Ci siamo, Toscana zona arancione a partire da mercoledì. Scattano importanti limitazioni per tutti noi: dovremo stringere i denti, ripiombati in una situazione surreale e inverosimile che poteva senz’altro essere evitata.
Divieto di circolazione dalle 22 alle 5, salvo comprovati motivi di salute, lavoro e necessità; divieto di spostamento dal proprio Comune, salvo comprovati motivi di salute, lavoro e necessità; didattica a distanza per le scuole superiori; riduzione fino al 50% del trasporto pubblico; chiusura di bar e ristoranti, con possibilità di fare servizio di asporto; chiusura di piscine, palestre, mostre, musei, cinema e teatri: queste le significative restrizioni che saranno vigenti in tutto il territorio toscano.
Prepariamoci ad affrontare – ancora una volta – tempi durissimi, perché oggi il futuro è davvero una grande incognita. È una grande incognita per tutti, sì, ma per qualcuno lo è di più. Mentre gli incassi delle multinazionali schizzano alle stelle, questa situazione rischia seriamente di gettare nel baratro milioni di lavoratori e famiglie che non possono contare su un dipendente pubblico con lo stipendio assicurato al 27 del mese. E tante volte, purtroppo, non basta neppure quello.
Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, ha chiesto alla politica di adottare misure ancora più drastiche. Ha chiesto, in pratica, un nuovo e immediato lockdown:“fermi tutti, altrimenti il servizio sanitario nazionale rischia il collasso”.
Ecco, noi – molto sommessamente – ci sentiamo di assumere una posizione parzialmente critica al riguardo.
Sia chiaro, a parte qualche raro caso di comprovata mania di protagonismo – di sanitari che stanno, adesso, più in televisione di quanto non siano mai stati in un reparto ospedaliero – noi tutti siamo grati a chi, in questo difficile periodo, sacrifica letteralmente la propria esistenza per salvare vite umane e per dedicarsi agli altri con abnegazione e basso profilo. Non potrebbe essere altrimenti, ovviamente.
Però, oltre al collasso sanitario, c’è il serio rischio che collassi anche il tessuto economico-sociale del paese. I lavoratori di bar e ristoranti – che quest’anno hanno incassato fino al 60% in meno rispetto agli anni passati – potrebbero trovarsi nella paradossale situazione di non sapere come mettere un pasto in tavola. I lavoratori dello spettacolo, già fiaccati da una politica che non crede nella cultura ormai da molto tempo, rischiano di non poter più rialzare la testa. I professionisti – quella miriade infinita di partite IVA che da anni paga le tasse e che costituisce la vera ossatura economica del Paese – corrono il serio pericolo di non riuscire a superare questa difficile fase. Tutta gente, per intendersi, che se non lavora non mangia.
Dietro ad ogni attività di impresa c’è una storia. Ci sono affetti, speranze e bocche da sfamare. Dietro ogni attività economica c’è una cosa fondamentale che si chiama dignità. Una dignità che si conserva solamente quando si riesce a guardare negli occhi i propri figli senza fargli mancare niente. Enzo Biagi – che qualcuno ultimamente rispolvera alla bisogna, pace all’anima sua – diceva che “un uomo senza lavoro è un uomo umiliato”. E non c’è niente di più vero.
C’è un’altra cosa, poi, che le persone proprio non stanno digerendo. Durante gli ultimi mesi questo maledetto virus è stato, talvolta, utilizzato come un grimaldello per sdoganare e legittimare il lassismo di qualche ufficio pubblico inefficiente, i cui dipendenti sembravano rigorosissimi esecutori delle disposizioni sul posto di lavoro mentre fuori si scambiavano bicchieri in tutta tranquillità, ammucchiati e senza mascherina. Paradossi all’italiana, paradossi di un Paese in cui tutti pontificano sentendosi come Gesù nel tempio con il culo rigorosamente al caldo.
Nel frattempo, in questi giorni la politica si sta bruscamente risvegliando dal torpore di mesi di inattività, accorgendosi che poco è stato fatto per fronteggiare una nuova – e prevedibile – ondata di contagi. Il caso dei vari spazi ospedalieri di Lucca ci pare, a tal proposito, assolutamente emblematico e significativo di quanto accaduto anche a livello nazionale.
Si profila una nuova chiusura, dunque, e di conseguenza si profila il rischio reale di un collasso socio-economico. Ogni strumento assistenziale potrebbe essere inadeguato e insufficiente, anche perché il fisco non aspetta nessuno.
E, intendiamoci, bollare le scene di protesta verificatesi a Napoli e Milano come espressione di delinquenza da stadio è troppo facile. La gente, purtroppo, ha fame davvero.