Il 4 Novembre ricorre il 105° anniversario dell’Armistizio della Grande Guerra tra l’Italia e l’Impero Austro-Ungarico.
Viene più spesso ricordata come la Giornata delle Forze Armate, ma ad onor del vero questa seconda festività fu associata solo nel 1949, e non senza polemiche. Quelle da noi non mancan mai.
La dizione corretta è: “Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate”.
Quindi il primo soggetto della festività istituita nel 1919, (non senza aspri scontri a Milano in Piazza Duomo tra socialisti contrari alla esaltazione della guerra, e fascisti capitanati da Filippo Tommaso Marinetti) è la raggiunta Unità Nazionale, l’annessione delle terre irredenti e delle città simbolo Trieste, e Trento.
L’entrata in vigore dell’armistizio firmato a Villa Giusti fu fissata per le 15.00 del 4 Novembre. In realtà il testo venne firmato il pomeriggio precedente, il giorno 3 alle ore 15,20, non senza difficoltà per far accettare tutte le condizioni imposte dagli Alleati.
Nelle 24 ore successive alla firma del 3, il XXIX Corpo d’Armata italiano fece un ultimo sforzo in avanti con una spinta offensiva fino al confine, addirittura sorpassando le colonne austriache in ritirata; tanto le avrebbero catturate al Passo del Brennero.
…”La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d’Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino…”
Per trattare le condizioni dell’armistizio, cosa non facile, fu scelta Villa Giusti tra Abano e Padova, una anonima e sgraziata villa di campagna di proprietà del Senatore Conte Vettor Giusti del Giardino, individuata proprio per umiliare in qualche modo ancor di più il nemico che ormai capitolava, e avrebbe anche chiesto un anticipo dei termini di resa… «Più brutta non la si poteva trovare» sentenziò Ugo Ojetti parlando di Villa Giusti: «brutta, gialla, stinta e nuda».
Nella villa è conservato perfettamente lo studiolo con gli arredi dell’epoca che videro le trattative tra i generali austroungarici e quelli italiani; se si fa attenzione si nota una sedia completamente diversa da quelle del tavolo rotondo. Quella sedia fu appositamente “accorciata” da un soldato falegname il giorno precedente, perché era destinata al “Re Soldato” Vittorio Emanuele III, nel caso fosse intervenuto per ratificare la firma dell’armistizio. Era nota la sua “altezza” effettiva (1,50m. c.a…), e quindi per evitare imbarazzanti fotografie con i piedi penzoloni che non toccavano il pavimento, si provvedeva a trovare o adattare delle sedie alla bisogna.
Anche la sciabola reale gli era stata accorciata, da cui il soprannome “Re Sciaboletta”.
Poi il Re non verrà… tratterà l’Armistizio il Gen. Badoglio; un nome, una garanzia…
Le trattative saranno condotte anche da alti ufficiali italiani, e da un servizio Informativo capillare; il “maggiordomo” che serviva il caffè alla delegazione austriaca era in realtà un ufficiale di cavalleria che parlava perfettamente tedesco e francese, e che ascoltava e riferiva… gli inservienti erano tutti soldati-interpreti, così come l’autista dell’auto che trasportava la delegazione austroungarica. Al termine servizio riferiva compiutamente tutto quello che aveva ascoltato nel viaggio…
Quando la firma dell’armistizio fu confermata, un alpino issò una bandiera italiana su un albero della villa, perché si potesse scorgere da lontano, e il parroco della chiesa di Santa Maria in Mandria fece suonare le campane a distesa. Era finita.
Tornando alla Festa e alla sua denominazione, il secondo soggetto sono le Forze Armate, che al momento della firma dell’armistizio erano due; il Regio Esercito e la Regia Marina. Anche il famoso “Bollettino della Vittoria” firmato da DIAZ, in realtà è doppio, perché dopo il bollettino del Regio Esercito datato 4 Novembre, l’Ammiraglio Paolo Emilio Thaon di Revel, Comandante Supremo della Regia Marina ne emise uno proprio, il 12 Novembre 1918, per proclamare la vittoria italiana sui mari contro la flotta Austro-Ungarica.
