In questi giorni è tronato drammaticamente di attualità il tema dei flussi migratori. La linea del dialogo con la Tunisia non ha dato, fino ad ora, i frutti sperati.
C’è da chiedersi se potrà mai darli.
Il dubbio è che il presidente Kaïs Saïed abbia davvero intenzione di farli rispettare. O che sia in grado di farlo, il che poi è equivalente. Questi accordi non sono molto diversi da quelli che Minniti strinse con la Libia. Anzi, per molti versi sono più umani. Anche perché in Libia furono fatti con capi tribali in guerra aperta tra loro offrendo soldi e armi (le motovedette che sono strumenti di controllo del territorio assai preziose); oggi si tratta con un governo legittimo (più o meno) in uno stato sovrano, seppure con forti infiltrazioni malavitose. Certe «licenze», anche sono sottointese, non sono possibili in Tunisia.
Sul tema, nel centrodestra, si alza la tensione: la linea «istituzionale» di Meloni aveva messo nell’angolo gli estremismi linguistici di Salvini, ma il collasso degli ultimi mesi sta rapidamente logorando la posizione governativa e già chiaramente si vede il movimento della Lega che punta a ritornare sul tema con la scimitarra. Soprattutto in vista delle elezioni europee, mai così importanti come il prossimo anno.
Il centrosinistra non aiuta una sana riflessione sul tema. Avrebbero dovuto trovare un accordo con la Meloni sul difficilmente contestabile principio dell’aiutarli in casa loro in modo che non abbiano motivo per andarsene. Magari chiedendo, in cambio di questo appoggio, una diversa postura nei confronti di quelli che arrivano. Così avrebbero creato le condizioni per una oggettiva difficoltà della Lega a moderarsi sul tema.
Hanno preferito la linea sentimentale e strumentalmente elettorale del «salviamoli in mare ma poi non diciamo nulla su che fare dopo». Più facile che spiegare ai propri pasdaran che si può dialogare e trovare soluzioni. E poi la “diversa postura” nei confronti di quelli che ci sono, non è materiale che interessa neppure alla sinistra. Vedasi l’evidente scollatura tra PD e i suoi sindaci sul tema.
E il problema sta sotto gli occhi di tutti.
Le risposte tipo: «abbiamo bisogno di operai, basta lasciarli venire e risolviamo sia il problema umanitario che quello del lavoro» è tanto ingenua quanto errata. Il nostro sistema ha sì bisogno di operai. Ma le quote di operai non specializzati che possiamo assorbire sono modeste.
È il problema delle società avanzate. Non è che manca il lavoro: il lavoro c’è, ed è pure molto ben pagato, ma richiede alta formazione. Molti di quelli che vengono non sono neppure capaci di leggere e scrivere nella loro lingua madre. Per renderli occupabili necessitano di investimenti cospicui in formazione.
Chi è che crede onestamente che un governo possa stanziare, in una finanziaria, importanti quote di formazione verso degli extracomunitari, in un momento in cui ogni maledetto spicciolo viene raggranellato per fare massa per poter portare avanti almeno una qualche iniziativa?
Non riusciamo neppure a garantire che possano non dormire all’aperto, figuriamoci mettere su un grande piano di formazione.
Una politica che non si misura con le risorse non è politica: è demagogia. Se facciamo proposte che non sono mantenibili, il risultato è che freghiamo dei disperati (che non avranno nulla) e freghiamo quei cittadini che magari ci hanno creduto e, vedendo che poi nulla accade mai, smettono di farsi coinvolgere; di votare; di credere nell’importanza dello stato.
Oggi è il tentativo di accordo con la Tunisia ad essere in discussione.
Il «piano Mattei» di aiuti per l’Africa è, a tutt’oggi, l’unica idea «umana» che circola.
L’alternativa, in modo non chiaramente dichiarato ma sostanzialmente inevitabile, è far venire tutti quelli che, in qualche modo, arrivano e poi sperare che il problema si risolva da sé.
Solo che il problema non si risolverà da sé.
Se non ci risolviamo il rebus dell’integrazione efficace il problema esploderà.
Se non troviamo il modo di impiegare queste persone, ci troveremo crescenti ed esplosivi problemi di sicurezza.
Se non troviamo il modo di interrompere i viaggi della disperazione, la gente, la nostra gente, si sentirà presto minacciata e reagirà. E, quando accadrà, lo farà brutalmente. Se si dà ragioni alla gente di coltivare il seme del razzismo è poi dura eradicare la pianta. Certe cose devono essere gestite per tempo se davvero si ha a cuore il benessere delle persone.
I temi dell’integrazione, della formazione (che incrocia anche la formazione dei nostri cittadini, soprattutto i più giovani), e del lavoro saranno oggetto di approfondimento in prossimi articoli cercando di vederli sia in ottica di un mondo «borderless» sia nel conteso della nostra Italia.
Ma sui temi dei confini, soprattutto quelli europei, necessitiamo di un cambio di linguaggio che sottintenda un cambio di mentalità politica.
Sono anni che diciamo che su certi temi si dovrebbero trovare accordi tra destra e sinistra che possano sopravvivere ai cambi di maggioranza e agli anni. Soprattutto per tematiche di tipo internazionale. E nessun tema sarebbe più importante di questo per cercare un dialogo maturo.
Ma, davvero, c’è da dubitare che una simile idea anche solo sfiori i responsabili delle forze in campo…
Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi