Giorgio Mendella trent’anni dopo: fatti, nomi e verità del telefinanziere più potente d’Italia

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Ipnotico, istrionico e dissacrante, di lui è stato detto tutto e il contrario di tutto. Il dato di fatto, però, è uno: c’è stato un periodo, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, in cui il telefinanziere aveva in mano l’Italia intera. Su di lui, poi, si è abbattuta una tempesta giudiziaria che l’ha travolto. Ma che fine ha fatto Giorgio Mendella?

Sig. Mendella buongiorno, le faccio una domanda a cui nessuno meglio di lei può rispondere. Che uomo è, oggi, Giorgio Mendella?

Io sono ancora legato agli anni ’80-’90 e al lavoro che, in quel periodo, è stato fatto dal mio gruppo. Un lavoro che non era connesso solo a quella fase, ma era “sociale” proprio perché finalizzato ad una socialità intesa in senso ampio. Un’idea, la nostra, che secondo me è tuttora funzionale. In definitiva io faccio progetti, il mio lavoro è creare e consigliare progetti a chi vuole fare qualcosa di valido. Anche in questo periodo sto facendo un progetto per me, per noi Intermercato ed ex ReteMia, perché credo che se uno ne ha la possibilità, la speranza e la capacità deve provare, prima di andarsene, a fare qualcosa che rimanga per chi viene dopo. Sono una persona così, che cerca di dare un senso a questa missione.

Se le chiedessi invece chi è stato Giorgio Mendella, che cosa mi risponderebbe?

Io, ma sarebbe meglio parlare di noi perché eravamo un gruppo con 750 dipendenti, avevo avuto un’idea abbastanza logica. Un’idea su cui poi si è fondata buona parte dell’economia moderna, ovvero le public companies: il concetto era quello di unire in un’unica grande impresa le risorse di persone che non avrebbero mai pensato di fare impresa. Questa era la mia idea ed è quello che ho fatto, poi se l’ho fatto bene o male lo dice la storia e soprattutto lo dicono i numeri. Sono stato anche molto fortunato, perché mi sono trovato in quel posto in quel preciso momento, con la voglia e la capacità di lavorare tanto, veramente tanto. Probabilmente, con il mio gruppo, abbiamo scritto pagine che poi sono servite ad altri.

Si dice che fosse ideologicamente vicino al M.S.I. e che guardasse gli altri partiti con sdegno e un po’ di fastidio. È vero?

Io non era vicino al M.S.I., assolutamente. Nel Consiglio di Amministrazione di Intermercato, proprio per essere trasparenti, avevamo cercato di coinvolgere quasi tutte le forze politiche. Erano entrati l’On. Balestracci della D.C. e l’On. Sandulli, figlio dell’ex Presidente della Corte di Cassazione, del P.S.I. Poi c’era l’On. Carlo Tassi, che era un esponente di spicco del M.S.I. Ecco, più che essere vicino al M.S.I. o alla destra italiana, io ero umanamente molto vicino a lui perché era una persona davvero eccezionale, a prescindere dalle idee politiche. Era una persona che qualsiasi cosa facesse o dicesse, la faceva o diceva perché ci credeva veramente. Con gli altri partiti, invece, ho avuto vari contatti ed esperienze. Però, glielo confesso, ero e sono molto incapace politicamente. Per esempio venni chiamato, a suo tempo, da Craxi. Incontrai Balzamo e, quando mi chiesero di cosa avessimo bisogno, gli dissi: “Noi non abbiam bisogno di niente!”. Mi chiamò anche Andreotti, ma invece di andarci personalmente mandai Fabrizio Calosi, che era il direttore di ReteMia…non lo fecero nemmeno entrare! A Lucca, poi, con la D.C. locale ci fu una grossa “incomprensione” quando acquistammo la PRC, una clinica di riabilitazione e prevenzione medico-sanitaria. Noi quella clinica l’avevamo portata ad un livello altissimo, perché già nel ’90 facevamo consulti cardiologici in via telematica con Houston e avevamo, per l’oculistica, un sistema di collegamento video con Mosca. Ecco, nonostante avessimo raggiunto questi livelli non ci fu concessa la convenzione con le USL, che a quei tempi erano controllate da alcuni esponenti della D.C. con cui in precedenza non avevo avuto buoni rapporti proprio perché dicevo di no a tutto. Comunque, alla fine non ho ricevuto più richieste da nessuno perché era chiaro che dicevo sempre e solo no. Però, nonostante questo, non sono mai stato sprezzante nei confronti del mondo dei partiti. Semplicemente ho sempre creduto che per essere un politico bisogna avere delle capacità e una statura morale e culturale che io non avevo e, oltretutto, facevo già abbastanza fatica a star dietro al mio lavoro. Purtroppo, però, la politica interpreta sempre il non interesse come un rifiuto e, di conseguenza, una persona disinteressata diventa automaticamente un pericolo, soprattutto se ha dei mezzi enormi a disposizione come li avevo io.