Vien da sorridere pensando a moltissimi bambini nati agli inizi degli anni ‘20 e chiamati con il nome proprio di “Firmato” in onore a Diaz. L’ignoranza popolare aveva accostato la parola «Firmato» riferita a colui che materialmente emetteva, firmava il bollettino, e cioè il Comandante Generale DIAZ, interpretandola invece erroneamente come nome proprio; poi successivamente i preti dal momento che non conoscevano un santo di nome Firmato (che invece esiste ed è del VI Secolo…!), cercarono di imporre in alternativa il nome più assonante di “Firmino”.
Storie della Grande Guerra.
Come le storie minute delle centinaia di nostri concittadini; 491 sono i nomi dei caduti del Comune di Lucca, scalpellati nella parete di sinistra della Chiesa in San Cristoforo. 6849 sono i caduti della provincia di Lucca. Probabilmente non è neanche il numero esatto; questo dato numerico variabile cresceva con il termine del conflitto per molti motivi; i caduti venivano via via aggiunti… ad esempio quelli che decedevano a causa di malattie o ferite dopo il 4, oppure i dispersi conteggiati successivamente, e non ultimo l’aumento era a causa di una tendenza governativa ad incrementare il numero effettivo per un maggior peso ponderale al tavolo delle trattative: più morti più risarcimenti. La guerra alla fine è denaro. Furono molti, moltissimi invece quelli che partirono dal 1915 per alimentare i fronti di guerra e le regie navi.
Partivano da Lucca, da Altopascio, Viareggio, Barga, Pietrasanta, dai paesini della Fondovalle e dalla Garfagnana, dalla Valle del Serchio e dalla Val di Lima, dalle più remote località.
Andavano a “naja”; che è una parola militare strana, della quale nessuno conosce l’etimologia vera, anche se è sulla bocca di tutti quelli che si atteggiano ad averla fatta. Vuol dire “tenaglia”… tenaja… naja… un legame stretto, che ti lega, ti tiene. Per la prima volta vedevano un Mondo Nuovo in quello che diremmo oggi uno “sharing”, una miscellanea di costumi, uniformi, idiomi, ordini, usanze e soldati. Entravano in Italia.
Salivano sul treno, raggiungevano i Depositi Territoriali, lì venivano “incorporati”, vestiti, (molti, i più “rustici” non conoscevano l’uso e l’utilizzo della biancheria intima, e convinti di doverla poi pagare, la rifiutavano: ”a me non servon le mutande, son roba da ricchi, no grazie!”.
Poi l’addestramento, rapido e spartano. Lo completavano al fronte, quelli che ce la facevano… La disciplina, l’obbedienza, l’uso del fucile ’91: caricare, puntare, fuoco. “Savoia!” All’attacco…
In occasione del 4 Novembre i giornali, i media i social, riportano sempre frasi fatte come: “La Vittoria mancata”, la “Quasi Vittoria”… la “Vittoria Mutilata”. Sempre con la menata di Fiume non annessa. Ma la città di Fiume, a differenza della Dalmazia, non era compresa nel Patto Segreto di Londa del 23 aprile 1915. Talmente segreto che nemmeno il Parlamento ne fu informato, se non a guerra terminata! E Fiume nel Patto non c’era.
Facciamocene una ragione; quella che non si fece D’Annunzio.
In tutti i casi è stata una Vittoria con la V maiuscola.
Ma non ci siamo abituati. È l’italico autolesionismo. Siamo maestri in questo. Sempre il bicchiere mezzo vuoto.
Ricordiamo meglio Caporetto, piuttosto che Vittorio Veneto.
Anche il Generalissimo Diaz quando gli comunicano il grande successo di Vittorio Veneto, prodomo dell’Armistizio, in perfetto napoletano chiede ai suoi ufficiali di Stato Maggiore, indicando una carta geografica: “‘Ndò cazzo stà Vittorio Veneto?” (è documentato…!).
È così; la devastante ferita del Secondo Conflitto Mondiale, regalo di una scellerata gestione fascista, ci ha bruciato; questa vittoria passa indietro, più sotterranea, silenziosa, quasi scroccata, indecente, da vergognarsene un pò.
Però esiste. C’è. È presente e viva nei meandri della nostra memoria. Nei quadretti di congedo appesi nei salotti buoni delle vecchie case. Nelle foto in bianco-nero sbiadite dal tempo che raccontano una vita passata, nelle decorazioni dei Cavalieri di Vittorio Veneto.
