Gianluca Fulvetti – professore di Storia Contemporanea all’Università di Pisa – è una delle personalità di spicco della cultura lucchese, un accademico attento alle vicende della nostra città e alle dinamiche politiche, sociali ed economiche della provincia. In quest’intervista, il Prof. Fulvetti si è lasciato andare a riflessioni a tutto tondo, toccando temi importanti e dando un bilancio su quanto fatto dall’amministrazione Tambellini in questi anni di mandato. Poi uno sguardo al futuro politico della città, un giudizio personale sulla questione Ex-Manifattura e un parere su alcune personalità della nostra Lucca.
Prof. Fulvetti buongiorno, vorrei fare con lei una chiacchierata di carattere generale sul presente e sul futuro della nostra città: ci fa un suo personale bilancio su questi anni di amministrazione Tambellini?
Direi che Lucca si è rimessa in carreggiata, viaggia solida, ma può andare e deve andare più veloce. Siamo un po’ smemorati, bisognerebbe avere a mente cosa è stata questa città tra il secondo mandato di Fazzi, con la faida con Pera, e l’immobilismo di Mauro Favilla e le sue litigate con Piero Angelini. Un lungo periodo di una città lasciata a sé stessa, disordinata, male amministrata, con molte magagne, immobile. Anche per questo penso che il giudizio dato qua su “Lo Schermo” da Umberto Sereni, che stimo molto, sia ingeneroso. Le cose fatte non sono mancate. Un bilancio pulito, le piccole opere pubbliche, la raccolta differenziata, il miglioramento di molte scuole, e una precisa scelta politica – non sacrificare il sociale – anche quando le casse del comune faticavano, come a dire “non lasciamo indietro nessuno”, o almeno, facciamo tutto il possibile per. Se mettiamo assieme Summer Festival (i concerti sugli spalti delle mura ce li ha portati Tambellini, anche se io ne farei pure qualcuno in più, magari un concerto pucciniano!), Lucca Comics and Games, Photo Lux, Lucca Film Festival, il Teatro del Giglio, le mostre del Lu.CCa, e molte altre iniziative, ecco, dobbiamo imparare a dire prima di tutto a noi lucchesi che Lucca è una città viva, anche se può esserlo ancora di più e accettare che questa, quella di una città della cultura, della musica e del fumetto, deve essere la sua vocazione nel futuro. Aggiungo – visto che questo è un tema che mi è molto caro – che la creazione della Casa della Memoria e le iniziative su storia, memoria, inclusione, pace, antifascismo che essa ha promosso, incluso un Festival sulla Contemporaneità che spero sarà irrobustito nei prossimi anni, sono state molto importanti. C’è una dimensione valoriale da cui la politica non dovrebbe prescindere. Certo, il COVID ha bloccato tutto o quasi, ha spezzato socialità, incontri, turismo, attività culturali. Questo secondo periodo di chiusura è molto pesante, e sta penalizzando una città di turismo e cultura come la nostra, e questo forse rafforza la percezione di una amministrazione che non fa e non ha fatto abbastanza. Su una cosa però Umberto Sereni ha ragione, il legame con la città è sempre stato un po’ allentato e sgranato. D’altronde, nel 2017 Tambellini ha vinto per il rotto della cuffia, e quello è stato un segnale non raccolto, andava aperta subito una discussione con la città. Per amministrare c’è bisogno di accettare che le professionalità, le competenze, le idee buone – che non hanno colore politico – stanno spesso fuori dalla politica, e bisogna andare a scovarle. L’autosufficienza e l’autoreferenzialità sono sempre un limite. Magari sbaglio, ma a Lucca di idee buone ce ne sono molte, per esempio quelle dei ventenni e trentenni che andrebbero ascoltati di più, perché è la generazione che vive la complessità, ci sta dentro, la sa comprendere.
Sono stati fatti errori o ci sono state cose che, a suo avviso, un’amministrazione di centrosinistra poteva fare o poteva fare meglio? Se si, quali?
