In questi giorni abbiamo assistito alle vicende del parlamento europeo con un certo misto tra disgusto e incomprensione. Il disgusto è tanto comprensibile quanto motivato e non necessita di essere ulteriormente raccontato. Più importante è la difficoltà a comprendere quanto è accaduto.
Quello che non si capisce chiaramente, è quale sia stato l’oggetto che il corruttore Qatar (nazione) abbia «comprato» con illegittime elargizioni. E, se non si capisce, è perché il sistema di formazione delle norme e delle decisioni a livello comunitario è oggettivamente troppo complesso e troppo poco trasparente.
In Europa ci sono tre attori attivi con poteri anche sovrapposti: la Commissione Europea, il Consiglio Europeo e il Parlamento.
Ma il vero motore dell’organizzazione e del funzionamento della macchina europea, e non solo di questa, è il vastissimo sistema di funzionari, attaché, portaborse (che durano in carica più dei parlamentari passando da uno all’altro) e delegati che determinano le leggi e gestiscono il funzionamento del sistema e sono quasi permanenti nei rispettivi ruoli.
È un mondo vasto e invisibile, fatto di rapporti personali e conoscenze specifiche per una sottocultura complessa e selvaggia: un dedalo di norme e regolamenti; interessi nazionali e blocchi tra nazioni; trattati; convenzioni mai scritte e, ciononostante, ferree. Il tutto condito da una salsa di lingue diverse e pregiudizi radicati. Un dedalo in cui i parlamentari stessi si muovono solo grazie all’aiuto che possono trovare da «piloti» (gli assistenti e i funzionari nazionali) che formalmente sono loro sottoposti ma che, in realtà, hanno le chiavi del sistema e senza il di cui aiuto non hanno molte possibilità di operare.
Quindi, in questo mondo a parte, i parlamentari, che sono la parte emersa e visibile dell’iceberg, sono anche i meno importanti. Vuoi perché, per lo più, hanno una visione e comprensione limitata delle cose che accadono, vuoi perché le competenze che i trattati danno al Parlamento Europeo non sono poi così estese come il nome «parlamento» farebbe pensare.
Quindi, un corruttore con disponibilità di denaro quasi illimitata quali snodi di questo complesso sistema potrebbe scegliere di corrompere?
I più inaccessibili sono, naturalmente, i membri del Consiglio: sono i capi di governo delle nazioni europee e sono troppo sotto osservazione e troppo sotto la pressione delle opinioni pubbliche nazionali per essere facilmente avvicinati e influenzati con denaro.
I Commissari sono già più attaccabili: sono per lo più politici a fine carriera in cerca di visibilità e, in gran parte, in cerca di collocamento per un futuro di conferenzieri o consigli di amministrazione di qualche grande società. Inoltre, sono permanenti a Bruxelles e questo genera una molteplicità di occasione di avvicinamento e di opportunità. Infine, la Commissione ha competenze piuttosto estese e anche su materie importanti sui rapporti internazionali. Ma sono anche relativamente pochi e quindi sono un osso non facile da mordere.
I Parlamentari sono tanti. Il che è un vantaggio e uno svantaggio al tempo stesso (per un ipotetico corruttore). Un vantaggio perché è più facile trovare chi è sensibile alla corruzione, uno svantaggio perché per incidere serve un numero maggiore di corrotti. Ma, anche qui, con una scelta oculata, cercando chi possa essere in posizione migliore per influenzare le decisioni, si possono ottenere buoni risultati. È la scelta che hanno fatto i corruttori qatarioti, a tutta evidenza.
Ma i gangli più facili da aggredire sono decisamente i molti componenti delle burocrazie che scrivono materialmente i documenti: leggi, regolamenti, trattati, delibere ecc. E che istruiscono queste pratiche definendo, prima della politica, cosa è possibile fare e cosa no. Inoltre, sono quelli che durano in carica più tempo, non essendo soggetti a ricambio, né sono esposti a eccessiva visibilità.
Ora, anche se veramente questa categoria non è stata oggetto di corruzione in questa vicenda (ma aspettiamo di vedere dove porteranno le indagini per esprimere un giudizio in proposto) questo rimane uno dei punti più oscuri e deboli della costruzione europea: il fatto che le decisioni che un politico può prendere sono pre-orientate da una burocrazia né eletta né realmente dipendente da chi è stato eletto.
E questo è un problema non solo europeo ma anche italiano (e non solo italiano). Il fatto cioè, che le leggi non siano più il prodotto di persone che possiamo mandare noi a rappresentare interessi e che, soprattutto, possiamo sostituire. Persone quindi rappresentanti una sensibilità e una cultura definita e nota, che possano mettere nelle leggi che regolano la vita di tutti noi, quella parte immateriale e di difficile definizione che, però, ne costituisce la vera anima, il vero spirito. E che dovrebbe anche guidare anche i giudici quando, quelle leggi, sono chiamati a farle applicare. Oggi, invece, assistiamo a leggi scritte in un linguaggio da «iniziati», quasi esoterico, piene di rimandi ad altre leggi che sembrano più un’ostentazione di conoscenze, direi quasi di erudizione, che funzionali a definire il contenuto della legge. E stracolme di una impostazione pubblicista (nel senso di una sudditanza al pubblico come potere autonomo e incontrastato, direi come titolare di un sacro diritto di determinare il bene o il male) che quasi istiga alla contrapposizione tra pubblico e privato, tra privilegio e lavoro. Una contrapposizione che oggi segna le relazioni tra chi lavora nel pubblico e chi no. E questo vale sia per il «prodotto» nel nostro Parlamento che per quanto esce da quello comunitario (tranne per la parte di rimandi a cascata: quello è un gusto soprattutto nostrano).
Nella costruzione europea tutto questo, intendendo il senso di estraneità e di diffidenza, la confusione dei cittadini tra ruoli e istituzioni, la difficoltà di comprendere la ratio delle norme, direi la naturale avversione per tutto quello che arriva dalle istituzioni comunitarie, è addirittura amplificato.
E lo è per la farraginosità del sistema; per la difficoltà di comprendere le istituzioni: che non nascono con lo scopo di guidare, ma per essere controllate. Fino al punto che la preoccupazione principale dei costruttori era che la «creatura» non prendesse vita autonoma.
La costruzione europea è fatta da così pochi pesi (intesi come poteri decisionali) e così tanti contrappesi (intesi come blocchi, diritti di veto, materie riservate ecc.) che appare incredibile che possa arrivare a decidere alcunché. E questo era il principale intento dei costituenti: non consentire che la «creatura» prendesse vita, che diventasse un soggetto autonomo rispetto ai «creatori». Che, cioè, il palamento non fosse un soggetto veramente autonomo ma restasse soggetto alla volontà dei paesi (e dei relativi governi) che gli hanno dato vita. Ma proprio la complessità, la farraginosità di funzionamento, l’opacità di un sistema che determina leggi che poi devono essere «importate» nei sistemi legali nazionali, la lontananza, infine, che i cittadini avvertono per le cose europee di cui possono determinare ben poco, tutto questo costituisce la condizione ideale per la corruzione e per l’interesse illecito.
La via maestra l’abbiamo persa anni fa, con il fallimento del tentativo di dare una costituzione all’Europa. Oggi siamo in un «cul de sac»: e procediamo determinati sperando, ciecamente, che in fondo al «sacco» ci sia un buco da cui uscire. E le parole di Gino Bartali tornano alla mente con insistenza…
Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi
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