De la Penne e Bianchi

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Mar Mediterraneo, notte tra il 18 e 19 dicembre 1941.

1,3 MN – 356° Fanale del porto di Alessandria d’Egitto.

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De la Penne: “Come va Bianchi?”

Bianchi: “Bene comandante”

De la Penne: “Hai paura?”

Bianchi: “Si comandante !“

De la Penne: “Anch’io. Bene, andiamo!”

Luigi Durand de La Penne
Emilio Bianchi

Alessandria d’Egitto è la più grande base navale Alleata dove è alla fonda la flotta britannica del “1st Battle Squadron della Mediterranean Fleet” che controlla tutto il Mediterraneo est.

Vi sono ancorate le due potentissime corazzate la HMS Valiant, e la HMQ Queen Elisabeth oltre a cacciatorpediniere, corvette e naviglio di appoggio.

La Valiant ha combattuto vittoriosa a Capo Matapan!

Lo “Scirè “ in uscita da La Spezia. Si notano i grossi cilindri superiori per contenere i S.L.C; uno anteriore e due affiancati posteriori.

La sera del 17 dicembre, il sommergibile italiano Scirè, ha appena ricevuto dal Comando Supremo Navale Italiano un messaggio: “DA SUPERMARINA: accertata presenza in porto due navi da battaglia. Probabili portaerei: ATTACCATE”.

SUPERMARINA si sbaglia; non sono portaerei, sono le due corazzate “Queen Elisabeth” e la “Valiant” . Comunque obiettivi importantissimi.

Il Comandante dello Scirè è il Tenente di Vascello Principe Valerio Junio Borghese, -VJB- un personaggio che attraverserà la Storia italiana a lungo, anche nel dopoguerra e non sempre con brillanti risultati.

Borghese aveva ideato una strategia marina finalizzata a compensare la strabordante superiorità navale Alleata rispetto all’Asse. Non il combattimento diretto in mare aperto, dove avremmo avuto sicuramente vita dura come spesso avveniva, ma l’impiego di piccole unità di Incursori per attacchi puntiformi e devastanti a grandi unità navali. Come comandante del Reparto Incursori della 1° Flottiglia Mas, e successivamente della X° Flottiglia MAS aveva già diretto e comandato alcuni attacchi di incursori alle basi di Gibilterra, e uno disastroso su Malta.

Aveva anche previsto un attacco diretto al porto di New York, ma quest’ultimo non ebbe svolgimento.

Torniamo a quello previsto nel porto di Alessandria d’Egitto, l’importantissimo porto mediterraneo a ovest del Cairo.

Per questo compito lo Scirè aveva preso a bordo sei uomini in più del normale equipaggio. Venivano chiamati gli “Uomini Gamma”, o più semplicemente “operatori”, definizione ancora oggi ampiamente usata nell’ambito delle Forze Speciali, dove chi materialmente segue l’azione operativa di attacco viene chiamato “operatore”.

Si erano addestrati segretamente vicino a Lucca, nella Scuola Piloti di Bocca di Serchio, un vecchio cascinale generosamente prestato dai Duchi Salviati nella tenuta di Migliarino; era talmente occulta che il Re venne ne venne informato solamente quando era in soggiorno a San Rossore nell’estate del ’41 e volle visitare “gli uomini siluro” traghettando il Serchio.

Una giornata di visita del Re Vittorio Emanuele III.

Neanche l’Intelligente Service britannico la trovò mai, nonostante la cercasse con pervicacia.

L’attività a Bocca di Serchio era piuttosto semplice; di giorno una ventina di operatori in borghese, conduceva una vita di relax e spensieratezza; giocavano a pallavolo, andavano a caccia, bocce e tennis, non disdegnavano puntate gastronomiche alla trattoria del Buonamico a Viareggio.

Ma la notte si cambiavano velocemente indossando le mute stagne, “il vestito Belloni”, dal nome del suo ideatore e i respiratori A.R.O., che impedivano la fuoriuscita di bolle rivelatrici in superfice.

Il “maiale” era il soprannome un pò volgare ma efficace che gli operatori subacquei avevano “affibbiato” al Siluro a Lenta Corsa, mentre li ormeggiavano con fatica nei fondali bassi del Serchio, in prossimità della palazzina squadrata del “locale batterie”.

“Lega quel «maiale» alla bitta!”.

Di fatto il Siluro a Lenta Corsa era un lungo tubo siluriforme che era propulso da un motore elettrico con elica posteriore; gli operatori lo “cavalcavano” da sopra con due posti di pilotaggio scoperti.

Il “maiale” poteva immergersi o navigare in emersione grazie a delle casse compensatrici di assetto. La punta del “maiale” era una grossa carica di esplosivo autarchico da due quintali e mezzo di Tritonital, un esplosivo potentissimo.

La tecnica operativa era semplice ed efficace.

