Venti. A Lucca ci sono 20 supermercati, 14 fuori dalle Mura, 6 nel centro storico. Eppure è proprio di questi giorni la notizia, non ancora confermata, che al posto di una nota azienda edile locale, giunta alla chiusura, sorgerà un nuovo supermercato. Un altro. Il 21esimo. Considerando che a Lucca abitano 90170 persone (dati ufficiali aggiornati a luglio 2021, reperibili sul sito del Comune), un rapporto di poco più di 4500 abitanti per supermercato. Giusto per dare un’idea della proporzione, a Milano (1.3 milioni di cittadini) ce ne sono circa 226, con un rapporto di 1 ogni 5750 persone circa. Un vero e proprio assalto, che mette in difficoltà tutta quella realtà fatta di piccole botteghe e alimentari, che da sempre caratterizzano la nostra città.
Bando all’ipocrisia, chi vi scrive va a fare la spesa al supermercato esattamente come chiunque altro. Ciò non mi esime, però, da una riflessione sul tema, anzi comincerò proprio dalle mie abitudini personali.
Sabato, giorno di spesa per antonomasia. Dopo una settimana passata tra lavoro, famiglia, hobby, arriva il momento in cui frigo e dispensa piangono e c’è bisogno di correre a fare rifornimenti. Ed ecco che improvvisamente, in quello che dovrebbe essere un giorno di libertà e relax, ci ritroviamo a correre tra le corsie di un supermercato, a sgomitare per l’offerta che sta per scadere e incolonnati ad una cassa in attesa di pagare gli acquisti faraonici, che ci salveranno da questo girone dantesco solo fino al sabato successivo.
E va già tanto bene così, se alla fine ci accontentiamo di acquistare tutto in un unico posto. Perché c’è tutto un altro (ben nutrito) gruppo di persone che decide di intraprendere un vero e proprio tour dei supermercati, alla ricerca della carne migliore, del pesce più fresco, della verdura a chilometro zero. E badate bene, ci stiamo limitando solo ai supermercati, senza considerare negozi e catene specializzati in altri tipi di prodotti, come articoli per l’igiene e la casa e simili.
I vantaggi della grande distribuzione sono evidenti: varietà di scelta enorme, sia in termini di quantità che di marche, prezzi abbordabili, linee economiche, offerte speciali, sconti e buoni, raccolte punti. I supermercati sono l’ideale per fare la “spesa grossa”, quella che serve sostanzialmente per nutrirci e mandarci avanti giorno dopo giorno, in una sorta di automatismo del nostro vivere e mangiare.
Ma ecco che qui, proprio qui, arrivano le care vecchie botteghe. Fari che resistono, o almeno ci provano, contro l’impetuoso sciabordio di alti scaffali e banchi frigo dalle temperature antartiche. Perché, diciamocelo, ogni tanto, tra un fettina di manzo rigida come una suola e un pomodoro insapore, sentiamo non solo la voglia, ma proprio la necessità di mangiare qualcosa che sia davvero di qualità, che ci riempia non solo lo stomaco, ma soprattutto il cuore, di sapore. E’ proprio in quei momenti che ci rivolgiamo alle botteghe e agli alimentari, con quel loro tocco di antico e tradizione, e quell’odore di buono che fa venire l’acquolina in bocca non appena si varca la soglia del negozio.
Non me ne abbiano a male i proprietari o i dipendenti dei supermercati, ma il salame della botteghina, la salsiccia del macellaio, il pane del forno… beh, non hanno prezzo. E allora sì, quando vogliamo toglierci la soddisfazione di mangiare bene (e noi Italiani, si sa, ci teniamo particolarmente), siamo anche disposti a spendere un po’ di più. Ma vuoi mettere la soddisfazione?
Per non parlare di tutti quei prodotti tipici della tradizione che un supermercato non fornirà mai o che, nella migliore delle ipotesi, potrà vendere in una forma e una ricetta industriale. Certo, da qualche parte si possono trovare il biroldo, la farina di castagne, il buccellato; ma siamo onesti, hanno lo stesso sapore di quelli che trovate nel negozietto vicino casa?
Gusti a parte (letteralmente), un’altra considerazione è d’obbligo: lo scorso anno il lockdown ci ha costretti a riscoprire l’importanza e il valore delle botteghe, soprattutto nei piccoli paesi. L’idea di andare al supermercato, in mezzo ad una folla di persone, ci ha portati a rifugiarci nell’alimentari più piccolo e meno frequentato. Per non parlare della difficoltà, se non della vera e propria impossibilità, di spostarsi, per chi vive in località lontane dal centro.
E’ altrettanto vero che nel corso degli ultimi anni, l’attenzione di molte persone, soprattutto giovani, si è spostata su un tipo di spesa sostenibile, fatta di prodotti a chilometro zero, coltivazioni biologiche, allevamenti non intensivi. Caratteristiche proprie delle piccole realtà locali e che molte catene stanno cercando in qualche modo di fare proprie, per non lasciarsi scappare una fetta importante di pubblico.
La grande distribuzione continuerà ad avanzare, altri supermercati continueranno a insediarsi nel nostro territorio, così come in tutta Italia e nel mondo. Ma la bottega rimarrà un punto fermo per qualità e particolarità dei prodotti; o almeno così mi auguro. Perché in fondo, come diceva Amelie nel film sul suo favoloso mondo, tuffare la mano in un sacco di legumi, quando da bambini accompagnavamo la mamma in bottega, rimane uno dei piccoli, autentici piaceri della vita.