Avete mai sentito di un nonno che prende in braccio un nipote e gli dice:
“Caro nipote,
siccome IO devo prendere una pensione per la quale ho versato solo in parte i contributi, TU non potrai averla alla mia età.
E anche quando potrai averla, avrai assai meno di me. Però, vedi, si tratta di un diritto acquisito e non ci si può, né deve, fare nulla.
Se no, che diritto è?
E poi c’è la casa.
Nonno la comprò grazie ad una legge sulle case popolari che rendeva possibile averla con un costo che un dipendente poteva permettersi. Oggi non è più così perchè oggi dobbiamo difendere il territorio dal cemento. E anche le seconde case e le terze case, anche se sfitte, non sono argomento di cui si debba parlare.
Per non parlare del lavoro: ai miei tempi era facile trovarlo e negli anni, avere aumenti di stipendio. Per te si vedrà…
Ma non ti preoccupare: il gelato te lo comprerà sempre il nonno!”.
Partiamo da qui, da una surreale conversazione tra generazioni, per cominciare ad affrontare un tema scottante ma ignorato dalla maggior parte della politica: “i giovani e il futuro”.
E partiamo anche da qualche dato a sostegno di quanto diremo: la ricerca su “Condizioni e prospettive occupazionali, retributive e contributive dei giovani”.
(EURES CNG – Consiglio Nazionale dei Giovani; per chi fosse interessato lasciamo il link alla pagina della ricerca)
Anticipiamo subito le conclusioni lasciando alla seconda parte di questo articolo la giustificazione (inevitabilmente un po’ lunga) di quanto diremo.
In Italia oggi abbiamo un grave problema di diseguaglianza generazionale.
Precisiamo subito che il tema non è nuovo: basta fare una breve ricerca su Internet per trovare molte altre ricerche simili a partire dai primi anni 2’000. Ossia, da circa 20 anni a questa parte.
Questa disuguaglianza tra giovani e anziani si manifesta in molte aree: istruzione, lavoro, disponibilità abitativa, pensioni. E queste disparità spiegano, almeno in parte, il calo demografico tanto marcato di questi ultimi anni. Calo che, perversamente, contribuisce a rendere esplosivo l’attuale, iniquo, sistema.
Qui concentreremo l’attenzione sul tema lavoro-casa-pensione. È, infatti, il presupposto per la stabilità di cui ciascuno ha bisogno per progettare una vita.
Vedremo come le condizioni di 40 anni fa fossero enormemente più favorevoli. In un sistema in evoluzione, dovrebbe essere vero il contrario. Almeno se per “evoluzione” intendiamo “miglioramento”.
Il tema non deve essere cavalcato, naturalmente, in termini di contrasto generazionale. Ma è chiaro che certe scelte pongono un problema di equità generazionale.
Vediamo quali sono le ingiustizie tra generazioni.
Prima ingiustizia: abbiamo pensioni non sostenibili perché non sono frutto di accumuli. E che paghiamo chiedendo ai giovani di rinunciare alle proprie.
Seconda ingiustizia: abbiamo case costose (rispetto agli stipendi dei giovani) e una generazione che non ha un proprio tetto sulla testa. E non facciamo nulla per superare il problema.
Terza ingiustizia: abbiamo un sistema del lavoro, tutelato dai sindacati, che privilegia i lavoratori con maggiore anzianità di servizio e “recupera competitività” con i giovani. Che non arriveranno mai alle condizioni di favore della precedente generazione.
Tre situazioni in cui una volta si stava meglio. Mentre, proprio su queste cose, dovremmo sforzarci di formare un mondo migliore per i “prossimi”.
Abbiamo quindi un sistema ingiusto che facciamo finta di non vedere. E su cui, invece, è urgente intervenire prima che sia tardi.
E, tanto per essere chiari, ogni giorno che passa è troppo tardi per impedire che delle ingiustizie vengano commesse. Per restituire dignità a delle persone. Per consentire a delle famiglie di nascere, di progettare un futuro.
Ma entriamo nel merito dei dati.
La ricerca è stata condotta su un campione di quasi 1’000 giovani sotto i 35 anni.
A ben 5 anni dal completamento degli studi, su 20 ragazzi, abbiamo 6 sistemati (più o meno bene), 5 precari, 5 disoccupati e (per differenza) 4 che sono “rassegnati”. Rassegnati a meno di 35 anni!
