C’era una notizia in questi giorni. Il governo Meloni ha fatto un blitz in Parlamento e ha posto la fiducia su un emendamento che pone un serio pregiudizio alla libertà di aborto nei consultori.
Il contenuto dell’emendamento era la richiesta alle Regioni, nell’organizzare i servizi dei consultori, di «avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità».
Il giudizio espresso pubblicamente dalle opposizioni, ma anche da una parte del mondo associativo, sul Governo è quello di avere un atteggiamento «oscurantista», di perpetrare un «attacco ai diritti delle donne», di «calpestarne i diritti», di aver fatto una azione «subdola».
Qualche commento: «Viviamo in un Paese in cui il diritto all’interruzione di gravidanza è già sotto attacco, in cui è già difficile accedere alla pratica, in cui le donne devono viaggiare fuori provincia o addirittura fuori regione per riuscire ad abortire – la denuncia del M5S -. E mentre altri Paesi inseriscono la tutela del diritto all’interruzione di gravidanza in Costituzione – ne abbiamo parlato qui –, l’Italia sceglie di fare un ulteriore passo indietro. Noi continueremo a opporci a questa politica oscurantista del governo Meloni». «Questo governo continua nella sua battaglia contro le donne e contro i loro diritti e lo fa attaccando in primis la legge 194 e il diritto all’interruzione di gravidanza. È vergognoso. Ci batteremo in Parlamento e fuori, affianco alle associazioni femministe, per impedire alla destra questo ennesimo attacco ai diritti delle donne» dichiarano, dal PD, Silvia Roggiano e Marco Furfaro. E poi la AVS: «Non è accettabile che attraverso un emendamento subdolo dell’ultima ora si preveda la presenza nei consultori pubblici di associazioni o Ong anti abortiste». +Europa: «con l’apertura alle associazioni pro life nei consultori per mettere un ulteriore ostacolo all’esercizio del diritto di aborto il governo fa un uso politico dei fondi del Pnrr oltre che calpestare i diritti delle donne».
Il più moderato è stato il PD Boccia su Facebook: «La destra ha deciso che dentro i consultori devono esserci anche le associazioni antiabortiste. Giocano con i diritti e con la libertà delle donne».
La posizione «unofficial» della maggioranza delle testate giornalistiche è che la notizia vada trattata con una presa di distanza. Marcata. Come si fa per tutte le cose che, in un modo o nell’altro, sono censurabili.
E allora ci si chiede: è giusto dare a tutte le idee lo stesso spazio? Se uno proponesse di istituire locali per solo italiani e bagni pubblici separati per gente di colore sarebbe una idea da accettare come quella che proponesse di fare un festival di musica classica? Cosa rende un pensiero degno di essere rappresentato e cosa lo rende degno solo di pubblico ludibrio?
Perché da una parte ci spertichiamo nel dire che lo stato deve essere laico e plurale, che la cultura deve essere aperta a pensieri diversi dal nostro, che in nostro modello di società non è da imporre né può essere confrontato con altri; dall’altra ci sono delle idee che non hanno diritto di cittadinanza. E questo andrebbe anche bene se definissimo quali sono i parametri che dicono quali idee hanno questo diritto e quali no. Se facessimo un atto di chiarezza e di coraggio e dicessimo su quali principi volgiamo fondare una etica pubblica.
Ma no. Questo non si fa. La parola «etica» è essa stessa impregnata di una insopportabile puzza. Si preferisce andare a braccio. Essere moderni. Che poi significa che ciò che è accettabile lo definisce il luogo comune: i film (con la loro pseudocultura a stelle e strisce), il perbenismo di ribalta (quello per cui si dice sempre che quello che fa più comodo è la cosa giusta), i rappresentanti del jet set (cantanti, attori, calciatori, forti della loro proverbiale cultura fatta di profondi studi e ampie meditazioni).
Sostituire l’etica con il «politically correct» è il passo che porta a scolorare ogni idea in un bagno di folla, ogni pensiero in uno o due slogan, ogni forma di impegno in una ricerca di opportunismo.
Poi che importa della legge? Sarebbe parte del contratto sociale ma poi non importa davvero a nessuno. Neppure ha importanza il fatto che, prima della legge, deve venire una forma di etica condivisa per reggere la convivenza. Meno che mai importa del fatto che uno stato che non abbia un’etica pubblica e privata sia sottoposto a tensioni che ne divorano la compattezza. Che è quello che succede alle nostre società.
Per pura curiosità: la legge che ha istituito il diritto all’aborto, è la mitica 194/78. È la legge che tutt’oggi ne definisce i meccanismi di applicazione e che la sinistra ha sempre osannato. E che esordiva con il seguente articolo 1:
« Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite».
Poi ciascuno potrà dire se richiedere che nei consultori possano essere ammessi anche esponenti di associazioni che propongono altre strade all’aborto sia immorale o meno.
Photo by Brett Sayles