Se avesse avuto l’appoggio del mondo politico, secondo lei, sarebbe finita nello stesso modo?

Non è corretto dire che non avessi agganci politici. In realtà noi avevamo una fortissima vicinanza col mondo politico, anche se è vero che politicamente non aiutavamo nessuno. Si tenga presente, a tal proposito, che il Presidente del Consiglio di Amministrazione di Intermercato era Paolo Ungari, famosissimo professore di Legge, consigliere personale del Presidente del Consiglio Spadolini e Preside della LUISS. La verità è che la mia fine non è dovuta ad un problema di tipo politico, non credo che uno o più partiti abbiano detto: “Eliminiamo Mendella!”. Diciamo che nel momento in cui ad un politico viene chiesto, da strutture finanziarie potenti come l’ABI, di tenere d’occhio un determinato imprenditore chiamato Giorgio Mendella, il politico deve capire e agire di conseguenza. E anche la magistratura, a mio avviso, è stata solo l’ultima parte della catena. Semplicemente, noi per il potere finanziario eravamo diventati un mostro di estrema pericolosità proprio perché non facevamo ciò che era scontato che facessimo. Andavo fermato, a prescindere dalla presenza di reati! E per farlo i modi erano due: o farmi fuori fisicamente, ma avrebbero creato un martire lasciando le sue società ancora funzionanti sul mercato, oppure mettere sullo stesso binario la stampa e la magistratura, così da far passare a chiunque e per sempre anche la sola voglia di riprovare a fare qualcosa di simile a ciò che avevo fatto io. E, infatti, mai nessuno ha più detto: ”Io ho questo progetto, servono questi soldi, facciamolo insieme!”. Quella era l’unica reazione che il sistema poteva mettere in atto, perché io non riciclavo soldi, non mi interfacciavo con strutture criminali e non c’era nulla che potesse mettere in pericolo il nostro gruppo. Però, attenzione, questo è stato davvero solo l’ultimo passaggio. C’avevano già provato in altri modi, senza successo. Lei pensi che due mesi prima che scoppiasse lo scandalo, mentre io chiudevo una serie di accordi commerciali con la Romania, le banche ricevettero disposizioni di non renderci più liquidi gli assegni alla presentazione. Per noi, che versavamo due-tre miliardi al giorno, quello significava un buco di liquidità a breve termine di circa quaranta miliardi. E, mi creda, il mio gruppo per le banche era un ottimo cliente, proprio perché depositavamo circa tre miliardi al giorno. Però, contro di noi, si era mosso il sistema finanziario. Ecco tutto. Prima provarono a fermarci così, solo che non ci spostammo di un millimetro perché avevamo riserve di liquidità ampiamente sufficienti e allora dovettero innescare l’ultimo anello: magistratura e stampa insieme contro di noi, così da eliminare sia l’uomo che l’idea.

Verso chi sta puntando il dito?

