In questi giorni abbiamo assistito allo sciopero dei lavoratori statali, indetto dai sindacati per protestare contro il mancato rinnovo dei contratti collettivi e per chiedere al ministro Dadone nuove risorse e maggiori investimenti nella pubblica amministrazione.
Abbiamo assistito, soprattutto, alle successive polemiche e all’acceso dibattito che ne è scaturito: “come – si è detto – noi siamo alla fame da marzo e questi scioperano nonostante siano gli unici sicuri di mangiare? Questo, in estrema sintesi, è il pensiero di gran parte degli italiani…e come dargli torto?
Questo sciopero ha lasciato l’amaro in bocca a molti, sarebbe inutile nasconderlo. Ha lasciato l’amaro in bocca a chi da sempre – e a maggior ragione in questi mesi surreali – si è dovuto scontrare con tutte le inefficienze del settore pubblico italiano. Uffici allo sbaraglio, telefoni che squillano a vuoto, dipendenti che – certi dello stipendio – vivacchiano con quel lassismo tipico da film di Checco Zalone. Un cliché? Non esattamente.
Certo, è da stupidi generalizzare. Nel settore pubblico ci sono anche migliaia di persone che quotidianamente svolgono il proprio lavoro a servizio della collettività con cognizione di causa. Ma – parafrasando Gaber – solo chi non conosce gli impiegati statali, parastatali e affini può negare che nei pubblici uffici ci sia una miriade di parassiti, lautamente stipendiati, che gravano sulle casse di tutti noi.
In questi mesi, tra lavoro da remoto e protocolli che d’improvviso devono essere rispettati pedissequamente, abbiamo visto tutti l’accentuarsi di criticità e virtuosismi. Abbiamo visto chi – nei vari uffici comunali, nei tribunali, negli ospedali ecc. – lavora con efficienza e chi invece si crogiola nella mantra del posto fisso senza ritegno né dignità. Anche e soprattutto a causa di questi ultimi, di fronte a tale sciopero, ristoratori, commercianti e professionisti sono insorti. È il primo, naturale e istintivo pensiero, lo farebbe chiunque si trovasse nelle attuali condizioni delle categorie sopraindicate.
Ma è una lotta tra poveri, perché di questo si tratta. Una contrapposizione sociale divisiva e verticale, che non vede più i padroni da una parte e gli sfruttati dall’altra. Oggi di qua ci sono gli autonomi e di là i dipendenti pubblici. Tutti ugualmente morti di fame, sia chiaro. Perché – salvo rare eccezioni – i soldi veri sono altrove. Nel frattempo, il livello di odio e di tensione raggiunto è preoccupante.
Le pubbliche amministrazioni sono ormai viste dalla gente comune come dei veri e propri carrozzoni, e sfidiamo chiunque a dire il contrario. Un rifugio dove molti vivacchiano senza scrupolo per 30 anni, un “El Dorado” per parassiti scansafatiche. E dispiace per quei dipendenti (tanti!) che nel pubblico ci credono davvero, lavorando in condizioni improponibili, con pochissime risorse e con mezzi ridicoli. Questi sì che sono gli unici che avrebbero tutto il diritto di scioperare. Per questi, davvero, oggi quel misero stipendio assicurato al 27 del mese non è che una magrissima consolazione.
Ma anni di vertiginosi stipendi dei dirigenti, baby-pensionamenti, pensioni di lusso e uffici inutili finalizzati ad assunzioni di comodo hanno ridotto il Paese così. E la politica? Quelli che ieri dicevano di difendere gli sfruttati oggi sembrano troppo impegnati a mettere gli asterischi di genere in fondo alle parole (e qui in città vanno fortissimo: si veda la delibera della giunta, adottata sulla base delle linee guida ministeriali, dell’17 novembre scorso!). Ogni timida obiezione è immediatamente tacciata di benaltrismo, della serie: ”la gente avrà anche fame, ma vuoi mettere farmi chiamare assessora, sindaca o presidenta?!”. Il che potrebbe anche andar bene, se solo le agende politiche non fossero letteralmente monopolizzate da questo nulla cosmico mentre il Paese va in frantumi. E gli altri, invece? Troppo spesso sono dei tromboni impresentabili, personaggi discutibili che per decenni hanno predato senza ritegno le casse pubbliche e che oggi si ripresentano facendo finta di niente.
Nel frattempo la gente – almeno quelli che non hanno ereditato ricchi patrimoni o che non hanno il nonno che a 30 anni gli passa 1000 euro al mese a mo’ di “paghetta” – si incazza sempre di più. E anche noi, intendiamoci, siamo incazzati.
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