L’attentato di Sarajevo, 28 giugno 1914. (parte 2)

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Segue da L’attentato di Sarajevo, 28 giugno 1914. (parte 1)

Era stato scelto il 28 giugno per una serie di motivi; essenzialmente perché l’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dopo l’Imperatore Francesco Giuseppe, aveva programmato una sua visita ufficiale, con la consorte Contessa Sophia Chotek, in occasione di manovre militari che si sarebbero tenuto sull’altipiano di Tarcin, un pianoro a sud di Sarajevo. L’Arciduca era direttamente responsabile delle Forze Armate Asburgiche e voleva verificare la preparazione dell’esercito bosniaco recentemente entrato in organico in quello asburgico.

Con l’occasione si era preso due giorni di ferie per portarsi dietro la signora, e festeggiare insieme il loro anniversario di nozze. I figli rimasti a Vienna in custodia ai precettori gli assicuravano un fine settimana piacevole e rilassante. Era la prima volta che la moglie poteva accompagnare ufficialmente il marito in una cerimonia. La faccenda era andata così. Quando erano più giovani, i due si erano casualmente incontrati nel 1894 in casa di una cugina dell’Arciduca, la principessa Marie-Christine.

La contessina Sophie Chotek von Chotkowa, di nobiltà acquisita e non diretta, era la dama di compagnia di Marie-Cristine, che invece era si una principessa di sangue reale diretto, ma piuttosto bruttina: la contessina Sophie Chotek al contrario era di scarsa nobiltà, ma decisamente più graziosa. L’arciduca si innamorò segretamente di Sophie e i due mantennero a lungo segreta la loro relazione, fino a quando  quella impicciona della suocera, la mamma di Marie-Cristine, trovò un orologio a cipolla dimenticato dall’Arciduca su un divano, lo aprì e dentro vi trovò la foto della contessina Sophie con una dedica dal significato incontrovertibile!

Vi fu uno scandalo!

L’Imperatore pretese che Francesco Ferdinando troncasse subito questa relazione e sposasse la cugina di sangue reale. L’Arciduca rispose che non ci pensava neanche e gli piaceva la contessina dal sangue di regalità annacquata ma di fattura assai più piacevole. 

Intervenne a fare opera di convincimento il Kaiser Guglielmo II, e anche lo Zar Nicola II di Russia. Perfino il Santo Padre scrisse una lettera per cercare di farlo desistere. Niente da fare. Allora l’Imperatore pretese con un atto formale che il matrimonio fosse esclusivamente del tipo “morganatico”, cioè solo religioso; non avrebbe prodotto mai alcun significato civile. La consorte Sophie non sarebbe mai diventata Imperatrice, ne i suoi figli. Lei doveva scomparire nelle cerimonie ufficiali e al suo posto avrebbe accompagnato l’Arciduca la cugina di sangue blu! Nelle foto doveva stare un passo indietro e mai di fianco; anche nella morte, i loro sarcofaghi saranno diversi.

Uno più imponente e alto, uno più piccolo e in basso…

Erano regole di protocollo regale, che oggi appaiono assurde e illogiche, ma vanno contestualizzate nell’epoca di riferimento, l’inizio del XX secolo. Francesco Ferdinando accettò di buon grado questa decisione; troppo forte era il suo amore per Sophie: “Tanto, quando sarò Imperatore io, faccio una legge apposta e rimuovo tutto!”… avrebbe confidato al suo segretario personale.

Il 28 giugno però oltre ad essere l’anniversario delle nozze reali, era anche la ricorrenza della battaglia di San Vito. 

Il 28 giugno 1389, nella “Piana dei Merli” in Kosovo, i serbi del Regno di Bosnia avevano fronteggiato l’Impero Ottomano, in una cruenta battaglia. Per i serbi una data importantissima, storica.

La visita dell’Arciduca in quel giorno era un affronto.

Da qui la decisione di attentare alla sua vita proprio il 28 giugno!

Lo stesso giorno, il 28 giugno, ma del 1992, sarà scelto dal Presidente francese Mitterand per il suo storico viaggio a Sarajevo, nel tentativo di porre fine alla sanguinosa guerra civile.

Come scriverà un grande storico Eric Hosbawm, nel suo “Il secolo breve” il XX secolo nasce e finisce a Sarajevo. Il 28 giugno.

