Il mio 25 Aprile…

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Un amico di Barga, paracadutista in congedo, mi ha chiamato tempo addietro e mi ha chiesto se potevo tenere una conferenza in occasione degli 80 anni della Liberazione.

Mi ha proposto un titolo assai particolare: voleva che parlassi della “Continuità delle Forze Armate italiane nella Guerra di Liberazione”. Ci ho pensato un po’… e ho accettato.

Domenica pomeriggio verso le ore 16, nella bella sala Consiliare del Comune di Barga ammorberò i convenuti con un’oretta di chiaccherata su questo tema. Per inciso il giorno prima parlerò della Linea Gotica e della sua valenza geopolitica, presso la Fondazione Ricci.

Sono entrambi argomenti interessanti e in qualche maniera collegati.

Ma il primo argomento in particolare, mentre preparavo la presentazione, mi ha preso: forse per deformazione professionale. E ringrazio per questo l’amico Roberto Conti per la richiesta e il suo titolo.  “La continuità delle Forze Armate…”

Quando preparo questi lavori sono molto meticoloso e preciso: mi procuro sempre molti testi, fonti documentali, pezze d’appoggio. Mai improvvisare e interpretare. C’è sempre in sala il “fenomeno” che alza il ditino e ti interrompe… “Scusi sa, ma a me risulterebbe”… oppure: “come mai ha detto…? Io sapevo che”… E quindi per evitare travasi di bile e figurette, passo moltissimo tempo ed energie a documentarmi incontrovertibilmente; di ogni cosa che dico posso dimostrare l’origine e la fonte. Poi… è anche vero che la Storia è fatta di una certa interpretatività, ma insomma, meno ce ne mettiamo meglio è. Ma tiriamo giù due riflessioni…

8 settembre 1943 Roma. Data infausta per il paese, per come viene gestita la notizia dell’Armistizio. Il Tenente Innocenzi (in Tutti a casa) chiama il Colonnello tutto agitato, dal telefono del bar, sulla linea militare: “Signor Colonnello, accade una cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani!… Quali sono gli ordini?”

Gli ordini non c’erano.

O meglio… erano stati predisposti degli specifici piani e ordini esecutivi, oggi son saltati fuori. La famosa Memoria “O.P. 44” inviata ai Comandanti il 2 settembre ‘43, nella quale si predisponevano le azioni contenitive da attuare dopo l’Armistizio nei riguardi dei tedeschi. La sigla O.P stava appunto per Ordine Pubblico e l’aveva firmata il Gen. Roatta, Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito, un personaggio decisamente sgradevole.

Come tutte le cose che nascon male, lo stesso Roatta aveva disposto la immediata distruzione della Memoria dopo la lettura e la firma della ultima pagina per ricevuta: niente di compromettente doveva rimanere. Per questo rimase praticamente inattuata, o attuale male. Poi accadde di tutto e anche di più: il re che fugge, la sua marmaglia di generaloni dietro, in piedi sui predellini della auto, i soldati che senza una struttura di comando ignominiosamente fuggita, restano senza ordini chiari e precisi.

E cominciano a difendersi.

E a difendere il paese.

A Porta San Paolo i granatieri si fanno massacrare pur di cercare di difendere l’ingresso sud di Roma.

A Monterosi invece a nord, la sera del 9 settembre, il Sottotenente del Genio Ettore Rosso, assieme a sei genieri e due cavalleggeri del “16° Lucca”, fanno saltare in aria un ponte per sbarrare l’avanzata di reparto corazzato tedesca diretto alla capitale. Per far presto decidono di lanciare le bombe a mano direttamente sul camion degli esplosivi in sosta sul ponte; così facendo non avranno il tempo di allontanarsi. Muoiono tutti.

Il 10 settembre a Lucca, precisamente a Colle di Compito, gli avieri tedeschi del campo di volo di Tassignano, si recano al prelevare i prigionieri di guerra, in maggioranza britannici, custoditi presso il Campo di Prigionia del “Pollino”, a Colle di Compito. Il Comandante del campo, il colonnello Ghione, un richiamato in servizio a 65 anni, non ha ordini in tal senso e si rifiuta di consegnarli; nasce un conflitto a fuoco, nel quale perdono la vita il colonnello, il Capitano Gentile e il soldato Mastroippolito, non prima di aver fatto fuggire e mettere in salvo tutti i prigionieri che scappano dalla parte posteriore rifugiandosi sui monti Pisani.