Bastava arrivare sotto la nave, staccare la testa esplosiva, fissarla con un cavo metallico alle alette antirollio che tutte le navi hanno sotto la linea di galleggiamento, regolare la spoletta e andarsene. L’esplosione sotto la linea di galleggiamento avrebbe provocato una grossa falla nello scafo e l’affondamento.

Anche fin facile. A parole.

Il problema era farlo di notte; in acqua non c’è l’illuminazione pubblica, fari neanche a parlarne e quindi non si vede niente. Ma niente niente!

Buio inchiostro. Si va a tentoni.

Giusto per complicare la faccenda, normalmente le navi da battaglia sono protette da grosse e pesanti reti metalliche antisiluro che arrivano sul fondo.

Per questo uno degli esercizi basici richiesti agli operatori era il sollevamento dal fondo della rete metallica per far passare il maiale… oppure il taglio delle maglie con delle robuste e pesantissime pinze.

Non è uno scherzo.

Al buio completo, trovare la rete dopo una navigazione notturna sott’acqua respirando a fatica, scendere di quota sul fondo, fermarsi, scendere dal “maiale”, sollevare o tagliare le maglie della rete di ferro, che pesano decine di chili senza far rumore, ritrovare il maiale, farlo passare sotto la rete, poi arrivare sotto la nave, riemergere per verificare che sia quella giusta (di notte tutte le navi nel porto sono uguali…), ridiscendere, quindi fissare un cavo metallico con dei morsetti a vite alle alette antirollio sotto la carena, staccare la pesante testa esplosiva e assicurarla alla catena sotto lo scafo; regolare la spoletta (nel buio…) a tempo, risalire sul “maiale” sperando che vada in moto, e allontanarsi velocemente perché l’onda esplosiva sarebbe devastante sott’acqua, cercando di arrivare al punto di scampo.

Sembra facile. A parole.

Torniamo alla sera del 17 dicembre 1941; caricate al massimo aria ed energia elettrica, lo Scirè attraversa gli sbarramenti minati sempre in immersione, ed emerge nel punto previsto, 1.3 miglia nautiche a 356° dal fanale di Alessandria.

I sei operatori a cavalcione dei “maiali”, lasciano lo “Scirè” dopo aver ricevuto un calcione “beneaugurale” nel sedere da parte del Principe VJB (…son vecchie tradizioni marinare…), e si immergono per attaccare la base di Alessandria.

Il SLC 221 ha l’equipaggio composto dal Tenente di Vascello Luigi Durand De La Penne e dal Capo Palombaro Emilio Bianchi.

Obiettivo: la Corazzata HMS Valiant da 27.500 T.

Sul maiale 222 il Capitano Genio Navale Antonio Marceglia e il Sottocapo Palombaro Spartaco Schergat; Obiettivo la HMS Queen Elisabeth da 33.500 T.

Sul 223 il Capitano Armi Navali Vincenzo Martellotta con il Capo Palombaro Mario Marino; obiettivo la petroliera Sagona da 7.750 T.

L’esplosione danneggerà gravemente anche il cacciatorpediniere Jervis da 1.690 T ormeggiato di fianco alla Sagona. Quattro navi con tre cariche!

La nave da battaglia HMS Queen Elisabeth ormeggiata nel porto di Alessandria circondata dalle reti protettive antisiluro.

L’azione ebbe successo. Un successo insperato!

Approfittando dell’ingresso in porto di tre cacciatorpediniere britannici, i tre “maiali” riuscirono a trafilare dentro le navi senza essere visti, semplicemente accodandosi.

Arrivarono sotto i loro obiettivi.

Con grandi difficoltà Durand de la Penne riuscì a assicurare la carica sotto la nave. Il suo “coppio” Emilio Bianchi aveva avuto un malfunzionamento del respiratore mentre operavano sul basso fondale, e dovette riemergere per respirare. Si appollaiò su una boa galleggiante e li fu catturato.

Poco dopo riemerse, per malfunzionamento, anche De la Penne, e fu catturato anche lui. Furono interrogati piuttosto pesantemente dai marinai inglesi (leggasi “briscolati” bell’ammodo), e siccome non parlavano, furono rinchiusi in due celle nella parte bassa della nave.

Poco prima dell’esplosione prevista per le prime ore del 19 dicembre 1941, Durand de La Penne ricalcando in pieno il nobile spirito della tradizione marinara italiana, chiese di parlare con il comandante inglese.

Il dialogo fu più o meno questo: “Comandante, la nave è minata e tra poco salterà; non faccia morire i suoi uomini inutilmente, li sbarchi subito, non avete il tempo materiale per rimuovere le cariche. Noi affondiamo il ferro nemico, non uccidiamo inutilmente”.

Infatti a fronte dell’eccezionale tonnellaggio bellico affondato, saranno solo 8 le vittime inglesi alla fine!

Il Commodoro Sir Charles Morgan capì e fece evacuare la nave, ma arrabbiato bell’ammodo, fece rinchiudere i due operatori nella parte più bassa della nave, sotto la linea di galleggiamento, in maniera da fargli paura e costringerli così a rivelare dove era posizionata la carica.

