Egitto nel XXI secolo: rivoluzioni, repressioni e crisi economica

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L’Egitto è stato uno dei Paesi arabi che ha vissuto i più profondi mutamenti politici e sociali dall’inizio del XXI secolo. La nazione più popolosa del mondo arabo ha attraversato fasi di speranza democratica, instabilità, repressione e una crescente crisi economica. Dalla lunga presidenza di Hosni Mubarak alla rivoluzione del 2011, passando per il breve governo della Fratellanza Musulmana e l’ascesa del generale Abdel Fattah al-Sisi, l’Egitto ha visto alternarsi momenti di apertura e brutalità politica.

Al centro di questa trasformazione ci sono i diritti civili, le libertà religiose e la sicurezza, elementi che hanno determinato il grado di benessere della popolazione egiziana. Mentre le speranze di un cambiamento democratico hanno più volte illuminato le piazze, la realtà si è rivelata spesso più dura, con uno Stato che si è sempre più chiuso su sé stesso, soffocando il dissenso.

Gli ultimi anni di Mubarak: stabilità apparente e malcontento crescente

Hosni Mubarak ha governato l’Egitto dal 1981 al 2011 con un pugno di ferro. Per tre decenni, il suo regime si è retto su un fragile equilibrio tra repressione politica, controllo dell’economia e alleanze internazionali, soprattutto con gli Stati Uniti e Israele.

Dal punto di vista politico, il sistema era formalmente multipartitico, ma nei fatti dominato dal Partito Nazionale Democratico (PND), che controllava il parlamento e le istituzioni. Le elezioni erano una pura formalità, con opposizioni ridotte al silenzio e un sistema giudiziario piegato agli interessi del governo.

Sul piano sociale, la situazione non era migliore. Il divario tra ricchi e poveri si ampliava, con milioni di egiziani che vivevano in condizioni di estrema difficoltà economica. La disoccupazione giovanile era elevata, e la corruzione dilagava. I diritti civili erano gravemente limitati: le libertà di stampa, di espressione e di associazione erano costantemente minacciate, mentre attivisti e oppositori venivano arrestati con accuse di sedizione o terrorismo.

Nonostante questa repressione, l’Egitto di Mubarak era visto come un Paese stabile, un alleato affidabile per l’Occidente nel controllo del terrorismo e nel mantenimento degli accordi di pace con Israele. Tuttavia, dietro questa facciata, cresceva un malcontento diffuso che sarebbe esploso nel 2011.

La Rivoluzione del 2011 e la caduta di Mubarak

L’ondata di proteste che ha investito il mondo arabo nel 2011 non ha risparmiato l’Egitto. I giovani, stanchi della disoccupazione, della corruzione e della repressione, si sono riversati nelle piazze ispirati dalle rivolte in Tunisia. Piazza Tahrir, al centro del Cairo, è diventata il simbolo di un movimento che chiedeva libertà, giustizia e il rovesciamento di Mubarak.

Le manifestazioni, inizialmente pacifiche, sono state represse con violenza dalla polizia e dalle forze di sicurezza. Tuttavia, la pressione popolare è aumentata, e dopo 18 giorni di proteste ininterrotte, Mubarak è stato costretto a dimettersi il 11 febbraio 2011, lasciando il potere ai militari.

Per molti egiziani, la caduta di Mubarak rappresentava l’inizio di una nuova era democratica. Ma l’instabilità politica e le divisioni tra le diverse fazioni hanno presto dimostrato che il cammino verso la libertà non sarebbe stato semplice.

La breve esperienza della Fratellanza Musulmana

Dopo la caduta di Mubarak, l’Egitto ha attraversato una fase di transizione dominata dall’incertezza. Le elezioni del 2012 hanno portato alla vittoria della Fratellanza Musulmana, con Mohamed Morsi eletto presidente.

Per la prima volta nella storia moderna, l’Egitto aveva un leader democraticamente eletto. Tuttavia, il governo di Morsi si è rivelato incapace di gestire il Paese. Le divisioni politiche si sono approfondite, e le preoccupazioni sulla crescente islamizzazione dello Stato hanno spaventato molti settori della società, tra cui la classe media laica e i cristiani copti.

Le tensioni hanno raggiunto il culmine nel luglio 2013, quando l’esercito, guidato dal generale Abdel Fattah al-Sisi, ha destituito Morsi con un colpo di Stato, giustificato dalla necessità di ripristinare l’ordine.

L’era di al-Sisi: repressione e centralizzazione del potere

Dopo il colpo di Stato del 2013, al-Sisi è diventato presidente nel 2014, consolidando rapidamente il potere con una repressione senza precedenti. La Fratellanza Musulmana è stata dichiarata organizzazione terroristica, migliaia di suoi membri e sostenitori sono stati arrestati o giustiziati.

Il controllo del regime si è esteso a tutti gli aspetti della vita politica e sociale. La libertà di stampa è stata quasi completamente soppressa, con giornalisti arrestati e media indipendenti chiusi o messi sotto controllo. Le proteste sono state dichiarate illegali, e ogni forma di opposizione è stata schiacciata con il pugno di ferro.

Sotto al-Sisi, l’Egitto è diventato uno dei paesi più repressivi del mondo, con un sistema di sorveglianza di massa e un uso diffuso della tortura nelle carceri.

Diritti civili e religiosi: la situazione attuale

La condizione dei diritti civili in Egitto è drammatica. Gli attivisti per i diritti umani operano in un clima di costante pericolo, e le organizzazioni indipendenti sono state chiuse o messe sotto stretta sorveglianza.

Le minoranze religiose, in particolare i cristiani copti, hanno vissuto momenti difficili. Sebbene al-Sisi abbia cercato di presentarsi come un difensore delle minoranze, gli attacchi contro i cristiani e le chiese sono continuati, spesso con la complicità delle autorità locali.

Economia e tenore di vita: un quadro critico

Sul piano economico, al-Sisi ha avviato una serie di riforme strutturali, tra cui la svalutazione della sterlina egiziana, il taglio dei sussidi statali e investimenti in grandi progetti infrastrutturali, come l’espansione del Canale di Suez.

Tuttavia, queste misure non hanno portato benefici alla popolazione. L’inflazione è salita alle stelle, il costo della vita è aumentato e milioni di egiziani faticano a comprare beni di prima necessità. Il tasso di povertà è cresciuto, e il divario tra ricchi e poveri è più ampio che mai.

Le proteste economiche del 2019 hanno dimostrato che il malcontento è ancora presente, ma la risposta del governo è stata ancora una volta la repressione.

Conclusione: quale futuro per l’Egitto?

L’Egitto è passato dall’entusiasmo della rivoluzione del 2011 a una dittatura ancora più rigida di quella di Mubarak. La speranza di una transizione democratica si è trasformata in un sogno infranto, con una popolazione sempre più oppressa e un’economia in difficoltà.

Se il regime di al-Sisi riuscirà a mantenere il controllo, o se nuove ondate di proteste scuoteranno il Paese, è ancora incerto. Quello che è certo è che milioni di egiziani continuano a lottare per la libertà, nonostante la repressione. E la storia dell’Egitto dimostra che, prima o poi, il cambiamento è inevitabile.

Eduardo

Foto di David Peterson da Pixabay

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