Uno di questi prigionieri, un Capitano inglese di artiglieria, tale G.A. Saundus matr.89972, arriva in val Freddana e incontrato il parroco di Colognora, fonda con lui una piccola banda partigiana, la Banda Saundus, il cui “Capobanda e pastore” è il parroco di Colognora Don Gino Bachini.

La banda è piccola e non farà azioni eclatanti; giusto attività di sabotaggio, informativa, assistenza profughi e fuoriusciti, recupero piloti abbattuti ecc. È composta da 43 persone suddivisi in tre squadre; di questi 28 sono militari, Carabinieri, Finanzieri, Alpini, ecc. tutti allo sbando e tutti che si ritrovano per combattere per il Paese.

Ma prima di loro possiamo annoverare, uno tra i tanti, il maggiore dei R.CC Giovanni FRIGNANI, che procede all’arresto di Mussolini all’indomani del 25 luglio 1943. Organizzerà una rete di resistenza interna all’ Arma, a Roma, ma verrà catturato dai tedeschi, torturato in Via Tasso e terminerà la sua esistenza alle Fosse Ardeatine, il 24 marzo del 1944.

Con lui altri 12 Carabinieri e una trentina di militari italiani.

Tra essi, tanto per citarne ancora uno, il Col. Giuseppe CORDERO LANZA DI MONTEZEMOLO, comandante del Fronte Militare Clandestino. Anche lui terminato alla Ardeatine.

E tanti altri ancora… come i due sconosciuti soldati che montano imperterriti la guardia all’Altare della Patria, ininterrottamente, mentre i carri armati tedeschi sferragliano in Piazza Venezia. Per questo motivo ancora oggi l’Altare della Patria è uno dei cinque simboli dell’Italia. Rappresenta la continuità e l’hanno assicurata i due soldatini sempre presenti ai lati del sacello, armati, mentre il loro capo, il re e i suoi generaloni fuggivano sulla corvetta Baionetta, direzione sud, al sicuro.

Ma uno degli esempi più belli, fulgidi come si suol dire, è il ViceBrigadiere dei Reali Carabinieri di Palidoro, Salvo D’ACQUISTO che per evitare una rappresaglia, si immola e si sacrifica al posto di 23 civili rastrellati per una bomba accidentalmente esplosa che aveva provocato la morte di due tedeschi e il ferimento di altri due. Verrà decorato di Medaglia d’Oro, alla Memoria…

Il 15 agosto del ’44 tocca al Tenente paracadutista Giuseppe MARTINELLI, da Lucca. In forza al 183° Reggimento NEMBO, avanza su Castellone di Suasa, vicino a Iesi. Nel corso di forti combattimenti contro i tedeschi rimane gravemente ferito ma continua a difendere la sua posizione di mitragliatrice fino a sera, ad attacco respinto. Morirà poco dopo.

Nel frattempo le nostre Forze Armate si stanno lentamente ricostituendo. Nasce il Corpo Italiano di Liberazione, poi i Gruppi da combattimento. Gli inglesi non sono entusiasti, gli americani li apprezzano di più. I primi disarmati, poi armati un pò alla meno peggio… Storie della guerra, siamo i perdenti, dobbiamo accettare. Ma facciamo il nostro.

Il C.L.N. di Lucca è composto quasi esclusivamente di militari; uno fra tutti il Sottotenente Mario BONACCHI, che come niente fosse, la sera del 24 agosto ’44 entra in uniforme falsa da camicia nera nel carcere locale, munito di un ordine di scarcerazione perfettamente falsificato, si fa consegnare alcuni prigionieri condannati a morte e li salva. Peccato che nessuno ha pensato di tributarli una Medaglia d’Oro per una azione straordinaria. Forse perché era un militare. Bene ha fatto l’amico Paolo BOTTARI a ricordarlo con una sua pubblicazione uscita alcuni giorni fa.

