Siamo al momento in cui lo Stato ha pubblicato la NADEF e quindi al momento in cui si fanno un po’ di conti.
La NADEF (Nota di Aggiornamento al DEF ossia al Documento di Economia e Finanza) è lo strumento con cui lo Stato aggiorna i contenuti del DEF (che vengono presentati al 30 aprile di ogni anno) per correggere i dati in esso contenuti con le rilevazioni effettivamente fatte nel frattempo, in modo da dare alla Legge di Bilancio un supporto più realistico.
Ma, storicamente, i quadri rappresentati non brillano per realismo.
La NADEF ci dovrebbe raccontare il quadro macroeconomico che si prospetta per i prossimi anni. Nello specifico, fino al 2026. In questo quadro si prevede l’andamento della spesa pubblica, del PIL, del debito.
Una premessa metodologica: nessun numero può dirsi «grande» o «piccolo» se considerato a sé stante. Per dire: un importo di 1 milione di € è «enormemente grande» se è considerato come un prestito ad un comune privato cittadino, è «estremamente piccolo» se è un prestito fatto allo stato italiano. Similmente un bilancio di 1’000 miliardi è «enorme» per un piccolo paese come, ad es. l’Eritrea, e irrisorio e irrealistico per paesi come Cina o USA. Quindi per giudicare un dato di finanza pubblica si deve fare riferimento ad un’altra grandezza: il PIL. E, in particolare, siccome parliamo di valutazioni per il futuro, ci interessa il PIL che ci sarà nei prossimi anni.
Tutte queste previsioni girano quindi attorno al fattore chiave: la previsione del PIL. E qui sta il punto, il dato di scarsa credibilità. Perché da una parte tutti i trattati e tutte le regole di bilancio individuano nel PIL la grandezza con cui confrontare tutte le altre: quindi i limiti sono tutti nelle percentuali in rapporto al PIL (che viene messo al denominatore di queste frazioni). Dall’altra questi numeri sono «piccoli» rispetto allo stesso PIL e quindi piccole variazioni della misura dello stesso producono differenze macroscopiche. E se è già complesso misurare con precisione una grandezza, prevederne l’evoluzione nel tempo con analoga precisione è compito assai arduo.
Che infatti non viene quasi mai centrato.
Le cronache sono piene di previsioni dei PIL dei vari paesi che si rivelano sistematicamente errate. Intendiamoci: non che si tratti di errori enormi. Un errore del 3% nel campo di gran parte delle misure di fenomeni che hanno a che fare con il sociale, sarebbe da considerarsi una misura ottima. In economia invece no. O almeno non nell’economia del bilancio dello stato. Lì i vari istituiti (pubblici o privati, nazionali o internazionali) cercano di fare previsioni con errori dell’ordine del 1 per 1’000 su previsioni da 2 a 3 anni. E tali previsioni sono almeno «difficili».
Ciò premesso, siccome la NADEF deve essere fatta e siccome le leggi, stupide o intelligenti che siano, prevedono quei limiti indicati, ogni governo si cimenta con questo lavoro e produce dei dati i cui numeri trovano giustificazione in quei millesimi di PIL. Millesimi che però fanno la differenza tra ridurre i debiti o aumentarli.
Perché indubbiamente lo stato avrebbe bisogno di dimagrire. Ma altrettanto indubbiamente, questa «dieta» è un suicidio elettorale. E quindi nessun governo, di destra o di sinistra lo farà mai. Né lo fa davvero nessun governo in nessun paese occidentale (con l’unica storica eccezione di Margaret Thatcher ma è legittimo dire che erano altri tempi…).
Questa impossibilità, più ancora che incapacità, di fare scelte veramente difficili è legata alla durata dei cicli elettorali rapportati ai tempi per ottenere i cambiamenti strutturali necessari per modificare davvero l’economia di un paese. Ogni intervento che abbia un costo sociale importante, ancorché potrebbe portare ad un salto di qualità della vita dei cittadini, non sarà possibile se non forzato dall’esterno: esempio eclatante, la troica in Grecia. È indubbio che in quel contesto abbia agito con brutalità. È probabile che analoghi risultati si sarebbero potuti raggiungere anche con un minor danno sociale. È altrettanto probabile però che nessun governo legittimamente eletto avrebbe mai fatto nessuno di quei programmi se non ci fosse stata la troica nel mezzo. Neppure quelli socialmente più sostenibili.
