Provincia di Lucca in controtendenza sul fronte dei matrimoni. Nel 2023 se ne sono celebrati 1.283 a fronte dei 1.284 del 2022. Invece in Italia nel 2023 sono stati celebrati 184.207 matrimoni, il 2,6 per cento in meno rispetto al 2022. Il report diffuso dall’Istat nei giorni scorsi a livello nazionale evidenzia come i matrimoni religiosi presentano un calo consistente rispetto all’anno precedente (meno 8,2 per cento), accentuando una tendenza alla diminuzione già in atto da tempo.
Ovviamente non tutti i comuni hanno avuto lo stesso trend. Variazioni più sensibili si evidenziano confrontando i dati dell’anno 2014 rispetto a quelli dello scorso anno come emerge da questa tabella
A livello nazionale anche i dati provvisori dei primi otto mesi del 2024 mettono in luce una ulteriore diminuzione (meno 6,7 per cento), a conferma di un ridimensionamento della nuzialità che negli ultimi quarant’anni non ha conosciuto soste, al netto di alcuni momenti storici duranti i quali il numero dei matrimoni ha mostrato andamenti altalenanti in relazione a fenomeni di tipo congiunturale. Nel 2000, ad esempio, si rilevò un aumento dei matrimoni da collegare al desiderio di celebrare le nozze all’inizio del nuovo millennio. All’opposto, nel triennio 2009-2011, il calo fu particolarmente accentuato per il crollo delle nozze dei cittadini stranieri, scoraggiati dalle modifiche legislative volte a limitare i matrimoni di comodo. Inoltre, non va dimenticata la crisi economica del 2008 il cui impatto produsse effetti sui comportamenti nuziali delle coppie. Infine, nel 2020 si è assistito a un dimezzamento del numero dei matrimoni per effetto della pandemia da Covid-19 (e delle sue misure di contenimento) che ha visto molte coppie posticipare le nozze, in parte poi celebrate nel successivo biennio 2021-2022. Nel 2023 i 139.887 primi matrimoni celebrati in Italia mostrano, se confrontati con l’anno precedente, una diminuzione del 4,3%, più consistente rispetto a quella del totale dei matrimoni (meno 2,6%). Nel 2023 la quota dei primi matrimoni rispetto al totale delle celebrazioni è pari al 75,9 per cento, evidenziando un netto calo anche rispetto al 79,4 per cento del 2019 (anno in cui il numero di matrimoni totali era stato simile a quello del 2023). La diminuzione tendenziale dei primi matrimoni, al netto delle oscillazioni di breve periodo, è strettamente connessa alla progressiva diffusione delle libere unioni (convivenze more uxorio). Queste ultime sono più che triplicate tra il biennio 2000-2001 e il biennio 2022-2023 (da circa 440mila a più di 1 milione e 600mila), un incremento da attribuire soprattutto alle libere unioni di celibi e nubili. Sul piano tendenziale, uno dei motivi per il quale la primo-nuzialità in Italia arretra si deve alla trasformazione del processo di transizione alla vita adulta. Quest’ultima oggi segue percorsi diversi rispetto al passato, quando il motivo prevalente di uscita dal nucleo di origine era legato alla formazione di una nuova famiglia attraverso le nozze.
Secondo i dati dell’Indagine Famiglie e soggetti sociali (2016) tra le generazioni di uomini nate tra il 1982 e il 1986 la convivenza more uxorio è preferita al matrimonio (22,5 per cento contro 21,8 per cento di chi lascia la casa dei genitori entro i trent’anni); seguono le altre motivazioni quali, per esempio, lavoro, studio e autonomia. Tra le donne, l’uscita dalla famiglia di origine si concretizza in via preponderante tramite il matrimonio (40 per cento tra le nate negli anni Ottanta), seguita dalla convivenza, con percentuali via via crescenti di generazione in generazione.
Negli ultimi decenni, inoltre, il ridimensionamento numerico delle nuove generazioni, dovuto alla bassa fecondità, che dalla metà degli anni Settanta si è sempre mantenuta ben sotto il livello di sostituzione, sta producendo un effetto strutturale negativo sui matrimoni. Man mano che le generazioni più giovani, meno numerose di quelle dei genitori, entrano nella fase adulta della vita si riduce la numerosità della popolazione in età da matrimonio e, di conseguenza, anche a parità di propensione a sposarsi, cala inesorabilmente il numero assoluto di nozze.