Il C.L.N di Lucca era composto quasi esclusivamente da militari; il Presidente era il Magg. FAMBRINI, del Regio Esercito, e tra i componenti spiccava il Tenente Umberto DIANDA, da Lucca, due volte decorato al Valor Militare, una Medaglia D’ORO e una D’ARGENTO: la prima d’Oro, presa nel ’42 in combattimento in Africa Settentrionale; carrista, ferito gravemente in combattimento, rifiutava i soccorsi pretendendo che prima fossero curati i suoi uomini. La seconda d’Argento, in Italia. Non erano in tanti ad averne due, viventi!

Negli anni ’80 quando il DIANDA frequentava il Circolo della “Lorenzini” per le varie cerimonie della città, e noi gli facevamo il “Presentat d’arm” all’ingresso in caserma, (onori previsti alla Medaglia d’Oro), mi raccontò un curioso episodio della Liberazione di Lucca; il 5 settembre il Comitato di Liberazione, salì in palazzo Ducale, per prendere possesso della Prefettura. Nel grande corridoio centrale, quello con le statue, si fronteggiarono improvvisamente con un altro cosiddetto Comitato di liberazione, un gruppo di “liberatori” dell’ultima ora, quelli che non si erano mai visti prima, ma che con fazzoletti colorati al collo pretendevano di essere loro a gestire la fase della Liberazione… “Insomma caro Tenente (rivolto a me…) arrivammo a puntarci le armi addosso…”

Alla fine prevalse il buonsenso…

L’episodio è esattamente descritto nei documenti conservati per fortuna dall’ISREC di Lucca, in Documenti e Studi nr. 2 pag.87. per la penna del Dott. DE GENNARO, magistrato, all’epoca Presidente del C.L.N. Lucca, socio fondatore dell’ISREC e primo Presidente dello stesso, quindi persona di assoluta affidabilità storica. Per fortuna oggi questi documenti sono ben conservati e consultabili da tutti e l’Istituto è in mano a una persona perbene… oggi.

Ma anche a Genova una delle pochissime città liberata direttamente ed esclusivamente dai partigiani, il comitato esecutivo è composto da cinque ufficiali dell’esercito; il Magg. ALONI “Violino”, il Col. TOMMASI, il Col. MANES, il Col. MIRO e il Magg. VAN.

Uno di loro, il magg. Aloni firma congiuntamente assieme a Remo Scappini, nome in codice “Giovanni” Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale della Liguria, il documento di resa del Gen. MEINHOLD comandante dei tedeschi.

Il documento fortunatamente ben conservato dall’Istituto Storico della Resistenza di Genova, ci fa leggere alcuni particolari interessanti: …un Remo SCAPPINI che scrive sull’atto di resa: “…il Sig. Generale Meinhold,” …non è roba da poco; un operaio comunista che mette in ginocchio un Junker della Pomerania, Comandante della Piazza di Genova, dandogli del Signor Generale… Meninhold verrà immediatamente condannato a morte da Berlino, e verrà incaricata la Kriegsmarine, che ancora controlla il porto di Genova di eseguire la sentenza, ma ormai Meinhold è posto in sicurezza da “Giovanni” e verrà consegnato agli Alleati giorni dopo.

C’è un’altra piccola città in effetti liberata direttamente ed esclusivamente dai “Patrioti”, come ha precisato la Medaglia d’Oro, Paola DAL DIN, nome in codice “Renata”, paracadutista militare che si fa un lancio di guerra e combatte da patriota “Chiamatemi Patriota e non partigiana, è più nobile. Noi combattevamo per tutti.” L’Huffington Post 15.04.2025.

Questa piccola città liberata dai Patrioti è Barga.

I patrioti della XI Zona arrivano a Barga il 9 ottobre del ’44 come deliberato al nr. 46 che recita “le truppe alleate” perché i patrioti erano inquadrati nella 5° Armata e vestivano, senza gradi, l’uniforme americana. La reggenza da Sindaco la prese il Vicecomandante della XI Zona Patrioti, “Tiziano “ PALANDRI, un pistoiese, e due giorni dopo, verso le 11 del mattino arrivarono i soldati brasiliani del III Battaglione del 6° Reggimento della F.E.B. che si insediarono presso l’Albergo LIBANO, sul Fosso. C’è una bella targa che ricorda questo fato e fissa la data.

La Storia è scritta. Basta leggere. È anche in italiano….