Una cosa specifica che ci tengo a dire, perché nessuno ne ha parlato in quella strana passerella che è stato il consiglio comunale sul futuro di Lucca, è che è mancata una politica sportiva. E questa dovrà essere una priorità del futuro. Primo, perché nell’epoca del post-Covid lo sport può essere strumento di inclusione e di ricomposizione di una comunità. Secondo, perché lo sport è anche cultura, turismo, costruzione di reti, un asset strategico per lo sviluppo di una comunità – quanto dovremo attendere per discutere di un nuovo palazzetto dello sport polifunzionale e adatto ai tempi? O creare una rete vera di percorsi cicloturistici o di MTB? Su un piano più generale, a Lucca è mancata una discussione sulla direzione da prendere, una visione proiettata sul domani e una comunicazione efficace. Vede, c’è una dimensione immateriale e simbolica della politica che è fondamentale per costruire una comunità, in particolare in una fase in cui non ci sono più le ideologie, i partiti e tutti i corpi intermedi della società sono in crisi e le appartenenze politiche sono fluide. Ecco, negli ultimi 15 anni abbiamo assistito alla trasformazione della comunità di Capannori. Con due sindaci che si sono raccontati con grande efficacia. Giorgio Del Ghingaro, il sindaco del decidere, della cultura, dell’orgoglio della sua comunità, che aspira alla grandezza e alle opere che restano negli anni – “for the ages”, dicono negli States – e ha l’ambizione di ridisegnare Capannori per il futuro; e Luca Menesini, che ha seguito quel solco, lo ha irrobustito, aggiungendo una attenzione straordinaria a tutti i suoi cittadini, una cura estrema – certe volte penso a lui come al medico condotto di una volta, una figura sociale stimata da tutti. Ecco, entrambi hanno legato alle molte cose fatte – perché ex nihilo nihil fit, non basta la sola retorica – anche un racconto che ha funzionato, non solo come strumento di consenso personale, ma per rinsaldare una comunità. Ecco, questo a Lucca non è avvenuto. Sono state fatte molte piccole cose, Lucca è “una città ammodino”, ma è mancato un po’ di slancio, di ambizione, di racconto. Per come la vedo io, dovremmo guardare di più oltre le Mura, all’Europa e al mondo, che la storia ci dice la nostra comunità è stata grande solo quando ha fatto questo. In giro per il mondo le città, non solo le grandi capitali, discutono di “city brand”, di cosa identifica una città non come luogo fisico, qui e ora, ma come “destinazione” per chi la vede da fuori, come insieme di risorse, immagini, simboli. Forse questa discussione andava aperta anche a Lucca, coinvolgendovi tutto il mondo della cultura, dell’impresa e del turismo. Anche per questo è stata deludente tutta la vicenda sulla capitale della cultura 2024. Giorgio Del Ghingaro non è l’orco della fiaba, fa politica, di tanto in tanto in maniera spregiudicata, ha visto un pertugio e ci si è fiondato, ma a Palazzo Orsetti si chiedano perché ha trovato quel pertugio, invece di piangere dietro a Giani, e puntino all’orgoglio del mondo culturale lucchese, ad aprire un confronto, perché lo sanno anche i sassi che tra piazza Mazzini e piazza San Michele non c’è partita. E non me ne abbiano i miei amici e studenti viareggini!
Il prossimo anno in città ci saranno le elezioni amministrative, ma a sinistra si fatica ad individuare un nome che accontenti tutti: molti spingono ma nessuno sembra riuscire a mettere d’accordo gli stati generali del PD lucchese. Per vincere la sfida elettorale, e poi per governare bene, che caratteristiche dovrà avere il candidato del centrosinistra? Ha qualche nome?
Guardi, non ci dimentichiamo il momento storico di grande emergenza in cui stiamo vivendo, e che rallenta e complica i processi decisionali, i confronti, le discussioni. Io vedo una politica locale ancora concentrata sull’attività amministrativa e sulle difficoltà dei cittadini per il COVID e la crisi, ed è bene che sia così. Nel merito, penso che nel centro-sinistra ci sia un gruppo di persone in grado di amministrare bene la città. I nomi che si fanno sui giornali sono tutti ottimi, Ilaria Vietina, Francesco Raspini, Chiara Martini, Serena Mammini. Poi ne andrà scelto uno, a questo penserà il PD, ma spero che tutte queste persone siano della partita, assieme. Si vince solo con il gioco di squadra. La sfida di Lucca 2022 è una sfida di tutto il centro sinistra, anche dei sindaci vicini (Menesini, Bonfanti, Andreuccetti), perché le comunità locali sono sempre più interconnesse, e di chi ricopre altri ruoli istituzionali, per esempio in regione – penso che Stefano Baccelli, a cui certo non difetta l’amore per Lucca, nel senso più pieno del termine, dell’agape, possa dare una grande mano alla città dal suo ruolo amministrativo. Poi, se mi chiede un nome, Lucca ha bisogno di un sindaco che la porti avanti, che certo abbia esperienza e competenza amministrativa, ma anche capacità politica e visione complessiva della città, e che non abbia paura di decidere. Molte di queste qualità le vedo in Francesco Raspini. Che è giovane, un under 40, che vuol dire molto, almeno per me. Lo vedo un po’ come il primo Del Ghingaro, anche se forse non ha la stessa verve retorica né la stessa esuberanza. Di sicuro ha la stessa libertà rispetto alle dinamiche e alle logiche di partito, non è un uomo di corrente o di cordata, anzi, è la persona giusta per superare una volta per tutte le logiche di corrente e gli scontri interni avvenuti nel PD in questi anni, e che hanno fatto disamorare molti. E poi Raspini sa che da solo non vince, e anche che il PD non basta, e che bisogna, appena il COVID lo consentirà, aprire un confronto con la città, quello che è un po’ mancato. Per ascoltare, recepire idee, trovare persone che abbiano voglia, per spirito civico e amore per Lucca, di impegnarsi in prima persona, come è stato per certi versi con Francesca Fazzi nelle ultime elezioni regionali. Bisogna dare continuità a quella scelta, e poi tornare ad ascoltare i bisogni e anche le sofferenze dei cittadini, paese per paese, casa per casa, come si faceva nel Novecento, come i partiti non fanno più purtroppo, salvo rare eccezioni. Unità, civismo, prossimità, solo così si può non tanto vincere, quanto fare una buona campagna elettorale, che sia utile in sé, per la politica e per Lucca, al di là dell’esito.
