Lucchese doc, imprenditrice, architetto, designer, tecnica, artista e adesso anche Lucchese dell’Anno 2021: Emiliana Martinelli, Presidente della Martinelli Luce, azienda fondata a Lucca che da oltre 70 anni disegna e realizza lampade e progetti di illuminotecnica, è stata insignita dal Sindaco Alessandro Tambellini di questo prestigioso riconoscimento insieme al pasticcere e star televisiva Damiano Carrara.
Abbiamo voluto scoprire qualcosa di più di questo personaggio che, grazie al proprio lavoro, impegno e passione, sta contribuendo a portare nel mondo la nostra città. Ecco come Emiliana Martinelli si è raccontata a Lo Schermo.
Dott.ssa Martinelli, qual è stata la sua prima reazione, quando ha saputo che le avrebbero conferito il premio Lucchese dell’Anno 2021? Cosa rappresenta per lei questo riconoscimento da parte della sua città?
Quando ho visto la telefonata del Sindaco Tambellini, sul momento ho pensato: “Avrò combinato qualcosa?” (ride) Porto avanti la Martinelli Luce da molti anni con passione e dedizione, è cresciuta insieme a me. Questo riconoscimento consolida l’impegno che metto ogni giorno in fabbrica. Lucca oggi è riconosciuta nel mondo per il design, il che è un po’ anomalo per questo settore. Sono contenta di dare un contributo alla mia città.
Da sempre mi dedico a promuovere la mia città: quando partecipiamo a fiere e incontri in giro per il mondo, Lucca è sempre parte dei nostri discorsi, invito sempre le persone straniere a scoprirne la bellezza.
Ho molto a cuore la città. Oltre al lavoro in azienda, mi occupo di aiutare i giovani, facendo formazione ai ragazzi dalle scuole locali, realizzando con loro e per loro corsi e concorsi, a cui spesso partecipano anche cariche cittadine importanti, come il Sindaco o il Prefetto. Sono anche Presidente della Sezione Lucca di Fidapa Bpw Italy (associazione che aderisce alla Federazione Internazionale Ifbpw – International Federation of Business and Professional Women, che promuove e sostiene l’imprenditorialità al femminile, ndr), grazie alla quale a Lucca abbiamo realizzato molti eventi interessanti, che hanno portato a Lucca personalità internazionali d’eccellenza.
Insomma, cerco di non fermarmi solo a lavoro con la Martinelli Luce, ma di trovare e creare altre situazioni utili per la città e la collettività. Questo impegno è stato riconosciuto attraverso il premio che mi è stato dato e non posso che ringraziare la Città di Lucca per questo che, sicuramente, è il più bel regalo di Natale che avrei potuto chiedere.
Lei è una lucchese doc che si è formata sul territorio e in Toscana. La sua azienda è stata fondata a Lucca e da qui è diventata punto di riferimento nel panorama del design internazionale. Un salto importante. Voi dimostrate che il design non è solo ad appannaggio di alcune grandi realtà, come Milano in Italia o New York all’estero.
Lucca da sempre è un contesto complesso e difficile, per quanto riguarda il design, perché è sostanzialmente fuori dal giro. Il Nord Italia e in particolare Milano sono zone in cui storicamente si concentrano le più importanti aziende di questo settore, Lucca è più defilata. Andiamo molto in giro per l’Italia e all’estero, partecipiamo a fiere, abbiamo contatti con architetti, professionisti del marketing ed altro.
Ma, come diceva sempre mio padre, che ha fondato l’azienda, non bisogna arrendersi agli ostacoli. Ci siamo rimboccati le maniche, cercando sempre e scoprendo cose nuove: non è stato facile, ma con il duro lavoro si può fare. Noi cerchiamo di spostarci appena possibile, anche se con la pandemia in corso è tutto molto più difficile.
Grazie a questi incontri, abbiamo creato una rete di designer sia italiani che internazionali che oggi collaborano con noi. Mio padre andava a trovarli nei loro studi e noi continuiamo così. Anche per portare avanti il nome di Lucca, sperando di fare bene alla città.
Il nostro showroom in città, in via S. Lucia, ha un’atmosfera molto internazionale, sembra di essere trasportati altrove: una scelta precisa per dimostrare che a Lucca c’è anche qualcos’altro, che ci può essere anche altro.
Tra i designer con cui ha collaborato e collabora tutt’oggi ci sono anche nomi importantissimi del design, come Gae Aulenti e Marc Sadler, solo per citarne un paio. Qual è lo scambio?
Mio padre ha iniziato a disegnare le nostre lampade, poi è toccato a me. Ma da sempre, oltre a questo, fin dagli anni ‘60 sono stati coinvolti designer esterni, come Sergio Asti o Sadler. Ho conosciuto Castiglioni, Boldrini e molti altri designer di spicco: durante questi incontri è stato bello scambiare conoscenze, esperienze, opinioni, anche se alla fine non è stata conclusa una collaborazione. Oggi le lampade della Martinelli luce sono disegnate sia da grandi maestri e che da designer più giovani, per un totale di circa 24 designer, oltre a me che da sempre mi dedico sia alle linee tecniche che per il contract.
Gestire un gruppo così consistente non dev’essere affatto semplice…
Sicuramente. Ma ho cercato di portare avanti l’azienda con una linea conduttrice ben precisa, anche nella scelta dei designer, in modo da non snaturare la Martinelli Luce. Abbiamo una nostra filosofia e un nostro stile e vogliamo portarli avanti. Certamente il cambio generazionale, da mio padre a me, è stato difficile, ma sono cresciuta dentro l’azienda e ho lavorato al suo fianco; ciò mi ha permesso di comprendere la linea intrapresa e portarla avanti in questo modo anche con designer nuovi. E’ una scelta non semplice, perché ogni designer ha il proprio stile e i vari prodotti potrebbero non essere in linea con lo stile dell’azienda, ma quando vedo qualcosa che mi piace ed è come se l’avessi disegnato io, beh, allora diventa tutto molto semplice.
