(Leggi anche: Giovani nella tempesta #1)
Grazie al Servizio Civile ed ai progetti con la scuola il CNV ha la possibilità di vedere i giovani nell’atto “dell’impegno”. Vedere come se la cavano fornisce tanti spunti di riflessione. Ecco dunque un compendio breve di osservazioni derivate dalla frequentazione e dalla pratica quotidiana.
L’impegno, gli impegni.
I giovani che scelgono il Servizio Civile, o che lo prendono in considerazione, non sono (purtroppo!) rappresentativi dell’universo dei nostri giovani perché sono solo una piccola parte del totale. Eppure, a guardarli dalla prospettiva di un Ente accreditato di Servizio Civile si possono fare osservazioni istruttive: intanto perché si riesce a passare con loro del tempo e poi perché da qui li si vede – spesso per la prima volta – misurarsi con “l’impegno”. Tutti gli aspiranti operatori volontari sono infatti accomunati dal fatto di aver compiuto una scelta che avrà un impatto forte sulla loro traiettoria personale: la scelta di sottoporsi ad una selezione ed eventualmente partire per un anno di servizio. Ciò nonostante, spesso l’impegno in sé non è percepito come un valore primario. Questo ovviamente non vuol dire che non abbiano ideali ed obiettivi personali, piuttosto a sfumare è la consapevolezza del valore della “promessa”, nel senso di ingaggio su di un risultato e di accettazione del carico di lavoro necessario per conseguirlo, con fasi, tempi, risorse eventualmente sottratte ad altro (quindi sacrificio). Questa postura è stata illustrata con chiarezza da Carlo Andorlini che, intervenendo al seminario “Terzo settore e percorsi di welfare comunità: con e per i giovani” (Lucca, 25 maggio 2023), ha parlato di progettualità “permanentemente temporanea”, di una dimensione fluida dell’impegno giovanile, dichiarandola come un dato di fatto che va accettato.
Progettare.
Ne consegue una certa difficoltà nell’agire complesso, progettuale, anche nel senso di una fatica a portare a termine gli impegni nel medio-lungo periodo. È sempre più alto il numero di rinunce prima del termine da parte di giovani che pure erano stati positivamente selezionati e avviati ai progetti prescelti. Anche in questo caso è necessario valutare il dato per quello che è, vale a dire una ricorrenza e non un giudizio di merito. È infatti difficile ponderare il peso delle condizioni esterne, quali la precarietà e la dinamicità del mondo del lavoro e la mancanza di punti fermi del contesto sociale. Anche la demografia entra in questo gioco: banalmente i giovani sono sempre meno e sono spesso bersagliati da proposte di lavoro temporaneo/occasionale (la cosiddetta Gig Economy) che interferiscono con la dimensione dell’impegno civile senza apportare sostanziali contributi al progetto di vita.
Anche i tempi dell’attenzione e della concentrazione sembrano influenzati da questo contesto. Si fanno più brevi e focalizzati, quasi come se fosse una risposta evolutiva: tempi di reazione più rapidi per adattarsi all’accelerazione del quadro, penalizzando la visione d’insieme e la prospettiva, in un modello di percezione della realtà coerente per altro con la dimensione/rappresentazione prevalente dei social.
I saperi.
D’altro canto, alcune conoscenze e abilità specifiche sono spesso assai approfondite, favorite da una facilità nativa nel maneggiare nuovi media e tecnologie di alto consumo e da una certa tendenza alla specializzazione anche nell’ambito dell’istruzione. Per quanto riguarda il Terzo settore, i progetti sviluppati in collaborazione con la scuola sono momenti preziosi di contatto con le generazioni più giovani, particolarmente nell’ambito dei Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (la “vecchia” e vituperata alternanza scuola-lavoro). Rispetto al Servizio Civile il contesto è diverso, perché si tratta di un approccio precoce e perché manca la dimensione della scelta volontaria, essendo i PCTO finalizzati ad assolvere un obbligo formativo, mentre è comune ad entrambe le esperienze la questione del bilanciamento di competenze trasversali e specifiche. A questo riguardo, in entrambi i contesti si osserva spesso la compresenza di picchi di approfondimento accanto a lacune altrettanto significative; una certa mancanza di rotondità in termini di cultura generale a fronte di una maggiore ricchezza di indirizzi personali e percorsi originali.
Pur con tutte le cautele del caso, non ci vogliamo esimere dalla responsabilità di esprimere anche una valutazione di merito, almeno riguardo alla tendenza complessiva percepita circa il livello di “preparazione all’adultità”: negli ultimi anni sembra essersi approfondito tra i giovani il gap che separa i più “attrezzati” da quelli più in difficoltà. Questa valutazione va intesa con riferimento non alla numerosità dei rispettivi gruppi, quanto alla distanza tra il patrimonio personale di saperi mediamente detenuto. Inoltre, l’appartenenza al primo o al secondo gruppo è sempre meno connessa con il livello di apprendimento, nel senso che questo forte divario si riscontra anche tra coloro che accedono ai livelli superiori di istruzione.
Ammettendo che la percezione corrisponda alla realtà dei fatti, pensare di spiegare questo fenomeno è un vasto programma. Nel prosieguo di questo viaggio cercheremo di illuminarne i contorni e, per quanto possibile, di indagarne le cause.
Foto di Dziana Hasanbekava su Pexels