Sarajevo: la Gerusalemme d’Europa.

Centro geografico, politico, finanziario, culturale e religioso dei Balcani.

Crogiuolo di razze e religioni, vi convivevano da centinaia di anni bosniaci, croati, serbi, italiani, greci, mussulmani, ortodossi, ebrei, cattolici. Biblioteche storiche, moschee, chiese e cattedrali, sinagoghe, templi. Il quartiere turco con i suoi mercatini è uno dei luoghi più caratteristici del centro di Sarajevo.

C’è una piazza dove si affacciano contemporaneamente tre luoghi di culto diversi; una moschea, una cattedrale e una sinagoga. La mattina è tutto un susseguirsi di richiami dal minareto mischiati al suono delle campane e alla preghiera lamentosa degli ortodossi.

Prima della guerra, la qualità della vita era davvero alta a Sarajevo, stessa Latitudine di Lucca, 43° 45’. Sarà per questo che io ci stavo benissimo in servizio a Sarajevo.

Il Comando italiano nel 1996 era situato in un ospedale pediatrico dismesso perché bombardato dai serbi, Zedhra, in cima alla collina con i due imponenti cimiteri monumentali, accanto allo “Stadio Kosevo” dentro il quale nel settembre del 1997 vennero gli “U2” a tenere il famoso “Concerto for Sarajevo”, al quale ho assistito con i miei colleghi in posizione privilegiata proprio davanti il complesso. Che storia ragazzi! Incredibile!

Anche Gavrilo Princip la sera del 27, poco prima dell’attentato era andato al cimitero monumentale, ma con una ragazza. Questa storia la racconteremo a parte. In calce.

Adesso torniamo al 28 giugno, del 1914.

Nei due giorni precedenti l’Arciduca aveva assistito alle manovre militari dell’esercito bosniaco da poco incorporato in quello austroungarico sull’altipiano di Tarcin; quello stesso altipiano venne poi utilizzato da noi artificieri della SFOR per le gigantesche Operazioni “Vulcano” ed “Etna” di distruzione degli ordini rimossi dal terreno.

L’Arciduca era rimasto visibilmente soddisfatto dalle manovre, tanto da disporre che terminassero prima del tempo, telegrafando allo zione Imperatore a Vienna che i soldati bosniaci erano tutti bravissimi, preparati e efficienti.

Aveva fatto mettere in libertà la truppa e si era concesso il sabato libero con la moglie, a spasso a Sarajevo in incognito, come due turisti! Erano alloggiati all’albergo delle Terme di Idliza, una decina di chilometri a sud della città. Nel ’97 nello stesso albergo c’era il Comando di Corpo d’Armata della SFOR, la forza di Stabilizzazione Multinazionale che aveva spento gli ultimi rigurgiti di guerra civile.

La cucina militare, a conduzione americana, riusciva a mettere sui banchi della distribuzione 24 qualità di formaggi differenti, vino roseè della California, birra al malto, sidro, riso al curry per le truppe indiane, e bistecche alla griglia tagliate sul posto con lo spessore in base alla indicazioni delle dita! Quando eravamo di pattuglie per la rimozione di un ordigno in zona, andavamo sempre a pranzo lì!

Il giorno del sabato la coppia regale era andata in incognito a Sarajevo, a passeggio a far compere. L’atmosfera era idilliaca, la giornata piacevole e avevano fatto acquisti al mercato turco. La sera cena di gala in albergo con i notabili locali. Tutto procedeva al meglio, nonostante le preoccupazioni del capo della polizia locale, che aveva avuto contezza di alcune segnalazioni… Ma l’addetto militare dell’Arciduca, il Tenente Colonnello Von Merizzi di madre italiana, aveva consigliato l’Arciduca a proseguire il programma ufficiale per non mostrare debolezza.

Quindi, al mattino del 28, dopo aver preso la Messa nella capella privata dell’albergo, i due salirono sull’auto che li portava a Sarajevo.

Una Gräf und Stift 28/32 “Double Phanthom”, di proprietà dell’addetto militare austriaco a Sarajevo, il conte Von Harrach.

L’auto è uno dei misteri dell’attentato. Era guidata da un triestino (all’epoca Trieste faceva parte dell’Austria Ungheria), Franz Urban, che nel viaggio di ritorno dopo il primo attentato fallito, sbaglia strada e si ferma proprio davanti al secondo attentatore, Gavrilo; che non sbaglia.