Nel 2023 il 58,9 per cento dei matrimoni è stato celebrato con rito civile, in continuità con il valore dell’anno precedente (56,4 per cento) e in linea con l’aumento tendenziale osservato nel periodo pre-pandemico (52,6 per cento nel 2019). La quota particolarmente elevata di matrimoni civili osservata nel 2020 (71,1 per cento) ha costituito quindi un’eccezione, determinata dalle misure di contenimento dell’emergenza sanitaria che hanno colpito soprattutto le celebrazioni con rito religioso.
Il rito civile è chiaramente più diffuso nelle seconde nozze (95 per cento), essendo spesso una scelta obbligata, e nei matrimoni con almeno uno sposo straniero (91,2 per cento contro 52,7 per cento dei matrimoni di sposi entrambi italiani). La scelta del rito civile va però diffondendosi sempre di più anche tra i primi matrimoni (47,5 per cento nel 2023).
Considerando i primi matrimoni tra sposi entrambi italiani (86,1 per cento del totale dei primi matrimoni) l’incidenza di quelli celebrati con rito civile è del 41 per cento nel 2023 (33,4 per cento nel 2019 e 20,0 per cento nel 2008). La variabilità territoriale per tale tipologia di coppia è spiccata: si riscontrano incidenze di celebrazioni con rito civile più basse nel Mezzogiorno (23,9 per cento) e più alte nel Nord (56,1 per cento). La scelta del regime patrimoniale di separazione dei beni (74,3 per cento) si conferma tendenzialmente in crescita rispetto al passato (40,9 per cento nel 1995, 62,7 per cento nel 2008 e 73,4 per cento nel 2022).
L’aumento dell’instabilità coniugale contribuisce alla diffusione delle seconde nozze e delle famiglie composte da almeno una persona che abbia vissuto una precedente esperienza matrimoniale, fenomeno che genera nuove tipologie familiari. Al tendenziale aumento di questa tipologia di matrimoni, registrato soprattutto nel biennio 2015-2016 come conseguenza dell’introduzione nel 2015 del “divorzio breve”, ha fatto seguito una progressiva stabilizzazione che si è protratta fino al 2019.
Nel 2023 le seconde (o successive) nozze per almeno uno degli sposi sono state 44.320, finora il valore più alto mai registrato (la quota sul totale dei matrimoni è del 24,1 per cento). Tale percentuale solo nel 2020 era stata più elevata (28 per cento) ma tale circostanza si verificò in realtà come conseguenza di una congiuntura sfavorevole che fece contrarre in modo più deciso i primi matrimoni e, tra questi ultimi, quelli religiosi. L’aumento delle seconde nozze per almeno uno degli sposi è del 3,3 per cento rispetto al 2022; se entrambi gli sposi hanno un matrimonio precedente alle spalle l’aumento è più consistente (più 7,2 per cento).
Il 15,8 per cento degli sposi e il 14,8 per cento delle spose ha alle spalle un divorzio, ma tali percentuali mostrano un andamento crescente di pari passo all’aumentare dell’età dei nubendi; il 52,2 per cento degli sposi e il 52,8 per cento delle spose dai 50 anni in poi ha sciolto il proprio vincolo coniugale tramite il divorzio. Solo l’1,5 per cento degli sposi e lo 0,9 per cento selle spose prima del matrimonio era vedovo; le percentuali salgono, rispettivamente, al 6,3 per cento e al 4,6 per cento se si considerano sposi e spose dai 50 anni in poi.
Nel 2023 in Italia sono state celebrate 29.732 nozze con almeno uno sposo straniero (il 16,1 per cento del totale dei matrimoni), stabili rispetto al 2022. La quota di matrimoni con almeno uno sposo straniero è notoriamente più elevata nelle aree in cui è più radicato l’insediamento delle comunità straniere.
L’Italia esercita una forte attrazione per numerosi cittadini residenti all’estero, soprattutto in paesi a sviluppo economico avanzato, che scelgono il nostro paese come luogo di celebrazione delle nozze. Nel 2023 si rilevano 3.337 nozze tra sposi entrambi stranieri e non residenti, quasi il 2 per cento di tutti i matrimoni. A partire dal 2020 questa tipologia di nozze (coppie di entrambi stranieri e non residenti) aveva subito una consistente flessione a causa delle restrizioni imposte alla mobilità internazionale, passando dai 4.094 del 2019 ai 918 del 2020 (meno 77,6 per cento); nel 2021 si è avviata una fase di ripresa (1.574) consolidatasi negli anni successivi.
