Nuovamente torniamo a parlare di elezioni europee ma questa volta ci concentriamo sulla Francia.
La Francia è uno dei due paesi in cui il governo in carica ha subito una cocente sconfitta. Macron con il suo partito “Renaissance” (rinascimento) raggruppato assieme ad altri partiti nella lista “Besoin d’Europe” (bisogno di Europa) è arrivato ad uno striminzito 15% (14.6%). Oltrettutto tallonato da vicino da “Réveiller l’Europe” (risvegliamo l’Europa – coalizione di sinistra fatta dai socialisti e altri) e da “La France Insoumise” (la Francia indomita di Mélenchon – su posizioni estremiste di sinistra). Il “Rassemblement national” di Marie Le Pen lo ha umiliato con oltre il 30% (31.37%). Quasi marginali i neogollisti di “Les Républicains” (i repubblicani), una volta una delle grandi forze politiche del paese.
A seguito della sconfitta Macron ha dichiarato le elezioni anticipate per il 30/06 (con secondo turno al 7/7).
Questa la cronaca.
In effetti le prossime elezioni politiche francesi non saranno anticipate: saranno scapicollate. Meno di un mese per andare a votare; una campagna cortissima che continua e inasprisce quella delle europee.
Ma il vero problema è con che contenuti si andrà a votare.
La situazione in Francia è la seguente: il partito di Macron esprime una classe dirigente preparata e competente. Ma anche algida e distante come forse è normale che sia chi è competente: molto più competente della media della popolazione.
Vi ricordate Draghi? Non certo uno di cui si poteva dire “uno di noi”. Ecco Attal, il giovane primo ministro e pupillo di Macron, è così: competente e algido.
Il FN ha messo in campo un altro giovane: Jordan Bardella. Simpatico, proveniente dai ceti più umili, disponibile e affabile. E impreparato sui problemi veri. Ma uno in cui la gente si identifica. Al punto, magari, di sperare di avere anche essi la fortuna di essere uno scelto come Bardella.
In un dibattito tv, pre-voto europeo, Attal ha strapazzato Bardella su tutti i dossier.
Il primo ha pubblicamente dimostrato che il secondo non era in grado di comprendere i problemi di fondo, che le soluzioni che proponeva erano inapplicabili.
Quindi, qualche giorno dopo, il secondo (Bardella) ha stravinto le elezioni.
Perché?
In Italia lo abbiamo già visto: non vince chi è preparato, chi fa proposte realizzabili. Vince chi propone cose irrealizzabili. M5S (e Lega) docet (docent).
È dunque questo? Basta proporre quello che la gente vorrebbe per vincere? Il mondo è guidato dalla confusione tra i propri sogni e la realtà, dal “wishful thinking”?
Sì e no. Non è solo questione di raccontare alla gente quello che vuole sentire, per quanto folle e irrealizzabile sia. Certo, anche questo ha il suo effetto. Lo scoprì Craxi. Non c’è politico che non lo sappia.
Ma una parte importante della ricetta è che la gente è scontenta. Scontenta della situazione attuale; di non aver alcun modo di cambiare la propria vita; di non avere una ragionevole speranza che le cose andranno molto meglio con il tempo. E quando non ha speranza nel futuro vuole ribaltare il tavolo. Quando non ha speranza vuole qualcuno che sia diverso. Quando non ha speranza non vuole davvero qualcuno che gli dica perché non è possibile fare quello che desidera, magari con tono saccente e atteggiamento di sufficienza. Vuole qualcuno in cui identificarsi. Qualcuno di cui poter dire: “è uno di noi, lui ci può capire!” Qualcuno che dica che sì, la casa di marzapane si potrà avere. O che ogni ingiustizia del mondo potrà essere estirpata (sottintendendo che lo si potrà fare senza che nulla ci disturbi davvero).