In definitiva non si può dire che ci fosse una sola persona fisica dietro la mia caduta anche se, certamente, un indirizzo esecutivo molto preciso l’aveva dato Bruno Pazzi, ex commissario e Presidente della Consob che poi fu arrestato da Di Pietro. Però, le ripeto, più che le persone è stato il sistema nella sua interezza a farmi cadere. Quando comprammo la prima banca, la Banca di Tricesimo, i vertici del sistema finanziario si spaventarono perché quello voleva dire che avremmo continuato ad espanderci. Davamo fastidio, niente di più. Io ad esempio trattavo con la Romania il cemento, che era una delle madri delle tangenti. Quindi, di fatto, andai a mettere le mani sui finanziamenti ai partiti e chi finanziava, ovviamente, cominciò a saltare sulla sedia. Pensi che il responsabile degli affari legali della Consob, anni dopo lo scandalo, mi confidò che aveva addirittura redatto un parere con cui negava la presenza di illeciti della normativa Consob da parte nostra. E infatti, dal reato di sollecitazione abusiva del pubblico risparmio, sono stato prosciolto in tutte le sedi. Ed è proprio su questo, invece, che si è basato il tutto: su un reato inesistente, perché il flusso del nostro denaro era trasparente e quindi non era neppure ipotizzabile il potermi accusare di altre cose. Funziona così e non c’è da meravigliarsi. Tuttavia, non ottennero i frutti sperati. Basti pensare che a Lucca, per l’udienza preliminare, fu affittato il Palasport perché si aspettavano che venisse la gente ad insultarmi come è successo anni dopo con Tanzi, tanto per citarne uno. Invece dentro c’erano solo sette persone, che peraltro erano venute con il libretto degli assegni in mano per offrirmi il loro aiuto! Questo ha sballato tutto il loro disegno: la gente non si era rivoltata e, a quel punto, anche la magistratura è stata lasciata da sola. Pensi che il mio processo è durato più di cento udienze, quando per dimostrare una bancarotta ne bastano tre o quattro, ma la gogna mediatico-giudiziaria nel mio caso non gli è riuscita.

Se tornasse indietro, cambierebbe qualcosa nella sua vita?

Certamente si, come farebbe un generale che perde la battaglia. Sarei un idiota se non lo facessi! Cambierei tante cose, per esempio avrei paura. Io non avevo paura, e a dire il vero non avevo neanche motivo di averne. Se l’avessi avuta avrei senz’altro usato una parte delle nostre risorse finanziarie per creare degli schermi difensivi e controllare meglio alcune cose. Però cambierei cose di contorno, non quelle principali.

Si dice che sia stato amico personale dei più grandi personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e della politica. Chi ricorda con più affetto e perché?

Il più simpatico era Alberto Sordi, una cosa paurosa. Una volta venne ad una nostra convention perché aveva delle azioni e dopo andammo a mangiare insieme a Forte dei Marmi. Mi prese da una parte e, in romanaccio, mi disse: “Ahò, ma i sordi quanno m’arivano?”. Però, a parte questo, la persona che ho ammirato di più è stata proprio l’On. Carlo Tassi. Per farle un esempio, una volta c’era la Guardia di Finanza e lui entrò con in mano un codice di procedura penale perché era un avvocato…praticamente perseguitò gli agenti per una giornata intera! I finanzieri erano disperati, tanto che a Lucca misero sotto indagine anche lui. Fu presentata al Parlamento la richiesta di autorizzazione a procedere e lui, di sua iniziativa, chiese che venisse concessa rinunciando spontaneamente all’immunità parlamentare. Poi, però, morì in uno stranissimo incidente d’auto. Così come morì in modo anomalo anche il Presidente Ungari, che perse la vita in un ascensore per motivi mai chiariti. Già, Paolo Ungari, un’altra persona di una rettitudine e di uno spessore morale fuori dal comune. Quando gli contestarono di essere un prestanome, si mise a ridere e chiese agli inquirenti: “ma sapete chi sono io? ma secondo voi posso essere un prestanome?”.

