I detti belluini della saggezza popolare

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I latini avevano un motto: “homo homini lupus”. Che significa che per l’uomo, l’animale più pericoloso è proprio l’uomo. E l’animale più pericoloso di tutti era il lupo.

Già il lupo: una bestiaccia famelica che aspetta la notte per derubarti di qualche capo di bestiame. Che se ti trova solo o non sufficientemente armato, ti sbrana e ti uccide. E lo fa in quest’ordine. Mica come il leone o il coccodrillo che prima usano la cortesia di uccidere le proprie prede e solo dopo le sbranano. No, il lupo, quando è in branco, ha la frenesia del banchetto e sbrana. È una bestia potente ma vile che attacca il più debole, lo isola e ferisce per indebolirlo fino all’aggressione in orda.

Il lupo è la metafora dei branchi, di quando le persone si allineano per colpire. Quando fanno le prepotenti dietro ad un potente e gli fanno da claque, lo aizzano, lo incitano a colpire.

Abbiamo visto un bullo che ha bullizzato una nazione intera.

Diciamocelo non è la prima volta: per secoli il mondo ha assistito al “diritto del più forte”. Non possiamo scandalizzarcene oggi. Ma certo vederlo in mondo-visione fa un altro effetto che leggerlo sui libri di storia.

Abbiamo visto un bullo che aveva con sé la sua claque osannante: il vice, i politici e pesino i giornalisti che erano presenti all’incontro.

Abbiamo visto un bullo che ha preteso che il debole gli desse i soldi. Senza complimenti gli ha detto che “o paghi o ti faccio pestare a sangue”.

Abbiamo visto un bullo che si è vantato di essere un bullo.

Che c’è di nuovo? Probabilmente poco. Anche a scuola ci sono ragazzini che fanno altrettanto. In America poi sono una specie di istituzione nelle scuole. Sono i “bully” i ragazzi cattivi che spadroneggiano circondati da una fronda di leccapiedi. E che pretendono i soldi della merenda per non riempirti di botte.

Eppure, al di là del disgusto, della preoccupazione, del colpo allo stomaco c’è che le reazioni sono contro il “bully Trump” ma non davvero a favore del popolo in difficoltà. Non ci piace ma siamo come don Abbondio: vorremmo che il più forte fosse Renzo ma, visto che non lo è, ci asteniamo volentieri dal farci coinvolgere. E lasciamo il bullizzato nelle mani dei bulli.

Così il bullizzato (Zelensky) prima si è guardato un po’ intorno in cerca di aiuto (ha parlato con gli europei in vari formati), poi, capita la malaparata di chiacchiere tante e azioni poche e a lungo termine, ha detto al bullo che gli darà i soldi della merenda.

Lo facciamo perché siamo deboli?

Un po’ è vero: non abbiamo un apparato militare all’altezza delle sfide dei nostri giorni. Ci è piaciuto pensare che il mondo fosse diventato un posto sicuro. Ci siamo cullati nella convinzione che le guerre fossero un retaggio del passato, che noi «civilizzati» certe cose non potevamo più accettarle né le avremmo più dovute subire, figuriamoci farle. Con un atteggiamento snob abbiamo considerato le forze armate un retaggio del passato, i militari delle persone poco per bene, la difesa un lusso non necessario.

Perché lo abbiamo creduto?

A ben vedere non avevamo grandi motivi: certo la violenza è brutta ma le guerre sono continuate appena oltre i nostri confini. E con nostri intendo non solo quelli europei ma anche quelli di tutto «l’occidente». Appena oltre il mare, a poche centinaia di km, le guerre sono in corso da sempre (leggasi Libia ma anche tutto il nord-Africa). Ma anche più vicini, nei Balcani, a poche decine di km da noi italiani, le guerre ci sono state negli ultimi 20 anni e, per certi versi, ci sono ancora. A est dei confini europei ne sono avvenute diverse anche prima della faccenda della Crimea, che pure avrebbe dovuto essere un campanello di allarme bello forte. E «sud» ed «est» sono gli unici lati abitati della fortezza europea: poi ci sono il polo nord e un intero oceano che, grazie al cielo, non ci possono muovere guerra. Quindi avevamo, e abbiamo, guerre su tutti i lati.

Ma più o meno vale lo stesso per gli Stati Uniti, con il confine a sud che, trascurando la piccola Cuba, vede la fascia nord-tropicale sempre e permanentemente in guerra civile (dal Messico alla Colombia e vicinato). Senza contare il terrorismo che ha portato la «guerra sporca» direttamente dentro i confini di casa. Per poi non parlare di Israele, della Corea, di Taiwan, della defunta nazione di Hong-Kong, del Giappone. Forse solo l’Australia e meno circondata da guerre o tensioni belliche.

Quindi da dove veniva la spensierata convinzione che le guerre non ci appartenessero? Da una specie di presunzione di essere troppo «civili» per farle? Che poi vuol dire che chi le fa è un barbaro non civilizzato che potremmo facilmente ammansire, pagandolo con un po’ di soldi come uno straccione. Ai nostri antenati latini però non andò così bene con i barbari…

Così veniamo ad un altro detto della saggezza popolare: «chi pecora si fa, il lupo se la mangia».

E l’Europa si è davvero fatta pecora. Lo ha fatto scientemente. Con determinazione. Ha abbandonato ogni velleità di difesa, affidandosi coccolosa al potente e gagliardo amico USA. Gli ha dato le chiavi della sua sicurezza in cambio di aperture commerciali un po’ sbilanciate. In cambio della disponibilità a non fare mai troppo sul serio sulla scena internazionale. In cambio di un ruolo da comprimario plaudente. Abbiamo fatto lo sparring partner, abbiamo votato all’ONU, abbiamo accettato le varie piccole angherie che gli USA, ogni tanto, fanno ai partner quando sono troppo autonomi. Niente di cui dolersi davvero, ma una certa prepotenza lo hanno avuta tutti i presidenti USA.

Poi, però, è arrivato il lupo Trump. Con la sua cricca di spostati di cui, sorpresa sorpresa, Elon Musk non è neppure uno di quelli che conta di più o più esagitati: basta vedere quello che fanno o che dicono (o che ruolo hanno) il vicepresidente, il segretario alla difesa e il resto del governo.

Così l’Europa si è fatta pecora. E ora deve vedere di non farsi mangiare dal lupo. Che è Trump ma anche e soprattutto Putin.

A rischio di essere irridenti, potremmo dire: «in bocca al lupo».

Ma ho il terrore che ci venga risposto, in ossequio ad un becero, sciocco cieco pacifismo non violento: «viva il lupo».

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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