Ernő Egri Erbstein, noto anche come Ernest Egri Erbstein, nacque a Nagyvárad in Ungheria nella primavera del 1898. Oggi questa città appartiene alla Romania, nella nota regione della Transilvania, ma all’epoca era un lembo di terra dell’Impero Austro-Ungarico. La famiglia del piccolo Ernő si trasferì presto a Budapest e qui, il giovane scoprì la passione per il calcio e dimostrò di avere un talento fuori dal comune. Si cucì addosso il ruolo del mediano, la zona di campo dove tutto passa e in cui le idee si trasformano in azioni. Intraprese una bella carriera come calciatore – parallela a quella dell’agente di borsa – salpando anche al di là dei confini nativi e raggiungendo l’Italia, con un’importante tappa a Vicenza. Dal 1928 in poi, però, gli stranieri non poterono più disputare il campionato italiano, a causa della Carta di Viareggio del 1926. Per questo motivo, Erbstein decise di andare negli USA, con la promessa di ritornare un giorno in Italia, se fosse stato possibile.
Appesi gli scarpini al chiodo e quindi finita la carriera di calciatore, Erbestein non abbandonò la passione per il calcio, anzi si gettò anima e corpo nella conoscenza della tattica di gioco e nella preparazione atletica. Osservò i più grandi maestri europei dell’epoca, e attinse a piene mani dalla scuola inglese, quella che aveva inventato il football moderno. L’Italia però non lo aveva dimenticato e presto arrivò l’opportunità di rientrare nel Bel Paese con un nuovo ruolo: quello dell’allenatore. Prima arrivarono le esperienze formative nel Sud con i colori del De Pinedo di Andria, poi Bari e Nocerina, infine la grande chance con il Cagliari. È proprio dopo l’avventura con i sardi, che Erbstein scelse Lucca e decise di far grande la Lucchese.
Era il 1933 e i rossoneri con l’ungherese alla guida vinsero con facilità la prima divisione, facendo proprio il girone F e il girone finale C, agguantando la promozione in Serie B. Il primo anno nella serie cadetta la Lucchese si piazzò in un onorevole ottavo posto, costruendo le basi per i successi futuri. Erbestein infatti riuscì in un’impresa, portò la Pantera rossonera a vincere il campionato davanti al quotato Novara e a centrare per la prima volta la promozione in Serie A. Una gioia incredibile per tutta la città, che finalmente poteva respirare l’aria del grande calcio, entrando di fatto nella geografia “pallonara” che contava. Il bello però doveva ancora venire. La Lucchese infatti diede spettacolo in Serie A e da matricola stupì tutti quanti, e alla fine della stagione concluse in settima posizione, al pari dell’Inter (all’epoca Ambrosiana). Il 1937/38, ultimo anno di Erbstein alla guida dell’undici rossonero, la Lucchese ottenne una preziosa salvezza nella massima divisione, concludendo al quattordicesimo posto.
All’orizzonte però si affacciavano dei nuvoloni scuri sul destino di Erbestein, perché il regime fascista varò le “Leggi Razziali” nel 1938 e lui ne subì le conseguenze in quanto di religione ebraica. Gli ebrei infatti furono il principale oggetto delle più bieche vessazioni da parte dello Stato italiano, e non importava il fatto che si fosse attivi o meno nella professione religiosa, contava solo il marchio. Le sue figlie, quindi, non poterono più frequentare la scuola pubblica, ed Erbstein fu costretto ad andare via da Lucca perché non vi erano istituti privati in cui poter iscrivere le adorate figlie. Trovò rifugio temporaneamente a Torino, città che gli consentì di continuare a fare l’allenatore anche se per poco, poiché la tempesta era pronta a esplodere. A dicembre del 1938, fu obbligato a lasciare il suo lavoro e ad abbandonare l’Italia.
Dopo varie peripezie ritornò in Ungheria insieme alla sua famiglia, a Budapest, dove vivevano alcuni sui parenti. Nel 1944 la guerra bussava alle porte della capitale, e ben presto le truppe naziste presero possesso della città. La prima conseguenza portò Ernest a essere internato in un campo lavoro, ma riuscì a scampare alle prime ondate di deportazioni. La figlia Susanna, invece, riuscì a farsi accogliere in un pensionato per ragazze cattoliche nella periferia di Budapest, insieme alla madre. Dopo l’assalto del pensionato da parte delle truppe naziste, le due donne furono costrette a fuggire. Anche Erbstein riuscì in qualche modo a scampare ai pericoli della deportazione e a ricongiungersi con la famiglia. Le difficoltà e rischi, però, non cessarono e anzi durante l’assedio finale di Budapest, iniziato il 20 dicembre 1944, Ernest fu messo in salvo presso Raoul Wallenberg, funzionario svedese, incaricato dalla War Refugee Board di istituire una “sezione umanitaria” al fine di salvare gli ebrei ungheresi, che erano più di 800.000. Salvato ancora una volta ancora una volta dalla figlia Susanna (crocerossina per aiutare il padre), Erbstein ritornò dalla sua famiglia, e con questa giunse in Italia, dove venne nascosto da Ferruccio Novo (presidente del Torino Calcio) fino al termine della guerra.
Dopo la guerra Erbstein fu l’allenatore del Grande Torino che scrisse pagine memorabili di calcio e morì con la sua squadra nel terribile incidente aereo di Superga, nel 1948. Se ne andò così un grande uomo, una leggenda che fece grande anche la Lucchese.