Sull’immigrazione c’è chi la pensa in un modo e chi in un altro e questo articolo non farà cambiare idea a nessuno, anche perché qui non parliamo di immigrazione. Se avete seguito l’affaire Soumahoro saprete che non si parla di immigrazione: non se ne parlava prima, quando un’alleanza di sinistra ha candidato un sindacalista di cui non sapeva nulla, figuriamoci adesso che è scoppiato il caso. Anzi: più se ne parla e più ci si allontana dalla questione, e dal fine (appunto). Quindi la lettura di questo articolo è indicata anche per chi non conosce il caso del neodeputato di colore al centro di una polemica per presunte irregolarità nei centri di accoglienza gestiti dalla moglie e dalla suocera, perché tanto non si parla di immigrazione. Non se ne parla nemmeno quando si “chiudono i porti” magari per “difendere i confini”, a meno che non crediate rispettivamente che i naufraghi vivano ancora sulla Open Arms come in The Terminals o che sia davvero in corso un’invasione (ma sull’esatto significato del termine c’è oggi incertezza, vedi anche alla voce “Ucraina”).
Perché non se ne parla? Intanto perché è questione lunga e tediosa.
Ad esempio, bisognerebbe accennare all’annosa faccenda della lentezza dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, perché tra le contestazioni alle cooperative legate a coniuge & affine dell’on. Soumahoro c’è appunto il ritardo nei pagamenti di stipendi e contributi – e già ci siamo risparmiati “mattoni” come la presunzione di innocenza e la responsabilità penale personale, di cui all’art. 27 Costituzione “più bella del mondo”.
Se ipoteticamente si volesse ancora parlare di immigrazione in Italia, in una vicenda in cui sono contestati anche i livelli di assistenza (cibo e vestiario inadeguato, servizi carenti, mancanza di mezzi di sostentamento e integrazione) bisognerebbe, nell’ordine:
- approfondire il sistema di accoglienza (che i media più aggiornati chiamano SPRAR ma che ha già cambiato nome due volte da allora);
- distinguere tra accoglienza ordinaria e straordinaria (ma niente è più definitivo del provvisorio..);
- buttare un occhio alle cifre;
- concedersi un minuto per pensare che quei soldi “degli italiani” li prendono gli italiani che ci lavorano;
- fare il conto della serva, perché la spesa la facciamo più o meno tutti (se avete meno cash del cane della Cirinnà siete qualificati).
Forse a questo punto potreste sentirvi pronti, ma vi accorgereste troppo tardi di aver sottoscritto il comma 22: se non accogli sei “cattivista”, se accogli come minimo ci si domanda come fai a far tornare i conti.
Chi tocca muore, quindi. Ecco perché la politica parla di taxi del mare, trafficanti e pacchie varie; di razzismo, sovranismo e diritti negati, ma al dunque non quaglia e finisce per sostenere tutto e il contrario di tutto. Per dire: la sinistra demonizza la “Bossi-Fini”, i “decreti Salvini” e persino il “decreto Minniti” come se non fosse stata al governo ultimamente, e per un paio di lustri. La destra stronca i “decreti-flussi”, ma attrarre braccia richieste dal mercato a scapito di mercati (Paesi) che non possono competere sembrerebbe una cosa da conservatori. E così via. Il trucco è metterci sopra qualche strato di slogan per suscitare un’emozione, fino alla rimozione indolore del problema.
Per questo non volevamo parlare di immigrazione.