Dagli errori del democratico Clinton all’America first supposta da Trump

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Prodi contro Prodi. Il professor Franco Prodi, che per venti anni ha diretto il massimo Istituto di ricerca del CNR per le scienze dell’atmosfera e del clima, in una lettera al quotidiano IL FOGLIO scrive che lunedì 20 gennaio ha telefonato al fratello Romano Prodi per commentare i convegni della domenica, a Milano e Orvieto, quelli organizzati dai cattolici di centrosinistra a guida Pd, – che loro considerano, a quanto pare, di sinistracentro (senza trattino, come diceva Cossiga). E qui, per cominciare, uno potrebbe chiedersi: c’erano una volta la Quercia e la Margherita, e allora perché sono stati unificati? È stato un errore? È stato Veltroni sospinto dai democratici americani e dai socialdemocratici tedeschi? E inoltre: è solo una questione di potere?

Torniamo ai fratelli Prodi. Il professor Franco si aspettava che il tema “cambiamento climatico” avrebbe dovuto avere una priorità assoluta nei suddetti convegni al fine di trovare convergenze che portino il Pd alle prossime elezioni. “Quale occasione migliore per mettere in discussione la folle politica di zero emissioni che comincia a produrre disastri già evidenti, e mettono in crisi l’Europa?”. Già nota è la posizione dell’illustre docente: è una menzogna affermare che la responsabilità del cambiamento climatico è dell’uomo, e invece altri sono i fattori – astrofisici, astronomici, costituenti atmosferici. In tal senso nel 2018 cento esperti firmarono una petizione (“non c’è emergenza climatica”), e poi ci furono analoghe dichiarazioni di duemila scienziati.

Combinazione ha voluto che lo stesso giorno il Partito Popolare Europeo per la prima volta ha messo in discussione le politiche climatiche dell’Unione europea: il partito, infatti, in un documento ufficiale, apre una fase nuova e rappresenta appunto la risposta del PPE ai grandi cambiamenti in atto nell’elettorato e anche a Donald Trump proprio nel giorno dell’insediamento. Il problema è la complessità dell’argomento e il metodo con il quale viene affrontato (come da trent’anni non si fa più) e cioè con buon senso, analisi scientifiche, approfondimenti e confronti fra scienziati seri e competenti, e non quelli che per vari motivi la sparano più grossa o seguono le mode del momento. Soprattutto in periodi difficili come stiamo attraversando prudenza e saggezza sono fondamentali, come nel secondo dopoguerra: la classe dirigente di quell’epoca progrediva razionalmente, con equilibrio e gradualità; anche per questo veniva premiata, senza rischi avventuristici e decisioni affrettate. Detto chiaramente, evitando gli errori fatti da alcuni democratici americani, a cominciare da Clinton.

In Italia ci vuole una notevole onestà intellettuale per ammetterlo però qualcuno comincia. Citiamo come esempio il libro “In trappola” del noto manager Franco Bernabè, uscito pochi mesi fa (prima dell’elezione di Trump), dove già all’inizio si legge: “la presidenza Clinton è stata uno spartiacque tra il vecchio e il nuovo mondo; ma nel senso opposto a quello che sostiene la vulgata progressista”: con Clinton è cominciato il declino dell’Occidente e soprattutto il declino della democrazia.

Parole pesanti, subito dopo ben spiegate: nel corso dei suoi due mandati Clinton fa la vera rivoluzione capitalistica, con quattro filoni di intervento, che poi hanno segnato profondamente le politiche degli altri governi occidentali – la liberalizzazione dei mercati finanziari, la totale deregolamentazione della tecnologia, lo smantellamento dei meccanismi di protezione sociale introdotti addirittura da Roosvelt (1929), l’ammissione della Cina al Wto. Cerchiamo di capirci: Roosvelt riteneva necessario difendere piccola e media borghesia, il piccolo commercio, contadini e operai; la Cina, che aveva un Pil di 1300 miliardi di dollari, l’ha aumentato almeno di quindici volte e oggi in pratica è la manifattura dell’intero mondo! Ecco la sintesi di copertina di “In trappola” (ed. Solferino), definita un’analisi puntuale e brillante degli ultimi trent’anni: “Il processo di involuzione dell’Occidente che porta alla crisi di oggi parte con Clinton e i teorici della terza via. Si è pensato, sbagliando, di poter fare a meno della manifattura e di mettere al centro del sistema economico finanza e tecnologia, considerando i diritti civili più importanti di quelli economici”. Suicidio occidentale, scriveva d’altra parte tre anni fa il giornalista esperto d’America Federico Rampini (ha votato la Harris ma professionalmente le azzecca). E poi qualcuno ancora si chiede perché ha stravinto Trump…

E infatti tanto Trump tuonò che piovve. Nemmeno a sorpresa, se ci fermiamo un momento a riflettere ancora sulla caduta delle democrazie occidentali, sulle aperture frettolose di Clinton di cui ora beneficiano le autocrazie, e sui media italiani che hanno sbagliato valutazione sul tycoon. Questo potrebbe essere dunque un anno di cambiamenti da risultare decisivi? Staremo a vedere, non siamo ottimisti. Per riassumere: abbiamo capito che è più saggio procedere gradualmente? Ed è chiaro che bisogna ripartire da dove ci siamo interrotti? Il trattato di Lisbona ha certificato il tramonto dell’idea di Unione Europea federata e allora perché non ripartire proprio da lì. Semplificando, i paesi interessati potrebbero intanto cominciare a porsi domande: in ogni Nazione Ue come uniformare il sistema fiscale e i servizi finanziari omogenei? E i prezzi equivalenti per l’energia? E le altre normative in comune? Sono i primi esempi, chi è d’accordo entra a far parte, altrimenti si continua a menare il can per l’aia e il rischio della disintegrazione è dietro l’angolo.

Nel frattempo invece in Italia è quasi certo che destra e sinistra continueranno a sorreggersi a vicenda, in un clima da stadio: cominciano a capirlo in molti proprio calandosi nelle pieghe della propaganda, con la spettacolarizzazione degli show, dove infatti basta spararle grosse come case e la presenza è assicurata. Pronti a scommettere che Trump prima o poi annuncerà la sua candidatura su Marte fra quattro anni, dove intanto saranno emigrati due milioni di americani. E le tv apriranno il dibattito: se vincesse, la Meloni andrebbe al suo insediamento senza informare Ursula?

Lettore 46

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