Si, ciao core!

Lo squarcio della Valiant.

Alle 6 del mattino la fortissima esplosione, tra l’altro divelse le porte delle celle e i due riuscirono a fuggire.

Ma furono subito ripresi dagli inglesi e rinchiusi in un campo di concentramento.

Anche gli altri operatori riuscirono ad affondare i loro obiettivi!

Successivamente purtroppo le cose per i nostri operatori non andarono molto bene.

Uno degli equipaggi ce la fece ad arrivare sulla costa egiziana, vestito con abiti civili; andarono ad acquistare del cibo, ma pagarono con banconote fuori corso che gli aveva fornito il nostro efficientissimo Servizio Informazioni Militare (sic…!); per questo furono subito sgamati e messi al gabbio.

L’altro equipaggio fu catturato il giorno successivo.

A bordo della Valiant era imbarcato il Principe Filippo D’Edimburgo. Anni dopo nel corso di una cerimonia al Quirinale, incontrerà de La Penne e tutto ammirato gli dirà: “Lo sa che io ero imbarcato sopra la nave?” Chiese il Principe.

Io invece ero sotto” rispose Durand de La Penne. Fine delle trasmissioni.

L’impresa comunque ebbe un successo incredibile.

Emblematiche le parole registrate del Premier Sir W. Churchill quando venne informato al mattino del pesante disastro: «…l’intera flotta da battaglia nel Mediterraneo orientale è stata eliminata come forza combattente»

Lo sguardo “preoccupato” del Premier U.K.

E ancora successivamente: «…sei italiani equipaggiati con materiali di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare in Mediterraneo a vantaggio dell’Asse…» (Winston Churchill).

Il 1st Battle Squadron della Mediterranean Fleet, tradizionale fiore all’occhiello della Royal Navy, non esiste più dal dicembre 1941.

L’Ammiragliato inglese ad Alessandria, approfittando che le due navi si erano di fatto appoggiate (inefficienti) sul basso fondale, fece continuare le normali operazioni di alzabandiera e lavaggio ponte, in modo da dare l’idea alla ricognizione aerea di un insuccesso italiano. Ma i lavori di recupero durarono mesi e la mancanza delle navi si avvertì in pieno!

Il valore dei nostri eroi fu apprezzato paradossalmente di più da chi subì la loro azione. Tre anni dopo, i sei protagonisti dell’impresa vennero decorati a Taranto con la Medaglia d’Oro al Valor Militare in modo del tutto singolare: ad appuntare la medaglia sul loro petto fu proprio il Commodoro Sir Charles Morgan, già comandante della HMS Valiant al tempo dell’operazione!

Il Capo Palombaro Emilio Bianchi M.O.V.M. fu poi promosso Ufficiale ed è morto all’età di 103 anni a Torre del Lago (LU) dove viveva. Ho avuto l’onore di partecipare al suo funerale il 15 ago. 2015.

Il Ministro della Difesa di allora On. Binotti dirà di lui: “Si è spento oggi l’ultimo degli eroi dell’impresa di Alessandria d’Egitto, dove il coraggio e l’ardimento permisero di ottenere altissimi risultati”.

PS:

per dare una idea dell’eccezionale valore operativo di questi subacquei, basti dire che il nascente Stato di Israele, nel ‘48 farà addestrare i suoi operatori subacquei proprio da alcuni veterani italiani degli Uomini Gamma chiamati appositamente.

Vittorio Lino Biondi
Vittorio Lino Biondi
Sono un Colonnello dell'Esercito Italiano, in Riserva: ho prestato servizio nella Brigata Paracadutisti Folgore e presso il Comando Forze Speciali dell'Esercito. Ho partecipato a varie missioni: Libano, Irak, Somalia, Bosnia, Kosovo Albania Afganistan. Sono infine un cultore di Storia Militare.

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3 Commenti

  1. Io ho avuto l’onore di incontrare più di una volta, assieme ad altri amici ex M.M. Emilio Bianchi e prendere un caffe preparato dalla sorella, mentre ascoltavamo attenti, dalla sua voce, le descrizioni e le risposte ai nostri quesiti.
    Mi si stringe il cuore a vedere strumentalizzati questi uomini e le loro imprese di valore per meri scopi nostalgici e di partito che nulla c’entrano con la democrazia conquistata grazie anche al loro sacrificio. Mi mette in imbarazzo vedere certi uomini a cui lo stato affida la difesa delle proprie doti e interessi, comportarsi come adolescenti che vogliono giocare ancora “a mosca ceca” perché non hanno assimilato la maturità che i tempi impongono. V

  2. Mi ricordo che l’ammiraglio Gino Birindelli che noi di CINCNAV chiamavamo “il Birindo” in una intervista disse che i primi motori dei “Maiali” erano motori a corrente continua degli ascensori, opportunamente isolati per funzionare sott’acqua. V

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