Negli ultimi giorni sono state annunciate una serie di manifestazioni per la pace.
La pace.
Obiettivo nobilissimo.
Chi vuole la guerra? Sono convinto che nessuno abbia risposto «sì!», che vuole la guerra. È questo il bello delle domande retoriche: hanno sempre un consenso larghissimo.
Le cose si guastano quando proviamo a trasformare questi nobili intenti in atti concreti. E questo è il brutto della realtà: che sciupa le idee “alte” e “pure” con volgari dettagli quali la ragione e le conseguenze delle azioni.
La pace non si consegue permettendo che un popolo sia conquistato da un dittatore con la forza delle armi. Perché non c’è pace tra uno schiavo e il suo padrone. Perché non si può essere pacifisti accettando che il prezzo per un nostro benessere, morale e materiale, è un popolo oppresso.
Non c’è pace predatore e preda.
Mandare le armi (solo con raggio di azione limitato; non i soldati) è stato il modo per minimizzare il coinvolgimento del mondo in un contesto di guerra di invasione. È stato un modo per far sì che la preda ucraina avesse degli artigli (pur impari) con cui difendersi da un predatore russo molto più armato, molto più aggressivo, molto più crudele.
Lo sappiamo tutti ma è utile ripeterlo: se la Russia non avesse invaso l’Ucraina ripetutamente (nel 2014 con la Crimea, negli anni successivi con il Donbass, nel febbraio scorso con tutto il territorio), nessuno mai avrebbe neppure sognato di attaccare la Russia. E neppure oggi nessuno mai si immagina di superare di un millimetro il confine precedente. Quindi tutte le scuse per cui «l’operazione speciale» sarebbe motivata dalla protezione dei confini o da quanto stava maturando in Ucraina, sono manifestamente infondate. Non la NATO ha mai pensato, a nessun livello, di poter in qualsiasi modo agire all’interno dei confini della Russia. Figuriamoci poi se pure uno solo dei paesi aderenti ha mai considerato di poterla aggredire militarmente. Meno che mai, poi, la “piccola” Ucraina poteva essere un pericolo per la Russia. Tanto che i generali russi pensavano (sbagliando) di poterla conquistare in una settimana.
Quindi, se la parte con cui riusciamo a parlare (e che “dipende” da noi) è quella aggredita, e non l’aggressore, che cosa possiamo realmente pensare di fare per favorire la pace? Quale ne è il prezzo?
Se il prezzo sono intere popolazioni (di Kherson, Lugansk, Donetsk e Zaporizhzhia che si aggiungono a quelle della Crimea che l’occidente aveva già abbandonato) lasciate in mano al potere di Putin, è questo un prezzo accettabile?
Un normale senso di umanità di dice che «no!» non è un prezzo accettabile. La pace non si può fondare sul sangue versato, non già di chi combatte per la sua libertà, ma di persone abbandonate a sé stesse per garantire a noi di poter chiudere questa incresciosa situazione. E magari di tornare a comprare gas dai russi come se nulla fosse accaduto.
Inoltre, se l’esperienza della Crimea ci ha insegnato qualche cosa, sarebbe pure inutile. Anzi controproducente, visto che è più che probabile che proprio la facilità con cui abbiamo accettato l’invasione della Crimea del 2014, continuando a comprare gas come prima e foraggiare il potere di Putin, ha incoraggiato quest’ultimo a credere che l’occidente non avrebbe fatto nulla neppure questa volta.
Non possiamo vendere la pelle degli altri per comprare il nostro benessere.
Possiamo, allora, tagliare le forniture di armi? È un modo ancora più subdolo di vendere la pelle degli ucraini. Vuol dire spuntare gli artigli della preda così che sia il predatore a fare il lavoro sporco mentre noi ci giriamo dall’altra parte.
L’unica cosa che possiamo fare, per la pace, è sostenere gli sforzi di chi si difende, e muore mentre lo fa, cercando di non permettere che la guerra si allarghi ad altri confini. Assicurargli che noi saremo al suo fianco fino a che potrà resistere. Che lo aiuteremo a rialzarsi quando questa guerra finirà.
Mi auguro che nelle manifestazioni di piazza verranno fatte, ci si ricorderà che dire frasi come «”costringere” Zelensky e Putin e sedersi ad un tavolo per la pace» senza specificare che le condizioni della pace per noi le deve dettare Zelensky, equivale a dire che delle persone perderanno la casa (dovendo abbandonarla per fuggire), o perderanno la liberà (dovendo restare sotto il giogo di Putin) o perderanno la vita (se saranno considerate non affidabili o filo ucraine come è già successo con le decine di fosse comuni scoperte).
Mi auguro che alle manifestazioni non prevalga l’egoismo mascherato da pii desideri ma il senso di umanità che non ci permette di abbandonare un popolo per avere in cambio il “nostro” gas.
Mi auguro che chi vuole essere leader non usi la sua visibilità per soffiare sul fuoco della demagogia irresponsabile ed egoistica ma sappia pesare le proprie parole pensando a come poter veramente ottenere una pace giusta. Che poi è l’unica pace vera, l’unica che possa durare.
Perché volere la pace senza se e senza ma è o un modo per nascondere, a sé stessi prima ancora che agli altri, i problemi insiti in un tale obiettivo, o è la via per il più vile dei tradimenti.
Faccio, a me e a noi tutti, questi tre auguri ma, onestamente, dubito che accadrà…
Foto di DISPLACED BY DESIGN da Pexels
Purtroppo oggi in Italia ed in Europa si sente spesso dire “Pace ad ogni costo”e si stanno organizzando manifestazioni che, sotto la bandiera arcobaleno, mettono in pratica sullo stesso piano aggredito e aggressore. Mi sono spesso chiesto se dietro questo stravagante, incomprensibile atteggiamento non ci sia la longa manus dell’ambasciata russa e di occulti finanziamenti provenienti da Mosca. Oppure che da parte di alcuni partiti, in primis i 5 stelle, ma fino a ieri anche la lega, per non parlare di Berluscon e dell’amico Putin, non si cerchi di raccattare il consenso di quanti temono le conseguenze di una guerra che è bene ripeterlo è stata voluta, pensata e scatenata dal regime autocratico del Cremlino e che viene portata avanti con una ferocia che ci riporta indietro alle peggiori atrocità della seconda guerra mondiale.