Vogliamo continuare il discorso perché dal sistema elettorale dipende la salute della nostra democrazia. E non è una esagerazione. Non nel senso che oggi l’Italia viva una emergenza democratica. Non è così. Piuttosto nel senso che il sistema vigente ha fatto calare drammaticamente il valore della classe dirigente. E questo è tristemente sotto gli occhi di tutti. E costituisce un problema cogente per le nostre speranze di crescita e benessere.
Il fatto stesso che i politici vogliano presentarsi non come persone competenti ma come persone comuni, come “uno di noi”, denuncia un processo di indebolimento che passa per avvicinamento ma in realtà è impoverimento e isolamento della politica dalla gente.
Per questo un sistema in cui poche persone (inteso come poche centinaia di migliaia che sono molto meno dei diversi milioni di una regione) eleggano direttamente un deputato di cui possono conoscere davvero meriti e competenze, è un passaggio fondamentale. Come fondamentale è che sia eletto il deputato (o il senatore) e non genericamente votato il partito che ha messo i suoi uomini di paglia in un listino bloccato.
Il sistema elettorale è quindi la battaglia delle battaglie.
Per questo è una gran buona notizia che due donne forti della politica stiano valutando vantaggi e prospettive di questa riforma. E speriamo che decidano di passare dalle buone intenzioni ai fatti.
Ma non sarà facile. I parlamentari reagiranno: hanno costruito carriere seguendo i leader come paperotte appena nate e annuendo come i pupazzetti a molla sulle auto americane (i famosi “Bobblehead”). Ma sarebbe ingenuo pensare che i nostri “BobbleParlamentari” non reagiranno quando vedranno la sega accanto all’albero su cui si sono fatti il nido. E se da destra è difficile che dai mugugni possa partire una insurrezione, da sinistra, in virtù delle “particolari competenze” del personale politico esistente di cui accennavamo nel precedente articolo, non è difficile che parta una congiura sulla segretaria.
Anche gli altri partiti reagiranno, soprattutto i minori. Questi partiti fortemente personalistici non hanno persone “votabili”. Penso a piccoli partiti del centro ma anche ai partiti come M5S. Lo stesso vale per la Lega che ha sempre messo un grosso filtro all’ingresso di nuove teste (lì in fondo il requisito è giurare fedeltà nelle mani dirette di Salvini e senza filtri).
Queste considerazioni potrebbero essere le stesse che valgono anche per PD e FdI ma per loro prevalgono gli interessi dei rispettivi leader che anelano ad un rinnovamento (anche se per ragioni diverse, come ci siamo detti nel precedente articolo).
Ed è proprio questa concomitanza di interessi che può farci il miracolo.
Tra le due forme di sistema elettorale (maggioritario e proporzionale) quella che ha le caratteristiche più adatte a garantire un mix tra rinnovamento del personale politico e autonomia delle segreterie è il maggioritario. Che è quella che avvicina di più il candidato a chi lo deve votare e, per questo, è anche quella che ci auguriamo che possa prevalere.
Il maggioritario, che prevede un collegio “piccolo” dal quale emerge un solo vincitore tra tutte le forze politiche, è quello che spinge di più verso il bipolarismo. Soprattutto se il turno elettorale è unico (come in Inghilterra). Meno se il sistema è a doppio turno, come in Francia dove recentemente abbiamo assistito ad un primo turno con un voto che premiava una forza politica (RN) e un secondo in cui tale forza è stata fortemente ridimensionata. Salvo poi, in parlamento, ribaltare nuovamente il risultato proponendo un governo ancora diverso. Se tutto questo sia una garanzia della democrazia, dando alle persone – ma anche ai partiti – la possibilità di ripensare a quanto hanno fatto dopo il primo turno, lo lasciamo alla libera interpretazione di ciascuno.
Il proporzionale a preferenza, sebbene lasci al cittadino la possibilità di scegliere il candidato, aumenta nei fatti la distanza tra eletto ed elettore. Primo perché il collegio è naturalmente più grande (dovendo produrre più parlamentari) e questo rende più difficile che il candidato sia davvero conosciuto dai votanti. Poi perché spinge alle cordate interne al partito e alle correnti che si organizzano per sostenere i propri candidati. Il che può essere visto anche come fattore positivo visto che favorisce la mobilitazione e la partecipazione. Infine perché favorisce la proliferazione di partiti che mantengono la loro autonomia anche nelle coalizioni e non devono contrattare dei collegi con gli alleati e, con questo, fare degli accordi chiari che rischiano di portarli nella traiettoria di incorporazione nel partito più grosso.
Quest’ultimo motivo è anche quello che spinge le due segretarie alla battaglia della legge elettorale e, speriamo, potrà favorire il meccanismo del maggioritario a turno unico.
Ma che sia maggioritario a turno unico, a doppio turno o proporzionale con preferenze, non è poi così importante. Ciò che davvero conta è che sia riforma e riforma che porti i parlamentari a ottenere il voto dai cittadini e non dai segretari di partito.
E in questo caso, davvero, comunque vada sarà un successo.
Immagine da Alessandro Sesti