Torniamo a noi.
Sono gli Austro-Ungarici, con un giovane ufficiale di madre italiana, Camillo Ruggera (poi si farà “austriacare” il cognome in Kamillo…) che vengono a chiedere un armistizio; vogliono arrendersi.
Gli Austroungarici non ce la fanno più. Muoiono letteralmente di fame. Devono chiedere la resa. Anche se i loro soldati, insediati in profondità nel territorio italiano non ci credono; sono i loro capi che trattano e chiedono un Armistizio. Loro lo sanno bene che non ce la fan più. L’Austria-Ungheria è al lumicino. L’Imperatore mangia pane di segale.
L’Imperatore Carlo I d’Austria non può ignorare la situazione interna ormai disastrosa. Sommosse, tumulti, scontento popolare, i vari stati dell’Ex Impero si sfaldano, si ribellano… E la moglie, l’Imperatrice Zita di Borbone-Parma, nata a Capezzano Pianore-Lucca ci mette del suo… implorando continuamente il marito di trattare subito la resa con il suo paese natale, l’Italia. Dopoguerra verrà proclamata Serva di Dio. La sua figura sarà comunque oggetto di controversa interpretazione su tutti e due i fronti; troppo austriaca per gli italiani, troppo italiana per gli austriaci. Anche Carlo I non sarà valutato come una figura adamantina…
Il capitano Ruggera nativo di Predazzo, parla correttamente l’italiano e viene a parlamentare vicino alla nostra trincea a Rovereto per offrire la resa; fa suonare una tromba, sventola una bandiera bianca. I nostri non ci credono, la guerra livella tutti i codici d’onore… nel dubbio, pensando ad un trucco, o a un inganno gli sparano alcune fucilate. L’asta della bandiera e un soldato alfiere vengono colpiti.
Il Capitano Ruggera bestemmia in italiano, …i nostri cominciano a realizzare; smettono di sparare. Lo fanno avanzare sotto tiro.
Poi è tutto a cascata… i nostri soldati gli credono, lo fanno avanzare, lo impacchettano, lo bendano con un cappuccio e lo portano al Comando ad Abano. Il soldato ferito sarà curato in Infermeria e il nostro Stato Maggiore rivolgerà scuse formali in tal senso all’Austria Ungheria per il deplorevole “incidente”.
Ruggera fa accreditare in serata il Generale Von Webenau, e da lì iniziano le trattative, i dettagli, le condizioni, la resa. L’Austria Ungheria si arrende all’Italia. È la Storia.
E così occupiamo subito Trento e Trieste città importanti. Italiane.
Questo importante passaggio lo riporta anche il Bollettino della Vittoria… “La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d’Armata su Trento…” che, per inciso, viene liberata il 3 novembre 1918 proprio dal 14° Reggimento Cavalleggeri “Alessandria” di stanza nella caserma di San Romano a Lucca !
Si conclude così la Quarta Guerra Risorgimentale. L’Unità Nazionale.
L’oggetto iniziale della giornata commemorativa del 4 Novembre.
Come dice il Professor Isnenghi, massimo storico contemporaneo attuale, è inutile girarci intorno, con buona pace di tutti coloro che cercano… la rigirano…, la intortano…, la vorrebbero svilire…, sminuire.
È una vittoria dolorosa, certamente. Pesante. Ma esiste e va vissuta, per rispetto almeno di coloro che non ci son più, di quelli che son tornati mutilati, storpi, feriti, rientrati denutriti dai campi di internamento, devastati dai gas. Svuotati dentro.
Una di queste mattine, ascoltavo in auto una trasmissione su RAI RADIO UNO (…sarebbe la prima emittente nazionale… roba fina!) dedicata alla Grande Guerra. Una cosa inascoltabile, una somma di imprecisioni storiche, di fesserie e di luoghi comuni errati, senza cogliere il vero senso di questa grande Storia.
Il conduttore, con voce solenne e piena, inizia con le solite …“scarpe di cartone”, per continuare poi con le …“uniformi scintillanti”, e i …“ragazzi del ’99 che partirono volontari”…
Ho spento. Non senza aver scritto un lungo messaggio e una mail alla RAI, alla quale… non hanno risposto.