Nella targa dell’auto molti storici a vocazione esoterica individuano un messaggio sublimale: “A” come Armistizio, “II” come mese di Novembre, “11” come giorno, “18” come anno 1918. In effetti l’Armistizio definitivo, la fine della Grande Guerra fu firmato a Compiegnè (Fr.) l’11 novembre del ’18.

Molto meno prosaico è stato il destino della macchina dopo l’attentato; acquistata dal Governatore della nascente Jugoslavia; ha quattro incidenti, con la perdita braccio destro; poi la compra il dottor Srikis, il quale dopo sei mesi muore schiacciato sotto l’auto ribaltata; l’acquista quindi un collega del dott. Srikis, che in breve tempo perde tutti i suoi pazienti; quindi un pilota svizzero si schianta contro un muro e muore sul colpo; riparata, passa ad un agiato agricoltore che investe e uccide due uomini; l’ultimo proprietario, Tiber Hirshfield. ridipinge l’auto color azzurro cielo; invita cinque amici ad accompagnarlo a un matrimonio. Muoiono tutti sul colpo in un violento scontro frontale lungo il tragitto. L’auto, ricostruita per l’ennesima volta, viene spedita al Museo di Vienna. Il veicolo scompare misteriosamente durante la Seconda Guerra Mondiale, a seguito dei bombardamenti che danneggiarono gravemente il Museo di Vienna e ricompare al Museo di Storia Militare di Vienna, dove è tutt’ora visibile. Forse è il caso di non avvicinarsi troppo.

Torniamo al mattino del 28, mentre il corteo con 6 o 7 autovetture (il numero è ancora oggi incerto) lascia l’albergo delle Terme di Idliza e risale verso Sarajevo; imbocca il grande viale chiamato Appel Quay, cento anni dopo meglio conosciuto come  “Sniper Alley”, il Viale dei cecchini, lungo il quale i tiratori scelti serbi colpivano i passanti bosniaci che transitavano lungo il viale. Si appostavano negli edifici alti del quartiere serbo di Gorbaviza. Ancora oggi lungo i marciapiedi del Viale si vedono le impronte rosse a ricordo delle vittime.

Il piano era semplice: gli attentatori si sarebbero disposti lungo il viale a intervalli più o meno regolari e dovevano colpire ripetutamente l’Arciduca al suo passaggio fino a che uno avesse avuto successo. Tecnicamente si chiama “imboscata lineare”. Lascia poco scampo.

Il corteo procede lentamente, sono le 10 del mattino, domenica, giorno di festa; la visita è stata annunciata da tempo, bandiere alle finestre e la gente lungo le strade ad applaudire al passaggio dell’Arciduca e la moglie che sono seduti nella terza auto, preceduta da una scorta di poliziotti, e seguita altre due con gli addetti militari e i segretari.

Ad un certo punto, all’inizio del viale che costeggia il fiume Miljiaca in secca, il primo degli attentatori, Mehmedbasiç, un ragazzo di 18 anni ebbe pietà della coppia regale pensando ai figli; aveva visto la loro fotografia su un giornale alcuni giorni prima e non se la sentiva di lasciarli orfani; non valeva un gran che come attentatore. Un secondo terrorista li accanto, Ilic, era troppo stretto tra la folla e non riuscì ad estrarre la bomba a mano e quindi desistette; un terzo pensò di essere stato notato dai poliziotti e si allontanò impaurito. Ma il quarto terrorista, Čabrinović, era molto più determinato, e per non sbagliare chiese ad un poliziotto di guardia lungo il percorso su quale macchina viaggiavano. Voleva esser sicuro!

La cosa deve essere andata più o meno così: “Scusi signor poliziotto, qual è la macchina con l’Arciduca?” E la risposta: “Guardi, è proprio la terza, vede?”. “Ah ecco, grazie mille!” ed estratta la bomba a mano dalla tasca, la battè su un palo della illuminazione e la lanciò verso l’auto che gli arrivava contro.

Ma la bomba a mano modello Krakujevac, (nome del sito di produzione), aveva un ritardo pirico di 10 secondi; vuol dire che dal momento della sua accensione per battuta su un corpo duro, l’attentatore avrebbe dovuto aspettare alcuni secondi prima di lanciarla.