Arriva così il mix vincente: un “non diverso”, un “non bravo davvero”, uno che potremmo aver conosciuto nella nostra cerchia, sorridente e amichevole, che possa raccontarci che “andrà tutto bene”. E che lo farà da sé, spontaneamente, senza che dobbiamo rimboccarci le maniche.
Li abbiamo già visti all’opera in Italia, negli anni. In Francia sono i Mélenchon e i Bardella. Due soggetti opposti per schieramento ma vicini nelle ricette economiche: meno lavoro, per meno anni, e più servizi dello stato. Più spesa, meno impegno.
Chi vuole sentire uno spocchioso Attal che spiega che no, non funziona così? In Francia, poi? Nella patria di tutte le rivoluzioni? Non scherziamo!
Così la Francia si avvia alle elezioni. E i sondaggi, ma direi anche la logica, indicano in Bardella il probabile vincitore, forte, come è, di una vittoria che sa di consacrazione e che lo porta ad una naturale luna di miele con l’elettorato.
Ma la Francia ha un sistema istituzionale diverso dal nostro: il presidente è colui che davvero governa, il vincitore delle elezioni ha spazi limitatissimi se il presidente è di segno diverso. E il doppio turno forza le coalizioni. Ma non le rende davvero più stabili e tenere insieme il fronte anti-Bardella, se dovesse mai vincere, non appare credibile.
Macron ha spinto sulle elezioni per cercare il colpo di coda? Forse. O forse solo per far crollare tutto mantenendo la nazione sotto la sua protezione presidenziale. Magari per dare il tempo alla marea di ritirarsi prima delle prossime elezioni per l’Eliseo. Nella speranza che, per allora, la Francia si sia stancata della impreparazione e ritorni all’ovile del macronismo.
L’esperienza italiana dice altro. Dice che, una volta liberate, certe forze non si esauriscono velocemente ma impiegano anni (molti davvero) a ridimensionarsi. Che nel frattempo quelle forze irresponsabili possono fare danni gravi ad economia e politica. E che lo scoramento della gente non si recupera facilmente.
Se vince il FN Macron dovrà governare dimezzato, e il FN potrà proporre tutte le ricette insostenibili con Macron che le boccerà. Potrà così additare Macron come il cattivo che non consente loro di mantenere le promesse e, a sua volta bloccare tutte le riforme e le scelte difficili del presidente.
Se vince la coalizione del “Rassemblement national” è altamente probabile che imploda prima di settembre e che lo faccia su temi sensibili come Ucraina e Israele. E anche in questo caso Macron si troverà a gestire un parlamento ingovernabile con le stesse problematiche di cui sopra.
In tutti i casi la Francia appare in avvitamento. Vedremo se sapranno tirare fuori un coniglio dal cappello. Altrimenti finiranno per fare loro una gita nella tana del bianconiglio. Come e con che costi ne usciranno è la domanda che spaventa tutte le leadership europee.
Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi
Dopo lunga riflessione e studio mi sono convinto– e mi duole assai doverlo ammettere- che noi uomini ci muoviamo in campo sociale e politico non per via di ragionamenti scientifici, di analisi spassionate e comprovate da fatti, ma a causa di forti sentimenti e passioni che spesso ci portano a pensare e in sede elettorale a comportarci in modo irrazionale, pure contro i nostri stessi interessi. Un caso recente ed esemplare è stata la Brexit per il popolo inglese.
Contro la demagogia dei politicanti, che spesso è vera e propria malafede, che ora impera in un gran numero di paesi civili, poco o niente vale il ragionamento; solo credenze vivamente sentite possono essere efficaci, siano poi esse progressiste, conservatrici, atlantiste, europeiste, od altro. Non basta da solo il metodo democratico? No, in quanto, come tale, è un metodo di scelta tra alternative possibili, ma di per sé niente dice sui contenuti o “qualità” di esse.
Mi rendo ben conto che questa opinione potrà apparire strana, se non proprio assurda, e che per difenderla adeguatamente servirebbe un trattato di sociologia politica come quelli di Max Weber e Vilfredo Pareto