è come se delle ONG, in quel frangente, avessero attivato un numero verde per la raccolta di fondi per liberare il rapito. Visto che lo Stato impediva il salvataggio di una persona in evidente difficoltà, le ONG avrebbero potuto attivarsi e raccogliere fondi da mettere a disposizione delle famiglie per risolvere il problema.

Ma il problema si sarebbe risolto meglio con questo intervento?

Certamente qualche malcapitato sarebbe stato salvato. Ma, altrettanto probabilmente, ci sarebbe stato qualche rapimento in più.

Questo è il “pull factor”, il fattore di attrattiva: un’azione che è diretta ad uno scopo nobile ma che è implicitamente (ancorché involontariamente) capace di stimolare una azione malevola che si vorrebbe evitare.

Foto di Julia Volk

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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