“Qui non c’è parola, non forma, non frase, non costruzione, non modo proverbiale né proverbio che non sia usato dal mio popolo, popolo, dico, vero popolo: servitori, manovali, braccianti, fabbri, muratori, legnaiuoli, calzolai, donniciattole, sarte, vecchiette e vecchietti campagnuoli, contadini; e contadini specialmente, che ormai sono tra i pochi rimasti a parlare un briciolo d’italiano che garbo abbia”.
Con queste parole Idelfonso Nieri introduceva la sua opera “Racconti Popolari Lucchesi”, una raccolta completata e pubblicata nel 1906 che comprendeva una sezione dedicata a cento racconti popolari, una alle usanze tradizionali lucchesi e una alle superstizioni e ai pregiudizi più diffusi nella nostra provincia. Un’opera attraverso cui si comprende davvero l’importanza – spesso, purtroppo, sminuita – che il filologo e letterato lucchese ha avuto e ha ancora oggi per la cultura della nostra città.
Con tale opera il Nieri tratteggiò un quadro perfetto della lucchesità più genuina. Una lucchesità vera, autentica, sincera e popolare spiegata attraverso storie di paese, proverbi e fatti accaduti realmente nei nostri territori. La missione primaria dell’autore era ovviamente quella di illustrare, conservare e trasmettere la tradizione lucchese. Tuttavia, oltre a questo fondamentale obiettivo, l’opera del Nieri – realizzata con lo stile umile e scherzoso che ha sempre contraddistinto l’autore – aveva anche un altro scopo, quello educativo, che doveva essere raggiunto restituendo dignità a quella saggezza popolare tipica della gente comune: “pubblicando questi racconti mi proposi solo di far passare un’ora piacevole; ma se talvolta, qua o là dal fatto scaturisce spontaneo qualche buon insegnamento, tanto meglio! E nessuno vorrà disprezzarlo, perché detto ridendo”.
L’opera – ripubblicata qualche mese fa da Maria Pacini Fazzi Editore per il centenario della morte di Idelfonso Nieri – non rappresenta solo un’occasione per riscoprire e restituire dignità all’autore, ma anche per comprendere la lucchesità e le origini della nostra città. Un’occasione per comprendere da dove veniamo, per ripensare il nostro passato e il nostro presente, per riflettere sul futuro e sulla direzione in cui vogliamo andare senza perdere la nostra identità.