Postilla: sempre entro i 5 anni il 59% degli intervistati percepisce meno di 780,00 €/mese (13 mensilità) e solo il 7% può contare su uno stipendio superiore ai 1’500,00 €/mese (valori netti in busta).
Lo stesso vale per la casa, un diritto e, allo stesso tempo, lo “spazio” necessario per ogni progettualità del futuro. Solo 1 su 10 la possiede o ha provato a fare un mutuo (ma un terzo di questi non lo ottiene). 1 su 4 si sente tutelato da condizioni familiari favorevoli e rimanda la questione. 1 su 4 comunque rimanda la questione potendo vivere a casa dei genitori e un debordante 40% (4 su 10) semplicemente non può.
Quindi sempre con i nostri 20 ragazzi abbiamo 2 con la casa, 5 che stanno bene di famiglia, 5 che stanno in famiglia senza farsi troppe domande e ben 8 che sono “incastrati” dalle situazioni sfavorevoli.
Ho fatto una breve (e senza valenza statistica) ricerca con genitori e conoscenti anziani: tutti coloro che ho contattato hanno cominciato a lavorare prima dei 25 anni magari cambiando o successivamente smettendo. Ma tutti avevano avuto un lavoro.
Per fare due esempi, mia madre insegnava già mentre faceva l’università; mia suocera è entrata a lavoro (che ha tenuto per tutta la vita) prima dei 20 anni. Storie simili per gli altri. Entro i 28 anni tutti avevano un lavoro stabile.
Faccio due esempi di donne perché sappiamo che sono una categoria che soffre di più di difficoltà di accesso al mercato del lavoro e che, al tempo, era anche più soggetta ad una cultura di “donna di casa”. Eppure, tutte quelle a cui ho potuto fare una domanda hanno risposto che avevano un lavoro entro i 23 anni. Nessuna valenza statistica, e sono certo che ciascuno possa portare esempi di situazioni molto meno rosee, ma…
Sottolineiamo che la ricerca si occupa di “giovani” con età fino a 35 anni quindi una fascia piuttosto estesa.
Se parliamo di casa stesso discorso: in grande maggioranza c’erano abitazioni di proprietà entro i 30-35 anni. Certo con un mutuo lungo, ma c’erano. E non micro-case.
Perché? Perché c’era un forte sostegno della politica di allora. Gran parte delle case di prima proprietà erano legate ai programmi di “edilizia popolare” che non si rivolgeva solo agli emarginati ma a gran parte della popolazione. La famosa (per i tempi) legge 167. Provate a chiedere a chi ha almeno 70 anni se la conosce per riprova.
Poi la pensione: gran parte delle persone che ho intervistato è andata in pensione con età inferiore ai 60 anni. Taluni con molti anni di contributi (avendo cominciato magari a 20 anni), altri con pochi (usufruendo di “scivoli”, pensioni anticipate e chi più ne ha più ne metta). Gran parte di quelli che ci sono arrivati “verso i 60 anni”, hanno percepito una pensione quasi uguale all’ultimo stipendio.
La stessa ricerca ci dice che per il 44% dei giovani la pensione non è prefigurabile prima dei 70 anni. Appena il 10% di ottimisti immagina di poterci andare a 65 anni. E le aspettative sono per una pensione al di sotto di 1’000,00 €/mese per il 64% del campione contro un 35% che conta di superare i 1’000,00 €/mese.
La disparità di condizioni di vita tra le generazioni è impressionante. Sembra il paragone tra un paese sviluppato e uno in via di sviluppo. E invece quello “in via di sviluppo” era quello del passato e quello “sviluppato” è quello del presente.
La sensazione che se ne ricava è che il paese sia bloccato: incapace di fare ciò che è giusto perché avrebbe un costo (politico e sociale); incapace di sostenere la situazione attuale (le ingiustizie hanno un peso: morale e di opportunità); incapace anche solo di dirsi la verità. Trasciniamo con stanchezza un sistema che non funziona e che, nel frattempo, peggiora.
E quel che è peggio, crediamo alla “compensazione”, pelosa e iniqua, che ricevere assistenza economica dalla generazione che ha assorbito le risorse che sono necessarie per il futuro, renda “giusto” ciò che non lo è. E assistiamo allo spettacolo di “nonni” che rubano il futuro dei “nipoti” (certo senza vera intenzione e premeditazione ma…).