In questi giorni ha tenuto luogo il dibattito sulle parole del Presidente del Sento La Russa sull’attentato di via Rasella. Che ha fatto seguito ad analoga polemica sulle parole del Presidente del Consiglio sui martiri delle Fosse Ardeatine di qualche settimana fa.
Abbiamo quindi deciso di fare un po’ di verifiche sul contenuto delle affermazioni. E, già che eravamo di ricerca, anche su alcune delle cose che sono state dette in questi giorni a tal proposito.
Si trattava una “banda” intesa come banda musicale
FALSO. Erano militari, con la divisa, di un corpo che svolgeva compiti di polizia. Si trattava del battaglione Bozen composto da altoatesini. Erano a Roma con compiti di polizia sotto il comando del capo delle SS secondo il normale assetto delle forze di occupazione. È vero che passavano per le strade abitualmente cantando canzoni di marcia militare (sebbene risulta che il giorno dell’attentato avessero ordine di non farlo) e quelle canzoni erano considerate una provocazione. Dagli atti di vari processi legati al caso, risulta che il cantare fosse uno specifico comando della gerarchia nazista a cui il battaglione si piegava malvolentieri.
Erano semi-pensionati
FALSO. Erano forze combattenti inquadrate come regolari, sebbene adibite ad attività di polizia. Erano però di età media alta e non erano decisamente una élite di combattimento. Anzi erano considerati scarsamente efficienti e poco addestrabili e andavano al poligono di tiro tutti i giorni perché non sufficientemente abili. La formazione alla guerra del corpo era stata di appena tre mesi poi erano stati dislocati.
Il Bozen era un corpo militare di combattimento fatto da volontari.
FALSO. Il tentativo iniziale di costituire un corpo di altoatesini volontari era fallito per i numeri esigui degli stessi. Conseguentemente si procedette (1944) all’arruolamento per classi di leva. Le classi in questione erano quelle dal 1894 al 1926 (ma le classi ’24 e ’25 erano già state oggetto di una chiamata obbligatoria l’anno prima). Quindi era composto da soldati che avevano tra i 18 e i 50 anni.
Erano / non erano italiani
NON DEFIINIBILE. Sin dal 10 settembre 1943 le province di Bolzano (Alto Adige), Trento e Belluno furono sottoposte al diretto controllo del Terzo Reich venendo incluse nella Zona d’operazioni delle Prealpi (in tedesco Operationszone Alpenvorland – OZAV). Su tale territorio la Repubblica Sociale Italiana, entità statuale satellite della Germania, era titolare di una sovranità puramente formale. Con gli accordi italo-tedeschi del 1939 per la soluzione del contenzioso sull’Alto Adige, era stato chiesto ai cittadini di scegliere la nazionalità che avrebbero voluto mantenere tra la austro-tedesca o italiana. Sebbene una parte di loro avesse optato per la nazionalità italiana, i processi di arruolamento non fecero distinzione tra i primi e i secondi e coscrissero tutta la popolazione residente nelle valli. Conseguentemente erano sia cittadini italiani (con una difficile situazione) che germanici.
Non erano SS
VERO. Sebbene sotto l’autorità delle SS, come tutte le forze di polizia, non erano assolutamente delle SS. Non ne portavano i simboli né, tantomeno, erano riconosciuti come tali dalle gerarchie. Inoltre non avevano (almeno per il battaglione Bozen) avuto lezioni ideologiche sul cosiddetto Judensystem (“sistema ebraico”), elemento essenziale nella formazione delle SS. È vero che, verso la fine della guerra, cominciarono a portare il simbolo delle SS sulle divise, ma questo avvenne solo dopo l’attentato in questione.
Il Bozen era indistinguibile dalle SS
FALSO. Il Bozen portava le classiche divise verde marcio delle forze adibite alle funzioni di polizia e non la divisa grigia chiara delle SS. Inoltre senza i segni distintivi delle SS. È improbabile che i partigiani che organizzavano l’attentato non sapessero riconoscere queste differenze.
L’attentato era illegale come azione di guerra.
FALSO. Su questo si sono espresse varie sentenze della magistratura italiana e anche la Cassazione. Le forze del Bozen erano forze combattenti regolari dell’esercito di invasione e, come tali, erano un obiettivo legittimo dell’azione dei partigiani. Erano anche un obiettivo facile per via del fatto che tutti i giorni facevano sempre la stessa strada e, probabilmente, furono considerati anche un obiettivo facile per i motivi sopra descritti. Va menzionato che le corti militari ritennero illegittimo l’attentato in quanto commesso da forze non riconosciute.
L’attentato fu un atto discutibile o un grande successo dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP)
RISPOSTA CONTROVERSA. Indubbiamente fu un successo militare, nel senso che l’attentato portò a significative perdite nel battaglione. Era però un battaglione che non era attivamente impegnato in battaglie e il cui indebolimento non costituiva un significativo vantaggio per le forze partigiane. A fronte di un vantaggio di immagine più che di rapporti di forza era però largamente prevista la rappresaglia che ne sarebbe seguita.
Era prevedibile il seguente massacro delle fosse ardeatine
VERO. L’azione di via Rasella era stato preceduto di una quindicina di giorni da un attentato, ad opera del GAP, contro un soldato per cui furono fucilati 10 prigionieri. Inoltre la linea di provvedere con dure rappresaglie contro le azioni partigiane era chiarissima. Quindi la prevedibilità della rappresaglia (e delle sue dimensioni) era probabilmente chiara.
I conseguenti martiri delle fosse ardeatine erano antifascisti o italiani
ENTRAMBE. Indubbiamente, come in tutte le rappresaglie, venivano uccisi dei prigionieri politici o combattenti. D’altronde, nel caso in oggetto, vennero anche rastrellati dei civili il cui unico torto era di vivere in via Rasella (o nelle immediate vicinanze). Quindi erano sia antifascisti che civili con una predominanza dei primi. In questo senso l’affermazione della Presidente Meloni può essere definita corretta sebbene un po’ sommaria.
Un’ultima nota: è singolare che a oltre settant’anni di distanza da questi fatti e con tutti coloro che ne parlano che sono nati assai dopo questi eventi, si usi ancora la memoria storica come una specie di clava. La memoria collettava dovrebbe raccontare chi eravamo e cosa siamo diventati come nazione e non essere usata come motivo di divisione o strumento di contestazione della legittimità di una o un’altra parte politica. Oltretutto stiamo parlando di un movimento, quello fascista, che non ha più avuto spazio nella coscienza viva del paese e che quindi non rappresenta certo un elemento di vero pericolo per il nostro vivere democratico.
Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi