Abbiamo molto parlato, negli ultimi tempi, di Europa. Lo abbiamo fatto noi ma è molto presente anche nei commenti di molti editoriali di grandi giornali. È un tema gettonatissimo e molto (mediaticamente) seguito.
In generale quello che viene discusso è il ruolo dell’Europa nella nostra vita; il rapporto che il nostro paese ha con questa istituzione; il ruolo dei partiti europei nei processi di integrazione; ecc. L’Europa è un dato di fatto, in queste discussioni, senza chiedersi perchè deve esistere.
Sono tutte riflessioni molto importanti e vi abbiamo partecipato cercando di capire come può evolvere un sistema che, a nostro avviso, ha perso la sua anima nel fallimento del percorso per la sua Costituzione. E un’entità senza anima non può vivere a lungo.
La riflessione sull’anima dell’Europa è fondamentale. Dobbiamo caprie che cosa rappresenta, quale è il suo mandato e cosa dobbiamo aspettarci. E questo, decisamente, è oscuro a tutti.
Quando una cosa o una persona la si vuole conoscere si parte sempre dall’inizio: da dove è nata.
La verità sull’Europa è che non è nata a Ventotene come la tradizione vuole raccontare. È certamente poetico dire che nasce da un gruppo di esiliati che hanno pensato un mondo nuovo, una Utopia che diventa realtà. Poetico ma, sfortunatamente, una ricostruzione romantica che non rispecchia la verità.
La nostra Europa nasce in modo più prosaico. La prima vera tappa fu tutta economica e di necessità per far fronte al mondo esterno: la costituzione della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio.
In effetti il primo passo fu più simbolico e alto: la costituzione del Consiglio di Europa. Che, però, non deve essere confuso con i quasi omonimi Consiglio Europeo e Consiglio dell’UE e che non è una istituzione dell’Europa: al Consiglio di Europa, per esempio, partecipano anche Svizzera e Ucraina che non sono membri dell’Unione Europa. E infatti il Consiglio è un organismo che si occupa di missioni come l’abolizione della pena di morte, il rispetto dei diritti umani, ecc. Tutte iniziative dal grande valore simbolico.
Ma il Consiglio di Europa non è stato il punto di aggregazione dell’Europa che conosciamo. Tanto che non ne è neppure parte.
Sulla base del piano Schuman sei paesi firmarono un trattato per riunire le rispettive industrie del carbone e dell’acciaio sotto una gestione comune. I sei erano la Germania (Ovest), la Francia, l’Italia, i Paesi Bassi, il Belgio e il Lussemburgo. La Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) entra in vigore nel 1952. La nuova istituzione aveva un duplice scopo: rafforzare le industrie europee in un settore allora strategico e avere un coordinamento che, almeno idealmente, non consenta corse agli armamenti gli uni contro gli altri ma, al massimo, le armi le si costruivano insieme. Una prassi che si è poi mantenuta all’interno della UE.
La CECA era un organismo che aveva una missione economica e aveva bisogno di una governance. Nacque così l’idea di un parlamento che si basava sulla delega delle singole nazioni: ogni parlamento mandava alcuni dei propri membri come delegati alla nuova realtà che doveva formulare le regole comuni. La definizione di Parlamento, a questo stadio era prematura: questo primo abbozzo aveva solo scopo consultivo e non potestà legislativa.
Visto il successo del Trattato del carbone e dell’acciaio, i sei paesi fondatori estesero la cooperazione ad altri settori economici. La formalizzarono siglando due trattati, che istituivano rispettivamente la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom). Questi organi entrarono in funzionamento il 1º gennaio 1958.
Anche la CEE mantenne questa struttura di collegamento con i Parlamenti delle nazioni allargandone il numero dagli originali 78 a 142.
La prima riunione dell’Assemblea parlamentare europea, precursore dell’attuale Parlamento europeo, si tiene a Strasburgo, in Francia, Il 30 marzo 1962 con Robert Schuman come Presidente eletto e cambia nome in Parlamento Europeo.
Si arriva così al 1º gennaio 1973 quando il novero dei parlamentari europei lievita a 198 membri per l’entrata di Danimarca, Regno Unito e Irlanda.
Bisognerà attendere il giugno del 1979 perché il parlamento diventi un organo a suffragio diretto e universale.
Questa breve storia serve a ricordare che le nostre istituzioni europee non nascono per unire le nazioni in un’unica grande federazione. Né, tantomeno, per cancellare le differenze tra le nazioni stesse. Non nasce neppure da un anelito di fratellanza.
Nasce da un progetto economico. Da una considerazione sull’opportunità di fare massa critica tra le varie economie.
Non che la cosa non tenesse assieme un pensiero geopolitico e anche fortemente morale con il dato economico. Ma questo pensiero non era quello di Ventotene. Il pensiero dominante era: se l’economia va bene la gente non farà la guerra. Se la gente di arricchisce non sarà tentata da avventure che la possono impoverire.
Si pensava che l’economia potesse essere il motore della democrazia. Che il benessere potesse riuscire a unire i popoli. Era l’idea del mercato come forza stabilizzante del mondo. La stessa idea che aveva prodotto, pochi anni prima, trattati come il GATT che poi si è evoluto nel WTO. Era l’idea che la democrazia si esportasse con il benessere. Che questo fosse sufficiente a far innamorare del sistema democratico tutte le popolazioni che ci venissero in contatto.
La Storia si è incaricata di dimostrare come questo ideale fosse fallace. Ma era molto diffusa (e lo rimase a lungo) la convinzione che avrebbe potuto funzionare: soprattutto in Germania. Che infatti ha orientato a questo la sua politica estera anche e soprattutto verso Russia e Cina fino a tempi recentissimi (almeno fino a tutto il governo Merkel).
Oggi ci può sembrare un po’ ingenua come ispirazione ma allora era molto affermata: si riteneva che il vero collasso del sistema Russo, con esso allora si pensava stesse crollando tutto il sistema comunista, fosse da attribuire al collasso del sistema economico. E a questo pensiero si giungeva non solo per le strade del liberismo economico ma anche del socialismo che poneva il capitale e l’economia al centro di tutte le dinamiche sociali.
È per questo che il motore dell’UE ha spinto per un allargamento quasi incontrollato: ha sempre supposto che le perdite di beneficio per l’uscita dal sistema sarebbero state un freno a qualunque deviazione dal percorso. E che il desiderio di beneficiare del mercato comune fosse adeguato e sufficiente a creare una comunità stabile e durature. al di sopra di ogni altra considerazione. Al di là di ogni altro problema.
Così abbiamo fatto l’Euro: una moneta unica non supportata da un governo, da delle scelte di politica economica o da un vero prestatore di ultima istanza. Una cosa ma vista prima e assai rischiosa sul piano teorico. Per riequilibrare un po’ il tutto c’era il progetto di una Costituzione che facesse da apripista per una unità politica da provare a costruire e che almeno una parte dell’opinione pubblica stava cominciando a immaginare. E anche qui si vede come l’idea fosse che prima si fa l’Economia e dopo si fa lo Stato. O Stato è una conseguenza dell’Economia.
Però poi c’è stata la fallimentare gestione del percorso di approvazione della Costituzione. Eppure ancora ci si mosse convinti che le idee e le ideologie non fossero necessarie ma che il benessere bastasse. E quindi, nonostante le evidenze dei problemi di regole non adeguate (come l’unanimità e la farraginosità dei processi) si è continuato il processo di allargamento.
Giungiamo coì ad oggi. Ora siamo in un cul de sac: è vero che i vantaggi sono importanti e la loro perdita un problema, ma è ancora più vero che il vantaggio economico non ha tenuto dentro tutti né garantisce il funzionamento dell’elefante europeo. In quel senso la Brexit ha lasciato il segno ma ancor di più lo lascia l’ungherese Orban che gioca con le incoerenze e le debolezze del sistema Europa rompendo il giocattolo ma passandola liscia perché tutti sanno che l’arma europea è scarica.
Un’Europa che espelle dei membri genererebbe apprensione in chi vuole entrare e dubbio sul significato della partecipazione. E il dubbio, su un sistema tenuto in piedi dal mercato, uccide. A parte il fatto che senza vere istituzioni, senza un vero potere politico chi poi potrebbe davvero escludere qualcuno?
Si dice che il volo del Calabrone sia fisicamente impossibile, eppure vola. L’esistenza dell’Europa è sempre più l’immagine del volo di un calabrone in cui, però, la fisica sta prendendosi la sua rivincita.
Sono maturi i tempi per dover decidere che cosa vogliamo che sia l’Europa di domani: un mercato comune con libera circolazione di persone e merci, ma allora serve un sistema di regole davvero tanto più leggero; o un progetto politico federativo, ma allora seve di riprendere in mano un progetto di vocazione, di visione e di fratellanza che al momento nessuno sta scrivendo o elaborando (e poi comunque serve una democrazia vera e compiuta con molte meno regole e meno tecnocrazia).