“Tex-L’ultima Missione”, in edicola dal 20 febbraio, è l’ultimo successo della nota casa editrice Sergio Bonelli Editore. Al timone di questa nuova storia, che vede tre protagonisti, Tex Willer, Kit Carson e la novità JoeBeauregard, detto “Lucky” Joe, c’è anche il lucchese Giorgio Giusfredi, sceneggiatore del libro a fumetti.
Un passato da cuoco, un presente da fumettista e un futuro da “quando anche i fumettisti verranno glorificati quanto gli chef cercherà un altro mestiere”. Classe 1984, lucchese, timido ma sagace, audace ma fortemente attaccato a quei valori che lo guidano da sempre: Giusfredi, che si è conquistato il suo piccolo grande posto tra i miti della sua infanzia nella Fabbrica dei Sogni di Via Buonarroti a Milano, ha realizzato, insieme al Maestro catalano Alfonso Font che l’ha disegnato, e a Matteo Vattani che l’ha colorato, una nuova avventura di Tex restando fedele a quel personaggio che accomuna intere generazioni ma con quel lato sensibile che stupisce e appassiona ancora di più.
Abbiamo parlato con lui, ripercorrendo la sua vita a metà tra ricette e fumetti, scelte importanti e il coraggio di inseguire sempre il sogno che aveva da bambino.
Dalla cucina ai fumetti: cosa è successo?
Ho iniziato a lavorare nelle cucine molto giovane, ancora prima di iniziare l’istituto alberghiero e allo stesso tempo sono sempre stato appassionato di fumetti. Queste mie due passioni le devo alle mie nonne, con le quale cucinavo guardando film western.
Quando ho finito l’alberghiero sapevo già il fatto mio in cucina, tanto che mi venne proposto, il giorno dopo il diploma, di insegnare, cosa che rifiutai. Mi sarebbe piaciuto studiare Storia all’Università ma alla fine optai per un percorso più concreto e attinente a quello che già avevo fatto alle superiori e scelsi Enologia. Fu divertente, ma non era la mia strada. Non sono mai stato un Enologo, nonostante la laurea. Qualsiasi lavoro, sia il cuoco che il fumettaro si impara facendolo, io penso che non è mai questione di talento. Come dice Zio Paperone: “Il talento non esiste! Esistono soltanto l’ispirazione e l’ambizione”. Questo credo valga per tutti i lavori, più o meno artistici. Per esempio quando ho cominciato a frequentare le cucine, i cuochi erano solo degli ignoranti puzzoni, mentre adesso sono assurti a nuovi intellettuali, sorpassati solo quest’anno dai virologi!
Come è arrivata la scrittura, quindi?
Fare il cuoco è un lavoraccio che ti assorbe completamente. Già alle medie e alle superiori avevo la passione della scrittura e i professori mi dicevano di seguire questa mia vena. Sono passati tanti da allora a quando realmente ho scelto di provare a fare della penna (che proverbialmente pesa di meno della vanga) un mestiere. La mia fortuna è stata scoprire di avere come vicino di casa Graziano Frediani, giornalista principale della Sergio Bonelli Editore. Quando me ne sono accorto ho iniziato a “stressarlo”, fin quando non mi ha portato in redazione a Milano, che ho frequentato per molti anni, inventandomi il mestiere di chef a domicilio a Lucca durante l’estate. I miei genitori inizialmente non capivano la mia scelta, ma a me non è mai pesato fare avanti indietro da Lucca a Milano, perché trovarmi a parlare e lavorare con le persone che realizzavano (e che continuano a realizzare) i miei fumetti preferiti, i miei miti d’infanzia praticamente, era la cosa più bella che potesse capitarmi.
