Il sistema elettorale “all’italiana”: il Sindaco d’Italia – parte IV

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A completamento del nostro excursus sui sistemi elettorali e istituzionali degli altri paesi facciamo un po’ il punto sull’ultima proposta in campo: l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri. Quella che, in gergo, viene detto il “Sindaco d’Italia”.

Il nome viene dalle battaglie referendarie tra la fine degli anni ’80 e tutti gli anni ’90 del secolo scorso. Erano tempi in cui si cercava di sostituire la classe politica degli anni ’80 (quella della spesa facile e del potere romano) tramite lo strumento del voto popolare referendario. L’oggetto delle campagne di Mariotto Segni era il sistema di voto che, tramite preferenze multiple e accordi correntizi, consentiva il mantenimento del potere in mano ai signori delle tessere che, a loro volta, gestivano un potere clientelare di grandi proporzioni. Un potere che finì nel mirino di una magistratura che aveva dichiarati fini politici e che, nella sua azione, debordò talmente tanto da creare un contesto di instabilità politica e istituzionale che segnò pesantemente quegli anni e allunga i suoi strascichi fino ad oggi: le incrostazioni di potere romano non sono poi calate (se mai sono passate da sistemi con dei capi a contesti di micropoteri senza più neppure una guida) e i leader di partito sono ancora più liberi di Caligola nel nominare chi vogliono al Parlamento o negli incarichi pubblici.

Già in quel periodo si aveva ben chiaro che l’instabilità politica era il vero nemico da sconfiggere. Si voleva quindi pensare ad un modo di riportare il potere esecutivo ad un livello di agibilità tale da non essere ostaggio della «minoranza della maggioranza»: il classico partitino di coalizioni eterogenee che teneva in scacco il governo con il ricatto di farlo cadere. E immancabilmente, dopo qualche tempo, lo faceva cadere davvero. Come successe a Berlusconi con Bossi (che allora navigava attorno all’8%) o come successe, subito dopo, a Prodi con Bertinotti (con il suo formidabile 8% – numeri che ritornano – che le elezioni successive videro ridimensionato ad un più compassato 5%).

La stessa situazione esisteva anche nel governo delle città: i sindaci erano eletti dal Consiglio Comunale e da questo venivano sostituiti anche solo per questioni interne ai partiti di maggioranza. I comuni erano emblema di questa instabilità e i sindaci erano ostaggi dei partiti. Il più significativo risultato delle campagne referendarie fu proprio la riforma dei comuni del ’93 con l’elezione diretta dei sindaci che portò i primi cittadini ad essere guide dei propri territori. E portò maggiore stabilità anche alle amministrazioni locali.

Certo ci sono stati comuni in cui il potere del sindaco ha avuto effetti collaterali negativi e l’accentramento amministrativo ha generato anche uno schiacciamento del consiglio comunale e delle sue prerogative. Eppure non credo che il giudizio collettivo sia negativo in proposito.

L’idea è quindi quella di replicare quella stagione portando anche il Presidente del Consiglio a essere eletto direttamente. E con questo a portare con sé un governo che sia sua diretta espressione.

In analogia a quanto accade nei consigli comunali, è ovvio che al parlamento resterebbe la possibilità di sfiduciare un premier attivando, però, nuove elezioni. Per limitare l’instabilità andrebbe cercata anche una diversa configurazioni del percorso elettorale. Nei comuni il sindaco viene eletto con un doppio turno e premio di maggioranza che consente al candidato di selezionare i partiti che lo appoggiano e che possono beneficiare di questo premio mentre i consiglieri sono eletti con voto proporzionale con singola preferenza (battaglia storica dei referendari quella di abolire le preferenze multiple…). A livello nazionale probabilmente il doppio turno non piacerebbe a tutti ma sarebbe una mediazione potenzialmente possibile con il centro-sinistra.

Certo la novità sarebbe dirompente: le preferenze per i parlamentari romperebbero il «giochino» della nomina diretta di fedelissimi in Parlamento, richiedendo che le persone candidate abbiamo un reale consenso pubblico. Il governo eletto (nella persona del suo capo) avrebbe una legittimazione forte, cosa che in politica ha un grosso peso. Sarebbe inoltre una modifica istituzionale di «limitata portata» mantenendo la Presidenza della Repubblica fuori dal perimetro dei cambiamenti e consentendo di limitare gli effetti al «solo» rafforzamento dell’esecutivo. Garantirebbe degli esecutivi più stabili nel tempo e più coesi nelle azioni, togliendo la strana cosa che un ministro nominato non può essere rimosso dal suo Presidente senza un complesso (e dagli esiti spesso imprevedibili) percorso istituzionale che passa da tutti i colli romani.

E, certo, darebbe più peso al Presidente del Consiglio. Cosa che tutti, destra e sinistra, dicono che sia necessario quando sono al governo, ma che poi, quando sono all’opposizione, dicono essere un grave pregiudizio per la democrazia tutta (addirittura!!!).

In conclusione, si può optare un sistema tedesco, che con la sua sfiducia costruttiva che gioca sulla maggiore difficoltà di costruire rispetto ad abbattere, legando il cambio di Cancelliere all’individuazione di una larga maggioranza preventiva che si prenda il compito di governare.

O si può scegliere il più forte modello francese, con il suo capo dello stato che è anche «capo di fatto» dell’esecutivo e che gli consente di cambiarlo quando serve a dare un responsabile in pasto alle opposizioni o al popolo. Scelta, quella del modello francese, che era tradizionalmente la preferita della sinistra che ha sempre guardato a Parigi con un misto di desiderio e sudditanza, ma che ora sembra improvvisamente il male assoluto.

Poco credibile, dalle nostre parti invece, il modello statunitense con il suo «quasi re» e meccanismi iper-maggioritari. Non sarebbe davvero facile rivoluzionare le nostre istituzioni per far funzionare quel modello con le nostre leggi. E il rischio di fare una riforma patchwork sarebbe altissimo.

O infine si può optare per qualcosa di nostro soltanto come il Sindaco d’Italia. Soluzione che, a parere dello scrivente, è la più adeguata al nostro sistema istituzionale e che potrebbe garantire un equilibrio tra poteri dello stato che da tanti anni è scomparso.

E con equilibrio si intende che anche, e soprattutto, il Governo di una grande nazione deve avere la possibilità di governare con rapidità ed efficacia e non essere avvolto in una melassa di procedure e meccanismi che ne rallentano l’azione.

Altrimenti non possiamo lamentarci dei governi che non funzionano.

L’unica cosa che davvero non possiamo fare è restare in questa situazione di istituzioni perennemente bloccate.

Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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