Non è facile gestire una cosa del genere… occorre essere addestrati e bene. È una roba da soldati. Una bomba a mano una volta innescata…, scotta tra le mani! Se uno non è addestrato a contare i secondi, la prima cosa che vuol fare è liberarsene.

E questo fece Čabrinović.

Appena innescata la bomba, non attese i secondi necessari e la tirò.

E la bomba colpì il cofano della autovettura dell’Arciduca, che procedeva in senso inverso alla direzione di lancio, rimbalzando e superando l’autovettura scoperta, per andare a cadere nella vettura successiva, che seguiva.

A questo punto l’ordigno esplose.

E fece un gran danno ferendo gravemente gli occupanti, tra i quali il Ten. Col. Von Merizzi di origini italiane, che accompagnava l’Arciduca, l’autista dell’auto, un altro ufficiale e alcuni civili li vicino. Anche la Contessa Sophie venne raggiunta al collo da una piccola scheggia, che le provocò la fuoriuscita di un pò di sangue.

A quel punto era chiaro che erano sotto attacco e che si era trattato di un attentato! Si organizzarono i soccorsi, ma fu deciso di sospendere il percorso lento e proseguire direttamente verso il Konak, il Comune di Sarajevo dove avrebbero fatto un punto della situazione!

Nel frattempo fu disposto il trasporto dei feriti in ospedale.

Gli altri attentatori disseminati lungo il percorso videro sfrecciare le auto a tutta velocità e non riuscirono più a colpirli.

Desistettero. Piuttosto deluso e abbacchiato, uno degli attentatori, Gavrilo Princip, in attesa davanti al Ponte Latino, attraverso la strada e andò a prendersi da bere e da mangiare in una caffetteria all’angolo opposto; da Moritz Schiller’s, un commerciante ebreo. Oggi in quel locale c’è una libreria.

Arrivati in cima al Viale al Konak (il Comune) il Sindaco venne incontro all’Arciduca, a braccia aperte, tutto sorridente e ignaro di tutto. Francesco Ferdinando piuttosto comprensibilmente seccato e adirato lo interruppe: “…Signor Sindaco, uno viene qui in visita amichevole e viene accolto con le bombe!

È una cosa indegna!”

La Contessa Sophie riuscì a calmare il marito. Sapeva come fare e cosa dirgli; era l’unica che riusciva a calmarlo quando si arrabbiava.

Presiedettero quindi una riunione operativa nella quale vennero prese in esame diverse ipotesi; continuare la visita, annullarla, rientrare in albergo… Il Governatore assicurava l’Arciduca che l’unico attentatore era stato catturato e non c’era più pericolo… (sic!); in effetti il Čabrinović una volta lanciata la bomba, era scappato, inseguito da alcuni poliziotti che avevano visto la scena. Per sfuggire alla cattura si era gettato nel torrente Miljaca, ma siccome era fine giugno e il torrente era in secca, aveva battuto una forte panciata sul fondo ciottoloso, non riuscendo ad annegare perché l’acqua era profonda 15 cm!

Allora aveva ingerito la fiala di cianuro mentre i poliziotti sopraggiungevano per catturarlo. Ma il cianuro scaduto lo aveva fatto solamente vomitare e quindi era stato catturato e corcato di botte.

Una delle opzioni che venne presa in esame fu quella di impiegare i soldati impiegati nella esercitazione per creare un percorso continuo di sicurezza che proteggesse il convoglio fino all’albergo. Venne scartata perché… i soldati avevano solo la uniforme da combattimento sporca di fango e non quella di rappresentanza! Non potevano far passare l’Arciduca davanti a soldati malmessi… in disordine… via, era inconcepibile! E quindi… non se ne fece di niente.

A questo punto il destino gioca nuovamente le sue carte.

Vittorio Lino Biondi
Vittorio Lino Biondi
Sono un Colonnello dell'Esercito Italiano, in Riserva: ho prestato servizio nella Brigata Paracadutisti Folgore e presso il Comando Forze Speciali dell'Esercito. Ho partecipato a varie missioni: Libano, Irak, Somalia, Bosnia, Kosovo Albania Afganistan. Sono infine un cultore di Storia Militare.

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1 commento

  1. Interessantissimo…!!! Pochi la conoscono in modo così dettagliato….attenderò con piacere ..la continuazione della storia…che è diversa da quella studiata a scuola….!!!!….a presto!

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