All’inizio scrivevo rubriche per la rivista bonelliana “Almanacchi”, che ora si chiama “Magazine”, e dopo ho iniziato con le sceneggiature dei fumetti, ma sono passati molti anni – almeno 10 – dal primo sgangherato soggetto che ho presentato a Moreno Burattini. Ho cominciato a sceneggiare fumetti con Maurizio Colombo e poi ho conosciuto Mauro Boselli del quale sono diventato assistente (Boselli e Colombo sono i creatori di “Dampyr”, personaggio del quale oggi sono curatore al fianco di Boselli).
Tex “L’ultima missione” è uscito in edicola qualche giorno fa, cosa è stato per te scrivere ciò che leggevi da bambino? E’ un’emozione importante?
Raccontare storie per me è un sogno maturo e la cosa meravigliosa non è tanto lavorare su questi personaggi che hanno accompagnato la mia infanzia e adolescenza (tutt’ora in corso), ma farlo al fianco dei miei miti. È come aver assaggiato una pietanza buonissima e avere oggi la possibilità di farla assaggiare a più persone possibili. Non credo a chi a chi dice “scrivo per me stesso”, si scrive per essere letti. Il merito di questo traguardo (che per me è comunque un punto di partenza) va sicuramente alle persone con cui lavoro e che ho citato prima, che sono i più bravi in questo campo, e che mai sono stati gelosi dei loro segreti, ma che, anzi, mi sono stati vicino, consigliandomi e indirizzandomi, per tirare sempre e comunque fuori il meglio di me. Se oggi esce un Tex col mio nome è grazie a loro, perché mi hanno messo nelle condizioni ottimali per dare il massimo. Sono felice di lavorare in un ambiente come la Sergio Bonelli Editore. Davide Bonelli, come suo padre Sergio, ha mantenuto la tradizione di un’editoria sana, sincera e direi anche empatica. Si può essere bravi e determinati quanto si vuole, ma se non si hanno bravi maestri non si può arrivare da nessuna parte.
Tex “L’ultima missione”: interessante il mix tra brutalità tipica del western e la sensibilità del personaggio Lucky Joe. Da dove nasce?
Lucky Joe è un personaggio che forse ispira sensibilità, ma è un Ranger che, come si vede nella storia, non esita a sparare nella schiena, quindi tanto buono non è… Ho iniziato a scriverla durante il primo lockdown di marzo. E, come per le altre storie che scrivo, cerco di mischiare gli ingredienti. Tornando alla cucina: se Tex fosse un dessert dovrebbe mantenere quelle caratteristiche dolci, ma ciò non significa che non possiamo aggiungere qualcosa di salato o amaro, ma sempre rispettando l’equilibrio dei sapori.
Ogni ingrediente, però, non sgorga da una sorta di flusso artistico, ma va prima pensato, calibrato e provato e, una volta versato nel minestrone della scrittura, se necessario, anche riscritto molte volte. Inoltre nei fumetti c’è la complicità con il disegnatore (che nel risultato finale conta forse di più dello sceneggiatore), che è fondamentale: se il disegnatore non guarda nella stessa direzione che lo sceneggiatore gli indica, il lettore non capirà un’acca della storia. L’alchimia è fondamentale per i successi a fumetti.Nel caso della storia di cui stiamo parlando c’è anche il colorista, che ovviamente è anche importante.
In quale personaggio di questa storia ti ritrovi di più?
Per forza di cose, quando si scrive una storia, è necessario “essere” tutti i personaggi, ma, se devo proprio scegliere, il mio preferito è Kit Carson, come, immagino, per molti lettori e forse anche per Boselli stesso. Gianluigi Bonelli, che di Tex è stato il creatore, per lui il discorso è diverso, lui è Tex! In ogni caso il successo di Tex deriva dalla bellezza dei personaggi che, sin da quando furono creati da GL Bonelli nel 1948, erano già moderni: le prime storie erano già drammatiche e veloci, con battute secche e dialoghi efficaci, diverse da quelle di alcuni fumetti più “faciloni” di quei tempi.
Il segreto per mantenere, dopo anni, il successo di Tex?