Il mutamento nei modelli culturali, nonché l’effetto di molteplici fattori quali l’aumento diffuso della scolarizzazione e l’allungamento dei tempi formativi, le difficoltà nell’ingresso nel mondo del lavoro e la condizione di precarietà del lavoro stesso hanno comportato, negli anni, una progressiva posticipazione del calendario di uscita dalla famiglia di origine. La quota di giovani che resta nella famiglia di origine fino alla soglia dei 35 anni è pari al 61,2%, quasi tre punti percentuali in più in circa 20 anni. Questa protratta permanenza comporta un effetto diretto sul rinvio delle prime nozze. Tale effetto si amplifica nei periodi di congiuntura economica sfavorevole spingendo i giovani a ritardare ulteriormente, rispetto alle generazioni precedenti, le tappe dei percorsi verso la vita adulta, tra cui quella della formazione di una famiglia. Sul posticipo del primo matrimonio, inoltre, incide anche la diffusione delle convivenze prematrimoniali.
Il 5 giugno 2016 è entrata in vigore la Legge che ha introdotto in Italia l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Nel corso del secondo semestre 2016 si sono costituite 2.336 unioni civili, un numero particolarmente consistente che ha riguardato coppie da tempo in attesa di ufficializzare il proprio legame affettivo. Al boom iniziale ha fatto poi seguito una progressiva stabilizzazione. Le 3.019 unioni civili tra coppie dello stesso sesso costituite presso gli Uffici di Stato Civile dei Comuni italiani nel 2023 evidenziano un aumento rispetto all’anno precedente (più 7,3 per cento), ma i dati provvisori dei primi otto mesi del 2024 delineano un calo (meno 2,1 per cento) rispetto allo stesso periodo del 2023. Si conferma anche nel 2023 la prevalenza di unioni tra uomini (1.694 unioni, il 56,1 per cento del totale), stabili rispetto all’anno precedente (56,7 per cento).
Al pari dei matrimoni, anche le unioni civili si caratterizzano per la presenza di partner con cittadinanza italiana per acquisizione: tra le unioni miste tra partner italiano e straniero, il 14,8 per cento coinvolge un partner italiano per acquisizione; nel 2018 questa quota era circa un terzo. Tra le unioni di partner entrambi italiani, quelli in cui almeno uno dei due è italiano per acquisizione sono il 4,5 per cento; quota quasi triplicata rispetto al 2018.
Considerando il complesso delle unioni civili con almeno uno straniero o un italiano per acquisizione (escludendo dall’analisi le coppie di entrambi italiani dalla nascita) il 17,9 per cento è costituito da coppie con entrambi italiani di cui almeno uno per acquisizione e il 10,9 per cento da coppie miste con italiani per acquisizione.
Fino al 2019 gli uniti civilmente hanno evidenziato una struttura per età in progressivo “ringiovanimento” rispetto al biennio 2016-2017. L’introduzione nel nostro ordinamento di questo istituto giuridico, infatti, ha consentito inizialmente a coppie anche in età più avanzata – che da tempo aspettavano tale possibilità – di ufficializzare la propria unione e da qui il profilo più maturo che aveva contraddistinto questa prima fase (con un’età media superiore ai 49 anni per gli uomini e intorno ai 46 anni per le donne). Negli anni a seguire il profilo per età delle unioni si è progressivamente ringiovanito (nel 2019 l’età media degli uomini era di 44,5 anni, delle donne di 39,6).
Nell’anno della pandemia, tuttavia, l’età media all’unione civile cresce in misura eccezionale: 47,2 anni per gli uomini (quasi 3 anni in più) e 41,8 per le donne (oltre 2 anni in più). Nel 2022 le età medie calano nuovamente e nel 2023 sono stabili rispetto all’anno precedente con valori pari a 45,4 anni tra gli uomini e a 39,0 anni tra le donne.
La struttura per età di chi entra in unione è molto diversa da quella di chi si sposa, soprattutto tra gli uomini. Se l’età media degli uniti mostra una lenta tendenza al ringiovanimento l’età media degli sposi, invece, vede un trend di crescita – con l’unica eccezione dell’anno della pandemia – che culmina con i 40,5 anni del 2023 (rispetto ai 38,1 anni del 2018).
