“La ferita nella montagna”

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8 gennaio 1992, un G. 222 Aeritalia della 46 Aerobrigata di Pisa stava sorvolando la zona a nord di Montemurlo – Prato.

Il “Lyra 35” del 2° Gruppo di volo, al comando del Magg. Carlo Stoppani, secondo pilota Ten. Paolo Dutto, con il M.llo Cesare Nieri forse a causa della nebbia presente sul posto, impattò violentemente il Monte Iavello, un’altura montuosa di 930 metri a nord di Montemurlo.

L’impatto fu devastante. Erano le 14,42 dell’8 gennaio 1992. L’aereo scomparve dal radar di Pisa che dette il via alle ricerche. Infruttose.

L’equipaggio morì sul colpo, la cellula dell’aereo semidistrutta.

In quei giorni io ero impegnato in una esercitazione a Pontedera, assieme ai colleghi della Brigata Paracadutisti “Folgore”.

Il Comando interruppe l’esercitazione e io fui inviato subito in ricognizione nella zona di scomparsa, a nord di Montemurlo, oggi un comune della provincia di Prato, assieme ai VVF e ai Carabinieri

La zona era impervia, pieno Appennino Tosco Emiliano, poche strade, temperatura esterna -8, neve dappertutto. La sera rientrammo tutti sconsolati; all’alba successiva eravamo già sul posto tutti e riprendemmo le ricerche. Non fu facile, ma nel primo pomeriggio un elicottero dei VVF rintracciò il punto di impatto e le rovine della cellula. Anche alcuni sportivi civili che facevano treking estremo nella neve, avevano visto il luogo preciso e raggiunto il primo paese avevano avvisato. Quindi convergemmo tutti sul posto, e vedemmo il disastro.

Essendo un aereo militare la zona fu subito cinturata dai carabinieri, come normale procedura operativa. E qui si scatenarono i soliti imbecilli che non mancan mai…

Cominciarono a scrivere sciocchezze quali “aereo trasportava del mercurio, quindi è radioattivo (?) e pericolosissimo…!” e ancora… “Chissa cosa portavano sopra?”

“…Mah …che ci sarà stato…”

Niente. Era un semplice volo addestrativo di un normalissimo bimotore da trasporto di produzione nazionale, un G222 chiamato in codice Lyra 35, che per una causa ancora oggi non nota, (probabilmente la densa nebbia…) aveva impattato violentemente la montagna, dentro il Monte Iavello.

Tutto qui. Può accadere. Una tragedia, pura e semplice. Poi è logico che l’aereo trasporti apparati “delicati”, radio, trasponder, radar ecc e che è opportuno vengano presi dai militari e non certo da civili o da malintenzionati. Ecco il motivo della cinturazione.

Non è neanche difficile da capire.

I resti dei corpi vennero recuperati e trasportati nei locali della Misericordia di Montemurlo, per la ricomposizione. Ancora oggi questa tragedia è molto sentita dalla popolazione locale e ogni anno i piloti caduti vengono ricordati con affetto e vicinanza davvero esemplare.

Hanno realizzato anche un bellissimo monumento commemorativo con un’elica del motore, a Montemurlo, e uno sul punto di impatto in montagna

Il mio reparto, la Compagnia Genio ricevette l’incarico “esclusivo” di provvedere al recupero dei resti del velivolo. Noi avevamo i materiali e i mezzi d’opera per fare questo tipo di operazione, autogrù, autocarri pesanti, gruppo elettrogeni ecc.

Nonostante il freddo intensissimo in pochi giorni riuscimmo a recuperare le due semiali, con i motori, agganciarli con l’autogru e caricarli sui nostri autocarri. Tutto il materiale veniva repertato dalla Polizia Militare, e non doveva subire alcuna modifica salvo quelle strettamente necessarie e documentate relative al caricamento.

Lavoravamo con impegno, e con dolore. Il dolore di chi affronta la morte, tragica e pesante.

Conoscevamo tutti i piloti e gli specialisti della 46° Aerobrigata di Pisa, ci volavamo insieme quotidianamente, facevamo con loro una intensa attività aviolancistica quasi quotidiana.

Il 31 dicembre, pochi giorni prima, avevamo festeggiato tutti insieme, paracadutisti e avieri, il nuovo anno riuniti in un grande hangar con uno spumante e una fetta di panettone a sugello di un grande cameratismo anche se appartenenti a Forze Armate diverse; operavano comunque sempre in simbiosi nella riuscita degli aviolanci; loro ci portavano sul punto di uscita, giorno e notte, in orario, e noi saltavamo giù dagli aerei sul punto esatto previsto.

Si realizzano dei legami, dei vincoli di cameratismo così forti che segnano la vita. Legano.

Per questo lavoravamo con dolore. E in condizioni davvero al limite. Il freddo era davvero intenso. La neve copiosa rendeva difficile le operazioni.

Per raggiungere la cellula della fusoliera, il pezzo più grosso dovemmo necedssariamente aprire un pezzo di strada nel fianco della montagna, partendo dalla fine di un tornante; un breve pezzo di 42 metri (misurati) di strada sterrata, una strada di campagna, provvisoria che consentiva a un nostro scavatore pesante di agganciare il tronco di fusoliera e farlo scivolare in basso per il successivo caricamento su di un camion pesante.

Tutto riuscì. E alla fine smobilitammo. Con la morte nel cuore ci avviammo a rientrare in caserma.

Nel venir via, era pomeriggio tardi ormai, ci fermammo al posto di sbarramento giù in basso dove nei pressi di un casale di montagna i Carabinieri mantenevano una Unità Mobile di controllo che fermava i curiosi.

Un saluto, l’ultima sigaretta, uno sguardo alla montagna…

Ci raggiunge da sopra un mezzo fuoristrada color chiaro, con le scritte del “Parco”.

Scende un tipo… lo vedo subito… son tutti uguali… li fanno con lo stampino… capelli raccolti con la coda, orecchino, maglioni e giacconi colorati, cappellino di lana, sciarpone, guanti, tutto intabarrato…

Viene verso di noi…

“Buonasera, dica, ha bisogno di qualcosa?” (io, ingenuo, pensavo che volesse congratularsi con noi…).

“No… sapete… siccome, …la strada… la ferita nella montagna…”

Il suo problema erano i 42 metri (misurati) di strada provvisoria che sarebbe scomparsa con il primo ciclo annuale di piogge. Sul Monte Iavello.

“Noi siccome s’è fatto le foto… a che si manda la richiesta di risarcimento dei danni?”

Il Brigadiere dei Carabinieri che era lì con noi capì al volo la situazione, lo prese per un braccio e lo accompagnò dentro il mezzo di servizio: “Adesso le spiego tutto io… Tenente voi andate, andate pure.”

Son passati 33 anni, questo fatto mi torna sempre in mente; mentre noi caricavamo i morti, lui pensava alla ferita della montagna.

Miserabile.

Vittorio Lino Biondi
Vittorio Lino Biondi
Sono un Colonnello dell'Esercito Italiano, in Riserva: ho prestato servizio nella Brigata Paracadutisti Folgore e presso il Comando Forze Speciali dell'Esercito. Ho partecipato a varie missioni: Libano, Irak, Somalia, Bosnia, Kosovo Albania Afganistan. Sono infine un cultore di Storia Militare.

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