Lei sarà della partita?
Io faccio altro nella vita, con mia grande soddisfazione, anche se Lucca certo è una grande passione, la mia piccola patria che non cambierei con nessun’altra.
E, invece, come vede la partita nel centrodestra?
Non ho abbastanza elementi per esprimermi rispetto alle dinamiche politiche. Osservo invece quelle culturali. Mi pare che sia Barsanti che Pardini si riconoscano nella destra di Salvini e Meloni, e nella battaglia contro il multiculturalismo e contro Papa Francesco dell’ex-Presidente del Senato Pera. Di moderato, inclusivo e liberale mi pare qui non ci sia più nulla. Ecco, su questo rispetto a Umberto Sereni vedo le cose in modo diversissimo. La politica ha ancora un alimento culturale, non ideologico, dal quale io non riesco a prescindere. Io agli autodefiniti “fascisti del terzo millennio” come “risorse” per la mia comunità proprio non credo. Se hanno cambiato idea, meglio. Aggiungo anche che gli attuali opinion maker della destra lucchese che agitano il web e i social hanno posizioni riduzioniste sul COVID e sulla pandemia che per me sono inaccettabili. Forse la destra cittadina, prima di candidarsi alle elezioni, dovrebbe discutere anche di questo.
Vorrei un suo parere anche sulla querelle Ex-Manifattura: per quanto la Fondazione stia continuando a rassicurare l’ambiente asserendo che il bene, seppur non più pubblico, diventerà di sua proprietà e dunque sarà della cittadinanza lucchese, c’è chi sostiene che le cose non siano esattamente così e che l’immobile sarà di un Fondo gestito da Coima. Ecco, lei cosa pensa di questi aspetti ancora da chiarire? È normale che, per una questione tanto importante per la città, i cittadini siano ancora all’oscuro di aspetti così rilevanti?
Ma, guardi, mi sono già espresso. Primo, che sia pubblica o privata, nel momento in cui ci sono paletti rispetto al suo utilizzo futuro, e c’è la garanzia della Fondazione Cassa di Risparmio e l’impegno di Tagetik, io sono tranquillo. Mi pare una battaglia tutta ideologica. Secondo, lei pensa che Coima venga a Lucca, sotto i riflettori, a fare una speculazione? Quanto ci rimetterebbe in termini di immagine? E Bertocchini cosa guadagna a dire le bugie? Terzo, i costi del no chi li paga? Li pagano i lucchesi, e in particolare quelli che da questa operazione potrebbero avere lavoro e prospettive. I giovani, per esempio. Come ho già scritto, i no sono spesso di chi se li può permettere. Spero che Tambellini tenga il punto, che se porta a casa prima della fine del mandato l’avvio di questa operazione, assieme alla ripartenza dei lavori nella Manifattura nord, beh, il bilancio di questi dieci anni si rafforza, e di parecchio.
Un aggettivo per:
Tambellini, una persona buona e di grande cultura. Raspini, un cavallo di razza. Pardini, non lo conosco granché, siamo coetanei, lo ricordo al Vallisneri, un ragazzo perbene direi. Mi viene in mente il suo entusiasmo genuino per la vendita del mulino Pardini. Poi l’ho perso di vista, l’ho ritrovato a una iniziativa politica, una cena organizzata in piazza San Francesco nel 2018 per festeggiare un anno dalla vittoria elettorale di Tambellini, se non sbaglio era da poco diventato presidente di Lucca Crea. Bertocchini, non lo conosco personalmente, ma volendo, direi paziente. Con tutto quello che si è scritto su di lui e sulla Fondazione, a proposito della Manifattura, con tanti che lo hanno presentato come uno speculatore e un palazzinaro qualunque, e con ben pochi – anche a palazzo Santini – che lo hanno difeso, ci vuole tanta tanta pazienza per essere ancora lì a portare avanti il progetto sulla Manifattura. Chapeau! Santini, indeciso. Lo vedo così, combattuto tra la politica e la sua professione, che di sicuro ama molto. E sa che la convivenza non è semplice. Barsanti, appassionato. Lo è di sicuro, di Lucca e della politica. Anche se ha in testa una Lucca, una idea di comunità e dei riferimenti culturali che non mi piacciono per nulla.