Nel 2023 la quota degli uomini con meno di 40 anni che si unisce civilmente è pari al 37 per cento, ben al di sopra del 21,6 per cento del 2020, ma molto più bassa di quella osservata tra gli sposi di pari età (59,2 per cento).
Per le donne che si uniscono civilmente nel 2023 ben oltre la metà di esse (56,6 per cento) ha meno di 40 anni (era il 50,0 per cento nel 2018). I profili per età delle donne che si sposano e che si uniscono civilmente appaiono tra loro più simili, ma con differenze evidenti prima dei 30 anni: nel 2023 in questa fascia di età si colloca il 14,9 per cento delle unite civilmente contro il 25,1 per cento delle spose; valori simili si osservano invece nella fascia di età 30-39 anni (rispettivamente 41,7 per cento e 42,8 per cento).
Il 46,2 per cento delle nozze e delle unioni civili del 2023 (considerate nel loro complesso) si sono svolte di sabato. Anche osservando distintamente matrimoni religiosi, matrimoni civili e unioni civili i profili per giorno della settimana in cui si decide di formalizzare il proprio legame affettivo sono molto simili. La preferenza per il sabato è particolarmente accentuata nel caso dei matrimoni religiosi (53,1 per cento) mentre nel caso delle unioni civili è del 39,4 per cento. Il giorno meno opzionato per i matrimoni è il martedì: in tale giorno si sono celebrati il 3,5 per cento dei matrimoni religiosi e il 6,1 per cento di quelli civili. Il giorno della settimana, invece, in cui si sono costituite meno unioni civili è la domenica (6,8 per cento), seguita dal martedì (7,4 per cento).
La preferenza per il giorno della settimana è legata ovviamente a valutazioni di ordine organizzativo ed economico: da una parte, alla necessità di decidere in largo anticipo la data per opzionare luoghi di celebrazione e di festeggiamento più “gettonati”; dall’altra, a quella di scegliere giorni meno richiesti per trovare posto più a ridosso dell’evento e magari usufruire di agevolazioni in termini economici. Non da ultime, soprattutto nel caso delle celebrazioni civili, sono da considerare questioni di carattere amministrativo, legate alla disponibilità degli uffici di stato civile a garantire il servizio in particolari giorni della settimana.
Al di là di questi aspetti, la stagionalità dei matrimoni è da sempre legata al calendario del lavoro e a quello delle festività religiose. Storicamente, soprattutto nelle aree rurali, il calendario seguiva il ciclo naturale dei lavori agricoli e si osservava una rarefazione dei matrimoni in corrispondenza dell’attività stagionale agricola, soprattutto nei periodi estivi di raccolta dei prodotti. In tempi moderni l’andamento delle ferie estive e scolastiche sembra, invece, rappresentare un elemento centrale nella stagionalità del fenomeno della formazione di una famiglia attraverso il matrimonio o l’unione civile.
Si osservano sostanzialmente due picchi: uno a inizio settembre che poi degrada lentamente fino a fine ottobre, l’altro a giugno al culmine di un periodo più ampio che va da metà aprile a inizio agosto.
Le cinque date del 2023 in cui ci si è sposati e uniti di più sono tutte di sabato e, in graduatoria decrescente, sono: 9 settembre, 2 settembre, 24 giugno, 23 settembre e 10 giugno. Il 17 giugno, pur essendo un sabato nel periodo di picco, si trova, invece, in decima posizione. Per i matrimoni religiosi le prime cinque date in graduatoria ricalcano perfettamente quelle complessive, mentre per quelli civili le cinque date preferite sono le stesse ma posizionate in ordine diverso con in testa il 23 settembre. Anche per le unioni civili la data preferita è stata sabato 9 settembre, seguita dal 10 giugno (presente anch’essa nella “top five” complessiva), dal 16 settembre, dal 3 giugno e dal 20 maggio.