Sicuramente un elemento importante è far comportare Tex da Tex. Lo scopo di un narratore, per ingaggiare il lettore, è mettere il protagonista nei guai. E questo è facile, tiralo fuori in maniera texiana invece… Quella è la sfida! Tex è quasi invincibile, ma non è un supereroe, quindi va trovato il modo giusto e intelligente per riuscire a dare un finale degno. I personaggi di contorno aiutano molto per creare storie originali, perché possono evolversi, ma Tex resta e deve restare sempre Tex. Altra cosa fondamentale è sentire il ritmo, la musica di Tex e cantarla insieme a lui e alle sue calibro ‘45.
A proposito di musica, per “Tex-L’ultima missione” ti sei affidato a noti musicisti lucchesi, come nasce questa collaborazione?
Sì, ho coinvolto Carlo Puddu che con entusiasmo ha tirato dentro anche Luca Giovacchini, Piero Perelli, e Antonio Gramentieri. Davide Bonelli, con cui ho un rapporto molto bello e non rappresenta per niente “il padrone” che sta dall’altra parte del mondo, ma una persona con cui ogni mattina mi posso confrontare e prendendo il caffè, nella sua introduzione al libro, dice che nelle mie storie metto molta musica. E ripensandoci è vero, anche se non si può ascoltare niente da un fumetto, se non con la propria immaginazione. A dimostrazione di ciò, in una storia di Zagor di qualche anno fa, avevo inserito le parole di una canzone inventata da me “Right kind of man”. Carlo Puddu, anche lui superfanbonelliano, aveva musicato la canzone accompagnandola con voce, armonica e chitarra: questo piacque molto alla redazione e rimanemmo con la promessa di collaborare ancora. Anche per questa storia di Tex avevo bisogno di una canzone (ha una funzione narrativa), una ballata spietata che avrebbe dovuto accompagnare il viaggio di Lucky Joe. Boselli mi disse però che non potevo essere pretenzioso come in Zagor e inventarmi una canzone mia e per questo sono andato a cercarmi tra le centinaia di pezzi scritti da Stephen Foster, famoso bardo del West, e ho trovato “I would not die in summertime” che non aveva musica, solo parole. Anche questa è stata quindi musicata da Carlo Puddu, insieme agli altri meritevoli musicisti citati, e ne è uscita una ballata folk cruda al punto giusto, forse un po’ moderna con lo sguardo rivolto a Johnny Cash, ma utile ai miei scopi.
Progetti futuri? Come ti vedi da qui a un anno?
Per prima cosa spero tra un anno di vedersi tutti senza mascherina, e non perché siamo diventati pazzi, ma perché significherebbe che abbiamo superato questa brutta situazione che stiamo vivendo. Per il resto, lavorativamente parlando, a me è andata meglio di tutti coloro che hanno subito gravi perdite economiche e umane e che si trovano ora a non arrivare a fine mese. Il mio lavoro è andato avanti senza modifiche e spero continuerà così: scrivere storie è un ciclo dove mi trovo benissimo, ci sono momenti in cui si semina ed altri in cui si raccoglie, come adesso che la mia storia è in edicola.
Cosa consiglieresti a un giovane di provincia che ha un sogno audace come il tuo?
Nonostante abbia casa a Milano, torno tutti i week end nella mia città e faccio come tappa fissa, come molti sapranno, al Birraio. E l’unico consiglio che mi sento di dare è quello di seguire le proprie passioni e provarci sempre e comunque: questa pandemia, se non altro, ci ha insegnato che tutto è relativo e che, davvero, non esiste lavoro e futuro “sicuro”. Uno deve cercare di fare quello che sogna e se non ci riesce sarà comunque un percorso indimenticabile. A volte, poi, le passione finiscono con il tempo, come la mia per la cucina. Penso poi che la serenità è riuscire a fidarsi delle persone giuste, che ti vogliono bene e che ti aiutano, perché questa è stata davvero la mia fortuna.