I soldati italiani nella Grande Guerra avevano scarponi alti di cuoio grasso, il Modello ‘12, con i chiodi.
Erano ottime calzature quelle della Grande Guerra. Le calzature di cartone sono quelle del successivo conflitto della Seconda Guerra Mondiale, calzature scadenti di cartone incollato, frutto delle ruberie e della corruzione dei “mangioni” di regime, in tutti i settori dei rifornimenti: e c’era anche chi ci credeva. Bello schifo.
Vabbè, transit… Ma la Storia vera è storia, son date e luoghi, non si deve fare confusione né scrivere e dire puttanate.
Le Uniformi con i gradi scintillanti… ma quando mai?
Dall’inizio del XX secolo il Regio Esercito aveva adottato la nuova uniforme Mod. 1909 color mimetico grigio-verde, che si attagliava perfettamente al nostro teatro operativo, con i gradi a bassa visibilità. Ma quali gradi scintillanti!? Erano in filo nero a bassa visibilità. Eravamo avanti rispetto anche alla Francia con i “Polioù” che indossavano ancora le uniformi rosso bleu-turchino! Per la verità però ci eravamo scordati di acquisire gli elmetti, e per questo si provvide rapidamente ad acquistarne 5.000 dai francesi (per gli Ufficiali…), poi ne produrremo rapidamente una versione semplificata, il Mod.16. Per tutti.
I famosi ragazzi del ’99 che partirono volontari!…
Ma quando mai?
Partirono perché rapidamente coscritti, furono chiamati alle armi per ripianare gli spaventosi vuoti organici dopo Caporetto, altro che volontari! Se non partivano andavano i Carabinieri Reali a prenderli.
Al loro arrivo in prima linea, nelle uniformi larghe e stazzonate, gli anziani li prendevano in giro con la canzoncina: “Il General Cadorna ha ordinato tante vacche, perché il ’99 prende ancora il latte”, per significare la tenera età. Il fucile ’91 era più alto di loro.
Però dopo Caporetto di loro il Generale Diaz dirà:
«Li ho visti i ragazzi del ’99. Andavano in prima linea cantando. Li ho visti tornare in esigua schiera. Cantavano ancora».
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A Lucca la notizia dell’Armistizio arrivò la sera del 3 novembre, verso le 23… all’Agenzia Stefaniin Via Fillungo, presso la Società dei Negozianti, grosso modo in Vicolo Chianti.
Ci furono manifestazione spontanee di gioia e di tripudio, campane a festa e palazzi imbandierati e illuminati a festa. Al mattino le operaie della Manifattura Tabacchi scesero per prime in corteo spontaneo fino in Piazza Napoleone. Avevano assicurato il rifornimento di sigarette e tabacco ai soldati al fronte. Un grande corteo si formò poi alle 10 del 4 Novembre sulla cortina delle Mura presso Piazzale Verdi; il corteo raggiunse Piazza Grande dove salutò i feriti ricoverati in convalescenza presso l’Albergo Universo, riadattato a convalescenziario militare; fu reso omaggio ai monumenti ai Caduti per la Patria, a Vittorio Emanuele II, a Garibaldi e alla lapide di Oberdan e Battisti, per concludersi sotto l’abitazione del Console del Belgio in Via Fatinelli. Il pomeriggio, convocati da un manifesto comunale, un altro imponente corteo accompagnato da due corpi musicali; la “Guido Monaco”, e la “Matteo Civitali”. Parteciparono in massa: la Giunta, la Magistratura, il Sindaco e il Segretario del Comune di Capannori, dislocato in città… il Comitato di Resistenza Interna, rappresentanze della Regia Scuola Normale, il rev. Canonico Banducci che gestiva la Casa del Soldato, l’On. Mancini e l’On. Grabau, il corpo Insegnanti, la Pubblica Assistenza, i profughi, le Società Operaie di Lucca, San Donato, Sant’Anna, di Ponte a Moriano, la Società Pubblici Divertimenti e Pro Commercio, la Pia Casa con il presidente Conte Ing. Ottolini, tutta la fabbrica Cucirini Cantoni Coats, con a capo il Direttore e i Dirigenti tutti. Ogni operaio che portava una canna di bambù con legato il Tricolore, indicava che aveva un parente al fronte! In massa partecipò anche la Manifattura di Juta di Ponte a Moriano, della fabbrica Zeri, della fabbrica Croce del Piaggione, lo Stabilimento ausilario Casentini, i Veterani, i Reduci, i Garibaldini, la Loggia Massonica “Francesco Burlamacchi”, i Mutilati di Guerra e le Società Militari. Il corteo pomeridiano, imponente, raggiunse Piazza Napoleone dove si contarono 30.000 persone! Dopo i discorsi di rito, la sera la banda Matteo Civitali offrì un concerto… Anche a Vicopelago, come in tutti i paesi, nella Villa dell’Orologio di Ulderico Orzali, si festeggiò la vittoria. La Brigata “Lucca” che portava come mostrine i colori della città, inviò una lettera di compiacimento al Sindaco per la vicinanza della città al reparto.