Nel 2023 le separazioni sono state complessivamente 82.392 (meno 8,4 per cento rispetto all’anno precedente). I divorzi sono stati 79.875, il 3,3 per cento in meno rispetto al 2022 e il 19,4 per cento in meno nel confronto con il 2016, anno in cui sono stati finora i più numerosi (99.071). Il trend dei divorzi è stato sempre crescente dal 1970 (anno di introduzione del divorzio nell’ordinamento italiano) fino al 2015. In tale anno il numero di divorzi subì una forte impennata (più 57,5 per cento) in relazione all’entrata in vigore di due importanti Leggi che hanno modificato la disciplina dello scioglimento e della cessazione degli effetti civili del matrimonio: il Decreto legge 132/2014, che ha introdotto le procedure consensuali extragiudiziali senza più il ricorso ai Tribunali (direttamente presso gli Uffici di Stato Civile o tramite negoziazioni assistite da avvocati) e soprattutto la Legge 55/2015 (c.d. “Divorzio breve”) che ha fortemente ridotto l’intervallo di tempo tra separazione e divorzio (12 mesi per le separazioni giudiziali e sei mesi per quelle consensuali) determinando un vero boom del fenomeno.
Dopo l’aumento registrato tra il 2015 e il 2016 – che ha riguardato in misura più attenuata anche le separazioni – l’andamento dei divorzi fino al 2019 si è mantenuto stabile con piccole oscillazioni. Nel 2020 è stato invece ben visibile l’impatto della pandemia, soprattutto per effetto delle chiusure degli uffici e delle restrizioni alla mobilità, con conseguenze, nel caso dei provvedimenti presso i Tribunali, anche sui procedimenti di separazione o divorzio avviati negli anni precedenti. Tale impatto è stato poi riassorbito nel 2021, quando i livelli sono tornati sostanzialmente quelli pre-pandemici.
Nel 2023 si nota un ridimensionamento (meno 10,9 per cento) della componente consensuale delle separazioni (considerando nel loro complesso quelle in Tribunale e quelle extragiudiziali). L’81 per cento delle separazioni si è concluso consensualmente, mostrando una diminuzione rispetto al trend di crescita di questa componente osservato fino al 2021. Le separazioni giudiziali, caratterizzate da una maggiore durata dei procedimenti, confermano il trend di aumento iniziato nel 2018 (interrottosi solo nel 2020).
Tradizionalmente più contenuta rispetto alle separazioni è la quota della componente consensuale (sia giudiziale che extragiudiziale) nei divorzi (70,6 per cento); questa appare sostanzialmente in linea con l’anno precedente (71,5 per cento). I divorzi giudiziali presso i Tribunali nel 2023 si mantengono stabili rispetto al 2022 (meno 0,5 per cento) mentre i divorzi con rito consensuale mettono in luce un netto ridimensionamento (meno 14,3 per cento).
Non è ancora possibile valutare gli effetti del D. Lgs. 149 del 10 ottobre 2022 (la cosiddetta “riforma Cartabia”) introdotta con l’obiettivo di razionalizzare i procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie. La facoltà di proporre contestualmente la domanda di separazione personale e quella di divorzio è entrata in vigore dal 28 febbraio 2023, ma varie sentenze interpretative successive hanno di fatto rallentato l’entrata a regime delle nuove procedure.
Nel 2023 in Italia il 28,6 per cento delle separazioni e un divorzio su tre si sono conclusi con procedure extragiudiziali. Le due fattispecie introdotte dal Decreto legge 132/2014 per chi intenda separarsi o divorziare consensualmente, in alternativa alla tradizionale ratifica da parte del giudice, sono: la convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte (ex art. 6); l’accordo innanzi all’Ufficiale di Stato Civile in assenza di patti di trasferimento patrimoniale e di figli minori, di figli maggiorenni incapaci/portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti (ex art. 12). Il peso di queste due “nuove” procedure nel 2023 corrisponde rispettivamente al 35,3 per cento delle separazioni consensuali e al 46,6 per cento dei divorzi consensuali.
Negli accordi extragiudiziali per separarsi o divorziare la componente più consistente è quella degli accordi stipulati direttamente presso gli Uffici di Stato Civile (ex art. 12). Nel 2023, 13.833 separazioni e 19.021 divorzi sono stati effettuati direttamente presso il Comune (con tempi e costi molto più bassi rispetto alle altre procedure): si tratta del 16,8 per cento di tutte le separazioni e del 23,8 per cento di tutti i divorzi. Nel 2023 le quote delle negoziazioni assistite da avvocati (ex art. 6) sono, invece, l’11,8 per cento delle separazioni e il 9,1 per cento dei divorzi, entrambe in aumento rispetto all’anno precedente.