Che cosa rappresenta, per Giorgio Mendella, Viareggio? E il Viareggio Calcio?

Io in Toscana sono arrivato prima al Ciocco, rimanendo quattro anni insieme a Marcucci, da cui poi ho comprato Elefante TV. Poi mi sono spostato a Lucca, e da un punto di vista professionale ci sono rimasto perché i nostri uffici amministrativi erano sulla Via Romana. In seguito comprai un’abitazione a Viareggio, città che per me è ovviamente diventata casa. Un pomeriggio arrivarono quattro persone che mi chiesero di comprare il Viareggio Calcio, che all’epoca versava in cattive acque. Feci due conti e ne parlai nel C.D.A. di Intermercato. L’idea di occuparmi di sport era molto vicina a quella di occuparmi dei giovani, e quindi di una socialità più estesa. Lo sport era ed è uno dei veicoli più rapidi per poter sviluppare questo tipo di interesse, e allora decidemmo di comprare la società calcistica. Poi, in seguito, rilevammo anche la squadra di pallacanestro, finanziammo l’hockey e via via tutte le discipline sportive viareggine. L’obiettivo, a prescindere dall’aspetto sportivo che poi inevitabilmente ti appassiona, era quello di contribuire a creare una generazione di giovani che crescessero secondo certi valori. Valori che si possono riassumere in un concetto a me caro perché vissuto in prima persona: anche se parti senza niente e dal niente, se hai voglia, forza e capacità di migliorarti puoi arrivare dove vuoi. E quindi da lì nacque questo rapporto con Viareggio, con il calcio e con tutti gli altri sport cittadini.

Cosa c’è nel suo futuro?

Io credevo in questa Nazione, ne ero innamorato proprio perché ero arrivato in alto partendo dal niente. Per sopravvivere pulivo i forni delle cucine. Pensi che io sono entrato in televisione per caso, perché in realtà ero lì per pulire gli uffici! Per questo amavo questo Paese, perché dava la possibilità di realizzare un sogno a tutti coloro che avessero costanza, forza e determinazione. Nel tempo, purtroppo, alcune cose mi hanno fatto capire che questo nostro paradiso viene condizionato da interessi meno nobili. E quindi mi è passato quell’amore cieco per l’Italia. Mi è rimasta, invece, la volontà di fare qualche cosa per gli altri, qualcosa che resti per chi verrà dopo. Per questo sto lavorando ad un nuovo progetto televisivo che, partendo dal piccolo, potrebbe estendersi anche ad un livello più elevato. Noi in verità abbiamo già TV&TV, una televisione nazionale all’interno del circuito Sky che consente a tutti di trasmettere ciò che vogliono nel rispetto della legge e delle normative di settore. Il nostro nuovo progetto è proprio quello di migliorare ed offrire un prodotto che, sul panorama televisivo, oggi manca completamente. Però ho imparato che devi sempre guardarti le spalle, e questo rallenta in maniera clamorosa ed impedisce i miracoli. Basti pensare che, oggi, tutti gli imprenditori italiani si sono venduti agli stranieri: Gucci e Valentino, per esempio. E chi non si è venduto agli stranieri campa con i soldi dello Stato: Autostrade, Benetton e molti altri. Quindi no, questo Paese non è più tanto meraviglioso. Però, mi creda, le garantisco che se avessi avuto l’amore di un tempo sarei stato certo del successo anche di questo mio prossimo progetto!

Giovanni Mastria
Giovanni Mastria
Nato a Lucca, classe 1991. Scrivo con passione di cultura, attualità, cronaca e sport e, nella vita di tutti i giorni, faccio l’Avvocato. Credo in un giornalismo di qualità e, soprattutto, nella sua fondamentale funzione sociale. Perché ho fiducia nel progetto "Oltre Lo Schermo"? Perché propone modelli e contenuti nuovi, giovani e non banali.

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