Poi, lentamente, con il passare degli anni, tutto è scemato. Per il Centenario non siamo riusciti neanche ad avere la disponibilità della Chiesa di San Cristoforo nel 2018 per ricordare l’evento. Era stata affittata per un evento commerciale… Prima Mammona.
Con il tempo si sminuiscono i festeggiamenti, oggi ridotti a una corona e un Silenzio raffazzonato, a volte anche stonato. Poi è fatta, il corteo si scioglie e tutti a casa. Come dice l’Avvocato Covelli: “E anche questo 4 Novembre è passato”. Ci si ripenserà tra un anno.
Quest’anno i fenomeni sono riusciti addirittura a spostare la le minime celebrazioni della festività a Viareggio, non a Lucca città Capoluogo, perché qui ci sono i Comics. Neanche la dignità della piazza XX Settembre, o di Piazzale Verdi, al Monumento ai Caduti con la pietra del Carso.
Sarebbe bastato calendarizzare per tempo debito l’incastro delle date, non è neanche difficile. Le due cose non sono incompatibili. Basterebbe solo programmare i due eventi. Occorre un calendario e una matita, e un po di senso civile. Merce rara ormai.
Ai Soldati caduti rimane solo il nostro: “scusateci”.
Viva il 4 Novembre. Viva l’ITALIA
Per precisione storica la Grande Guerra nel mondo terminerà l’11 novembre alle ore 11 presso Compiegne in Francia con la resa della Germania alle potenze Alleate, firmata su un vagone ferroviario; peggio della Villa Giusti.
Quello stesso vagone verrà però riutilizzato dai tedeschi per la firma della resa della Francia, poco più di venti anni dopo…
Qualcuno ha voluta trovare un significato “esoterico” ai due numeri della data dell’armistizio: “11 Novembre, ore 11”, nella lettura della targa dell’auto sulla quale viaggiavano l’Arciduca d’Austria Francesco Ferdinando e sua moglie la Contessa Sophie Chotek, uccisi da Gavrilo Princip a Sarajevo il 28 giugno 1914.
A per Armistizio, III 1 per 11 Nov. (mese 11), 18 come1918…
Vittorio Lino Biondi
Bell’articolo, con approfondita documentazione come al solito.
Anch’io penso che si dovrebbe rendere più spesso gli onori a tutti i poveri militari e i civili che sono morti nella grande Guerra, quarta guerra d’indipendenza e vera e propria carneficina.
E’ vero che l’Italia ha vinto , ma a prezzo di tanti sacrifici …
Spiace la gestione confusa e disorganizzata della guerra sino alla fine del 1917 , a causa degli errori madornali dei nostri “alti comandi” . Onore alla gestione del generale Armando Diaz.
A volte però, lei mi perdonerà, viene il sospetto che in parte la vittoria finale sia dovuta più al demerito degli avversari austro-ungarici, che ai nostri effettivi meriti.
…ma ci mancherebbe altro… ciascuno può pensare quello che preferisce..siamo in democrazia. Alla fine come si dice , la vittoria ha molti padri…la sconfitta è orfana. Certo lo stato tensione interno dell’Austria Ungheria è noto e disastroso, ma anche la capacità operativa recuperata del Regio Esercito ci ha messo sicuramente il suo.
Articolo con profonda documentazione. Peccato che quei Ragazzi e il loro sacrificio e coraggio, nel tempo siano dimenticati.
There is a most beautiful statue/memorial to “the boys of ’99” in Bassano de Grappa