Lo stesso vale per l’Italia. Nessun governo penserà mai di attuare una vera riforma dei costi dello stato che ne limiti l’impatto economico. Ogni governo si limiterà a cercare di alzare il PIL il più possibile. Perché il «mitico» rapporto debito PIL, che infesta gli incubi di ogni ministro dell’economia da almeno 40 anni, è una frazione. E per abbassare una frazione ci sono due modi: riducendo il numeratore (la spesa) o aumentando il denominatore (il PIL). E la seconda strada è quella socialmente più facile ed elettoralmente premiante.
Ma il problema è che le stesse considerazioni portano ogni governo ad allargare la spesa (il numeratore) ogni volta che aumenta il PIL. Perché spendere è premiante elettoralmente. E quindi la riduzione del debito è una chimera che viene raccontata da metà degli anni ’80 ma che non c’è mai stata davvero: né con il PIL in crescita né, tantomeno, con il PIL in diminuzione.
source: tradingeconomics.com
Anche considerandolo in rapporto al PIL il risultato è che le diminuzioni sono sempre state limitate e legate a qualche spesa eccezionale precedente, come negli ultimi due anni dove il calo del rapporto (ma non del debito assoluto) è legato alla fine dei bonus, non a una revisione della spesa.
Nelle prossime settimane cercheremo di ritornare su alcuni di questi argomenti per dare una lettura della situazione attuale e cercare di capire come si svilupperà la discussione sul debito. Consci che, in ogni caso, la migliore notizia che potremo dare sarà quella di interventi marginali che non risolveranno davvero i problemi che hanno frenato il paese negli ultimi 30 anni.
Foto di Ann H
Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi
[…] visto (nel precedente articolo) come il tema dei conti pubblici sia un problema irrisolto da molti anni. Problema che alcuni […]
Con la discussione in Consiglio dei Ministri della Nota di Aggiustamento del Decreto di Economia e Finanza – egregiamente sintetizzata da Andrea qui sopra- e con l’approvazione dello scostamento di bilancio dell’11 ottobre scorso al fine di recuperare le risorse necessarie per la legge di bilancio 2024 che sarà varata lunedì prossimo, la manovra del Governo è andata precisandosi.
Resta confermato il nucleo predittivo centrale in direzione espansiva: la tendenza alla crescita del Pil nominale sull’arco del triennio resta positiva ed è confermato positivo anche l’indicatore della fase ciclica, il “divario di produzione” (Nota: ”l ’output gap” è la differenza positiva che si ottiene in quanto il PIL interno effettivo, pur crescendo, si predice che – con tutte le incertezze di questa operazione- oscillerà al di sopra del valore potenziale o di tendenza).
V’è una singolarità in tutto questo che merita di essere portata in evidenza e tenuta presente. Malgrado sia la TENDENZA dell’economia che il CICLO siano al positivo, il Governo prospetta a sua volta una rafforzata manovra espansiva. Il motivo fornito è la (del tutto condivisibile) necessità di sostenere i redditi medio-bassi e, più in generale, i consumi privati e l’attività economica anche al fine di risolvere taluni problemi strutturali.
In questo quadro, si tratterà di verificare attentamente se il Governo riuscirà davvero a recuperare i fondi, il come e dove li recupera e se il tutto sarà compatibile con l’equilibrio dei conti pubblici (equilibrio rafforzato costituzionalmente nel 2012- anche se si può riconoscere in modo eccessivamente stringente)
Infatti in questi casi – che di norma prevedono nuovi oneri di natura permanente (qui ad esempio la proposta di riduzione del numero di aliquote dell’Irpef) o di arduo “taglio” (contributi sociali) è doveroso specificare coperture certe, congrue e altrettanto permanenti. Particolarmente se si pianificano riduzioni del debito esigue in contesti di elevata incertezza macroeconomica.
Temo che di fronte al nuovo anno, che sarà anno elettorale, sopravvengano considerazioni e “ aggiustamenti”, che la legge nel caso della Nota prescrive siano dovuti ad “eventi eccezionali” e avvenuti nel tempo trascorso, che lunedì prossimo venturo riguarderanno invece il tempo a venire con richieste da parte dei singoli Ministeri ai quali il Ministro dell’Economia si è, a dir la verità, rivolto raccomandando ragionevolezza.