Contrastare gli effetti negativi della gentrificazione e del turismo di massa. Riportare funzioni e posti di lavoro di varie tipologie per diversificare il tessuto economico. Mantenere il più possibile forme di gestione pubblica, anche se non necessariamente la proprietà. Queste sono le direttrici che i Comuni dovrebbero perseguire nella gestione dei centri storici. La riqualificazione dei “grandi contenitori”, come la ex Manifattura Tabacchi non deve fare accezione, proseguendo la linea tracciata dalla precedente amministrazione.
Le città italiane saranno investite, negli anni ’20, da alcuni fenomeni di grande portata che ne modificheranno la natura e il ruolo. Innanzitutto, la crescita costante del turismo e della residenza breve in case storiche, riconvertite in appartamenti in affitto, spesso grazie all’intermediazione di siti internet. Alla maggiore economicità dei trasporti aerei, si aggiunge la nascita della classe media in molti Paesi popolosi. Potenzialmente, il flusso turistico in arrivo dall’Asia riguarda miliardi di persone.
L’Italia ha popolazione pari a una provincia cinese. La concentrazione di bellezze nel nostro Paese, mediamente ben valorizzate, unita alle nostre piccole dimensioni, rappresenta una grande occasione di posti di lavoro e crescita economica. Ma, se pensiamo al potenziale arrivo di centinaia di milioni di turisti, può essere anche un problema, portandoci alla “monocoltura turistica”.
Qualcuno, in passato, ha ipotizzato che l’Italia potrebbe trasformarsi in un grande parco giochi per stranieri e basare la sua economia prevalentemente su questo settore. Ma ci siamo rapidamente resi conto che sarebbe un abbaglio. Gli effetti delle chiusure per il Covid e il calo di turisti russi dovuto alla guerra in Ucraina, ci ha insegnato che puntare su un solo settore economico è un errore.
Dobbiamo quindi diversificare. E qui entra in gioco l’altro fenomeno: il rientro della cosiddetta supply chain, ovvero i giganteschi investimenti, guidati da mano pubblica, per riportare in Europa e in America interi comparti produttivi, che prima erano stati esternalizzati in altri continenti. L’industria europea e americana è infatti in ripresa con la costruzione di nuovi insediamenti in settori produttivi chiave, come i microprocessori, o le batterie agli ioni di litio.
Dei centro storici italiani cosa dobbiamo fare? Questi luoghi erano nati per avere tutto dentro: industria, artigianato, attività commerciali, palazzi del potere pubblico, funzioni militari. Le mura erano il confine all’interno del quale proteggere, nel caso di Lucca, il cuore pulsante dello Stato. All’esterno rimaneva l’agricoltura, con i contadini che occasionalmente potevano riparare in città, in caso di invasione esterna. Per la loro funzione i centri storici erano, quindi, efficientissimi e fino a inizio ‘900 hanno svolto egregiamente il loro ruolo.
Però con l’industrializzazione e l’urbanizzazione le città antiche, con le loro piccole case medioevali e prive di posti auto, si sono scoperte inadeguate, e abbiamo assistito a un costante svuotamento di funzioni. Una sola caratteristica è cresciuta: la vocazione turistica. Ma, come detto, è troppo rischioso orientare uno sviluppo economico esclusivamente su un settore. Imperativo strategico del decisore pubblico è, quindi, equilibrare il più possibile la situazione.
La ex Manifattura Tabacchi è un esempio tipico di queste dinamiche: un ex convento, poi divenuto fabbrica, ora scheletro postindustriale in cerca di vocazione. Con una scelta lungimirante il complesso è stato acquistato dal Comune anni fa. La scelta più razionale è quindi usare l’urbanistica, e la riqualificazione di questo spazio, per una ristrutturazione conservativa, ma il più moderna e funzionale possibile, che consenta di riportare attività che sono state perse. È possibile fare anche una vera e propria politica industriale. Perché nel XXI secolo esistono attività legate al mondo produttivo compatibili con un centro storico. Pensiamo ai lavoratori in smart working, al settore informatico, aziende di progettazione, consulenze, funzioni direzionali. Tutti ambiti che, in un palazzo del centro storico riqualificato, starebbero benissimo. A questo dobbiamo abbinare luoghi di aggregazione, auditorium, uffici pubblici, biblioteche, luoghi per mostre. E poi la formazione: le scuole che dovranno formare i professionisti nell’industria del domani, come gli Istituti Tecnici Superiori, avranno bisogno di sedi in cui stabilirsi. Si parla, nelle grandi capitali europee, di “città in 15 minuti”, ovvero di città che nel giro di pochi km consentono al cittadino di svolgere qualsiasi attività di cui ha bisogno. L’intera città dentro le mura di Lucca è così! Quindi, avanti con decisione. Molti tentativi, non sempre di facile esecuzione, sono stati fatti dalla precedente amministrazione: pensiamo alla riqualificazione della ex Manifattura nord, con il progetto “Manifattura della Cultura”: servizi per il cittadino, trasferimento di uffici comunali, un luogo per eventi e anche l’Expo del fumetto. Tale approccio è stato recentemente confermato dal sindaco in carica. La prospettiva di una riqualificazione che attirasse attività informatiche, utilizzando i fondi della Fondazione CRL (quindi, di fatto, della città), anche se non andate a buon fine, fu apprezzata anche da numerosi esponenti di quella che ora è la maggioranza alla guida della città. È da auspicare, quindi, che tale prospettiva non vada perduta. Lucca ha grandi occasioni davanti a sé: dobbiamo, tutti uniti, coglierle e portarle a compimento.
Gabriele Olivati