Chi l’avrebbe mai detto… Io non lo credevo possibile.
Mai avrei pensato che un giorno avrei dovuto dire le fatidiche parole: “Toninelli ha ragione”.
Sì proprio Toninelli: l’ineffabile, il gaffeur a 5Stelle, l’uomo del sorriso (un po’ ebete) davanti alle telecamere mentre parla del ponte Morandi; quello degli addominali allo specchio, ecc. ecc.
Ma quando dice che il movimento è un’altra cosa dopo le votazioni, ha ragione. Cavolo se ha ragione.
Non potremo mai più chiamarli grillini. Non dopo che hanno votato il grillicidio. E poco importa se il Beppe nazionale riuscirà a impantanare le votazioni facendo fallire il quorum al secondo giro. Che ci riesca o meno il risultato non cambia: il movimento ha subito una scissione di fatto, una mutazione genetica, una trasformazione irreversibile.
Tra Beppe e Giuseppe si sono sempre guardati con diffidenza. Non c’è mai stato amore. Questo era un matrimonio di interesse: il Movimento cercava un uomo che potesse incarnare il ruolo di presidente del consiglio e cercò uno con formazione da giurista e legami nel sottobosco romano. Trovarono Conte: professore di diritto legato allo studio Alpa, studio noto per i vasti legami romani anche trasversali ai partiti (interessante articolo del Foglio sul tema). Però Beppe peccò di orgoglio: pensò che il grigio Giuseppe non avrebbe mai potuto conquistare la vetta, non sarebbe mai stato un problema: al massimo una macchia nel curriculum del Movimento. Per un istrione come Beppe, uno di spettacolo e che riempie la scena sempre da solo, era impossibile vedere la forza dei legami di potere, delle trame romane, della costruzione di reti di interessi dentro e fuori del movimento. Per Giuseppe queste reti sono semplicemente l’unico modo di esistere (politicamente).
E il branco vince sempre sul singolo.
Lo ha capito troppo tardi. Lo ha stigmatizzato con un post che voleva essere insolente e sprezzante ma che, più che altro, ha fotografato la realtà della sua minorità interna: “si muore più traditi da pecore che sbranati dal lupo”. Il branco ti uccide più facilmente del predatore solitario.
E ora il branco non riconosce più il vecchio leader.
Ma sarebbe ingiusto e riduttivo leggerci solo uno scontro di potere. In fondo Beppe non vuole riconquistare il potere, non vuole tornare ad essere il re né ha mai voluto entrare direttamente nelle stanze del potere.
Avrebbe potuto.
Nessuno avrebbe negato all’Elevato un seggio sicuro. Neppure avrebbero potuto negargli un ruolo attivo politicamente. Ma non lo ha mai rivendicato né ha combattuto per averlo o per tenerlo. No, Beppe era, ed è, un portatore insano di ideologia. Un teorico del caos, o comunque di un sistema dell’irrealtà, ma dotato di una forma di purezza tipica degli ideologi o dei profeti. Tale si è sempre sentito.
E la sua anima gemella era Casaleggio: visionario e ideologo, altrettanto affascinato da sistemi impossibili e perciò, per molti aspetti affascinanti. Insieme Beppe e Casaleggio erano tanto magnifici quanto astratti: un po’ come certi quadri di arte moderna che presentano visioni impossibili ma non per questo meno magnetiche.
Si può giustamente osservare che la politica dovrebbe avere come obiettivo il possibile, non l’impossibile. Che se si cerca l’impossibile si ottiene solo di aprire le porte a maghi e saltimbanchi che sposano la visione futurista solo per conquistare il triviale potere e per tenerselo. Che aderiscono per scalare la piramide non per rovesciarla. Si potrebbe osservare che questo è il risultato finale dell’epopea del Movimento: chi rimane non è nessuno dei visionari di prima o di seconda linea. Morto Casaleggio, politicamente morti anche Grillo, Di Battista, Di Maio, Toninelli, Buonafede, Raggi e il protomartire Pizzarotti. Gente il cui valore politico e personale può essere dibattuto e che possono aver fatto sorgere più di un dubbio sull’opportunità che giungessero al livello che hanno raggiunto. Ma che erano indubbiamente affascinati da una visione. Visione più o meno distorta ma indubbiamente visione.
Tutto questo non c’è più. Tutto è tramontato nel voto, un po’ triste e senza grande entusiasmo, che ha cambiato il Movimento in un movimento—partito-Personalistico—sgabello-del-PD.
Grillo, ultimo sognatore, non vuole riavere il suo Movimento. Vuole praticare un’eutanasia. O forse fare un omicidio di onore. Vuole che la fine del sogno sia vissuta ancora con il potere del sogno.
Probabilmente fallirà.
Chi scrive ha sempre disprezzato quel sogno: vi ho sempre visto più un incubo di incompetenza e inadeguatezza, di insufficienza e pericolo per la nazione. Ma quando si vede che al sogno si sostituisce la grettezza dei succubi del potere non si può non avere un piccolo moto di compassione.