Uno stile talmente specifico e particolare che alcune vostre creazioni sono diventate iconiche, al punto da essere inserite in film di internazionali, come ad esempio in House of Gucci di Ridley Scott, ma anche in film di Sorrentino, Almodovar, grandi produzioni come Men in Black. Qual è la chiave?
La Cobra, la lampade scelta dalla produzione di Men in Black 3, è stata disegnata nel 1968, eppure la Columbia ci ha chiamato 50 anni dopo per averla sul set. Ci sono alcune creazioni che rimangono attuali con la loro identità. Ovviamente, non tutte hanno il medesimo successo, ma alcune rimangono nel tempo, anche a distanza di anni. E’ difficile capire perché: a volte una lampada viene capita meno nei suoi anni perché è troppo avanti, ma viene davvero compresa e apprezzata più avanti, quando il momento è pronto a capirla. Non è un discorso legato alla moda, perché noi non abbiamo mai disegnato in base allo stile o al colore del momento. Personalmente, guardo le tendenze, ovviamente, guardo tutto quello che succede ed ho intorno, ma quando disegno lascio che siano le sensazioni e le emozioni a guidarmi. L’emozione aiuta a reinterpretare ciò che mi circonda e il risultato è la sintesi di tutto quello che ho visto e vissuto.
Qual è il ruolo del Made in Italy oggi nel mondo? Scendendo più nel dettaglio, qual è il ruolo delle realtà italiane più piccole?
Nel mondo il design è associato al Made in Italy, è apprezzatissimo e conosciuto da tutti. Questo ci pone già in una posizione privilegiata. Non solo ci avvaliamo di designer italiani, ma cerchiamo di collocare il più possibile la produzione presso fornitori ed aziende italiani. Come noto, alcune componenti, come lampadine, materiale elettrico etc., sono prodotti esclusivamente in Cina, ma le parti strutturali delle lampade sono realizzate in Italia. Non solo, gli oggetti vengono stampati e lavorati nel circuito lucchese e a volte in altre regioni italiane. Il design è italiano, noi cerchiamo anche di rendere la produzione italiana e locale, perché ci teniamo a sostenere il territorio. Il Made in Italy rimane un biglietto da visita importantissimo da curare.
Si pone delle sfide per il suo futuro? Ha dei sogni che ancora vorrebbe realizzare?
L’obiettivo futuro è salvaguardare l’azienda, cercando di essere cauti: abbiamo fatto molto negli anni, la sfida è portare avanti l’azienda e cercare di crescere sempre più all’estero soprattutto all’estero, trovando soluzioni nuove e disegnando prodotti che durino nel tempo. Il sogno è poter continuare a disegnare e mantenere l’azienda, dando a tutti i nostri collaboratori la possibilità di lavorare e migliorarci sempre nella ricerca e nell’innovazione.E’ un peccato vedere aziende e persone che se ne vanno via dal luogo in cui sono nati o addirittura dall’Italia, per questo cerco di dare il mio contributo nel dare un certo valore alla mia città.
Lei ha affiancato suo padre, oggi dirige l’azienda e suo figlio collabora con lei. Come ha affrontato questo cambio di ruolo?
Il rapporto con mio padre è stato difficile, perché aveva una personalità fortissima. Sono praticamente nata in azienda, ma ho dovuto fare tutta la gavetta, subito dopo la laurea in Architettura sono entrata ufficialmente in azienda. Fin da piccola mi ha portato in fiera con sé, mi ha educato in un certo modo, mi ha insegnato a montare e smontare componenti, è stato bello. Allo stesso tempo, però, è stato duro, perché la sua idea era che dovessi arrangiarmi da sola di fronte ad ogni difficoltà. Oggi sto cercando di insegnare questo anche a mio figlio, a rimboccarsi le maniche e scoprire le cose da soli. Mi hanno detto che assomiglio molto a mio padre e mi fa piacere, perché adesso lo capisco. Da giovane no, ma adesso finalmente l’ho capito. A volte è giusto anche lasciare che i figli sbattano la testa e sbaglino, non bisogna non avere la pappa scodellata, come si suol dire. Adesso lo ringrazio per avermi dato questo insegnamento, perché mi ha dato un carattere forte, in grado di combattere, senza mai arrendersi, ma anche senza presunzione.
Mio padre sapeva cosa voleva, dove voleva andare, era forte. Mi ha trasmesso la sua forza. Qualche anno fa, quando i fornitori entravano in azienda, mi chiedevano dove fosse l’architetto; quando rispondevo che ero io, beh, non ci credevano. Noi donne, oltre alle molte altre difficoltà, dobbiamo anche fronteggiare questo pregiudizio per il quale non possiamo avere competenze tecniche e specifiche. Oggi le cose sono migliorate, ma c’è ancora molto lavoro da fare.
Alla fine, la sfida è la passione sono ciò che mi muovono, andare a lavoro per me non è fatica, ma solo passione. Scoprire, studiare uno snodo, capire come farlo… poi lo vedo realizzato esattamente come l’avevo pensato nella mia testa: lì c’è la soddisfazione. E la soddisfazione aumenta quando vede le tue lampade in tv o al cinema, oppure quando il Sindaco della tua città ti chiama per darti un premio così speciale. Lì vieni ripagata di tutto.