Le caserme dei paracadutisti della Toscana sono intitolate a ufficiali decorati che combattono per la Liberazione; tra questi il Ten. Col. Alberto BECHI LUSERNA, che viene ucciso da alcuni paracadutisti dissidenti in Sardegna mentre cerca di convincerli a seguire il reparto. Il Tenente Paolo VANNUCCI muore in combattimento a Gruda, sulle Bocche del Cattaro, mentre cerca di resistere ai tedeschi. Il maggiore Gian Paolo GAMERRA invece perde la vita in combattimento sull’Aurelia, vicino a Stagno di Livorno, mentre si oppone ai tedeschi che imponevano la consegna delle sue armi. E ancora il Ten. Franco BAGNA il 22 aprile del’45, dopo essersi aviolanciato con il suo reparto nella Operazione Herring, combatte contro i tedeschi a Casellone di Poggio Rusco. E li vi muore.

Il Generale Raffaele CADORNA, a 50 anni si fa aviolanciare il 12 agosto in Lombardia e assume il comando del C.N.L.A.I.; tratta la resa delle truppe della R.S.I. Ordina l’insurrezione del 25 aprile.

Ma uno dei personaggi più carichi di significato storico, è il grande Colonnello Paolo Caccia Dominioni, conte e barone, 14º Signore di Sillavengo, nato a Nerviano, in provincia di Milano, il 14 maggio 1896, figlio di Carlo, Regio Ministro Plenipotenziario, e di Bianca, dei Marchesi Cusani Confalonieri, entrambi milanesi di Milano – Comanda il XXXI Guastatori a El Alamein, poi in Italia entra nella Resistenza a Milano, fa il Capo di Stato Maggiore, lo catturano due volte i tedeschi e due volte , dopo essere stato torturato, fugge e continua a combattere. Dopoguerra costruirà cimiteri e sacrari compreso quello per i caduti della R.S.I. in Garfagnana; per lui sono tutti italiani.

Un bel contributo alla guerra di Liberazione lo fornisce la Regia Guardia di Finanza; accedendo ai documenti originali conservati per fortuna presso i vari Istituti delle Resistenza, per esempio quello di Milano, si scopre che l’insurrezione ordinata da Cadorna, viene finalizzata da un reggimento della Regia Guardia di Finanza al comando del Colonnello Malgeri, che uscito compatto dalla caserma, occupa, dopo alcuni combattimenti, la Prefettura, la Questura, il Palazzo della Provincia e l’E.I.A.R. (la stazione radio) dal quale lo stesso MALGERI comunica via radio alla popolazione che Milano è stata liberata.

Curiosamente anche il leggendario comandante partigiano emiliano Arrigo BOLDRINI, un passato come tanti del suo tempo nella MVSN, con il grado di Capomanipolo, combatte come Sottotenente del Regio Esercito sulle Bocche del Cattaro e poi passa nella Resistenza. Nome in codice “Bulow”. La sua formazione militare gli sarà utile nella battaglia di Rimini.

Giusto per chiudere, e far capire come è stata a lungo (volutamente…) sottaciuto il forte contributo delle Forze Armate nella Guerra di Liberazione, è uscito recentemente un libro di una giovane scrittrice Erica CASSANO; si intitola “La Grande sete”; ne escon tanti di libri in questi giorni. Non tutti di valenza storica…

Il libro tratta delle 4 giornate di Napoli, dal 27 al 30 settembre 1943, e della sua insurrezione popolare. Il popolo, la gente, la popolazione, i napoletani. E via cosi… In copertina un camion con sopra del personale armato; 5 sono in uniforme militare. Nessun cenno di questo nelle recensioni.

Poi, in una intervista televisiva presso la trasmissione “In altre Parole” su La SETTE, il Professor Vecchioni dice senza mezzi termini: “…Napoli nel ’43 era sotto assedio… Ci sono gruppi con comandanti vari… Uno dell’Esercito… Uno della Marina…”

Fine delle trasmissioni.

Vittorio Lino Biondi
Vittorio Lino Biondi
Sono un Colonnello dell'Esercito Italiano, in Riserva: ho prestato servizio nella Brigata Paracadutisti Folgore e presso il Comando Forze Speciali dell'Esercito. Ho partecipato a varie missioni: Libano, Irak, Somalia, Bosnia, Kosovo Albania Afganistan. Sono infine un cultore di Storia Militare.

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