C’era una volta il comunismo. Era un ideale. Anche un’utopia. Per alcuni un incubo.
Ma aveva un volto indubbiamente affascinante.
L’idea che tutti potessimo essere davvero uguali. Che non ci fosse chi era sfacciatamente ricco e chi era paurosamente povero. Che tutti avessero una opportunità per realizzarsi in un mondo veramente equo.
Una chimera? Certo.
Una falsità? Per molti aspetti, anche.
Le critiche che gli sono sempre cadute addosso non erano legate all’obiettivo, ma al mezzo per raggiungerlo. Le voci più attente contestavano anche l’irrealisticità dello stesso rispetto a come è fatto davvero l’essere umano. La consapevolezza, cioè, che il comunismo non fosse un percorso al termine del quale le persone avrebbero potuto trovare una felicità ma solo un percorso che porta all’alienazione dell’uomo dal proprio spirito.
Il condimento del comunismo era una forma di illuminismo che faceva dell’ateismo una religione di Stato, dello Stato una Chiesa di popolo e del partito una Casta Sacerdotale, con tutti i privilegi che questa ha sempre avuto nelle ere della storia. Quel condimento contribuiva a fare del comunismo «incarnato» un pericoloso sistema che distruggeva la libertà, uccideva la voglia di impegnarsi e il civismo, trasformava i cittadini in sudditi e, inevitabilmente, tradiva quei principi la cui iniziale enunciazione era così affascinante.
E questo sono stati, e sono tutt’ora, tutti i regimi comunisti che si sono affacciati sulla superficie della terra.
Eppure…
Quel messaggio era potente. Indubbiamente potente. Capace di attrarre popoli interi, intere nazioni.
Così simile (ma nel profondo anche così diverso!) al messaggio del cristianesimo. Così capace di scaldare i cuori.
Poi è crollato. Il muro di Berlino, certo, ma con esso anche l’età dell’innocenza. Quella in cui si faceva finta di credere che il mondo «di là» fosse meglio di quello che veniva raccontato a che stava «di qua». Che una parte, almeno una parte, del sogno fosse stato realtà. Ma, caduto il muro, tutti poterono vedere che il racconto delle brutture del regime era pure minore della bruttura della realtà.
E il comunismo, come tale, progressivamente sparì dalla narrazione civile. Almeno nei paesi avanzati, ricchi, democratici.
Ma sparendo ha lasciato il posto ad un vuoto. Ad un bisogno di idealità. Ad un bisogno di una dimensione onirica in cui essere più buoni. In cui essere migliori.
Questo bisogno ha animato la sinistra in tutto il mondo. Quella sinistra che, rimasta orfana dell’ideologia comunista, non si è rassegnata alla «razionalità borghese» e ha chiesto a gran voce un nuovo sogno, un nuovo scenario, una nuova rivoluzione.
Ma il mondo non aveva elaborato una nuova ideologia. C’era, naturalmente, ancora la buona vecchia proposta cristiana, con il suo impegno per «l’altro» e la sua ascetica fratellanza. Ma era troppo radicale e al tempo stesso troppo poco nuova, troppo affine alla vecchia ideologia e al tempo stesso troppo avversata nel passato, troppo strutturata e celebrale e al tempo stesso troppo poco sostenuta anche dai suoi adepti, per essere una prospettiva per il domani. Così è stato più facile, per quel mondo culturale, aprirsi all’Islam e ancora più facile accettare Scientology o il Buddismo o il Taoismo che non la dimensione cristiana.
Ma nulla di tutto questo può essere una dimensione unificante, una prospettiva per il futuro. Nulla di tutto questo può chiamare le genti come «il sol dell’avvenire».
E la sinistra vive, tutt’ora, il lutto della sconfitta; veste, tutt’ora, le gramaglie della perdita e dell’abbandono.
In tutto questo ha cercato nuovi obiettivi, nuove centralità, nuove identità. Le ha cercate senza il supporto di un sistema di principi che potesse guidarla e si è lanciata in un’involuzione piena di contraddizioni.
Incapace di guardarsi indietro. Incapace di vedere che l’avversato sistema occidentale ha creato benessere; ha superato tanti problemi; ha ridotto le disuguaglianze. Incapace, soprattutto, di accettare che il cambiamento, lento e incostante, certo, ma comunque presente ed efficace, prodotto dalle società occidentali, anche grazie allo stimolo delle sinistre, è giusto dirlo, è anche frutto di quella ispirazione che era, ed è,il pensiero cristiano. Che ha intessuto la nostra cultura, che la ha ispirata e ne ha definito le pagine più belle.
Incapace, soprattutto, di fare a meno di un ateismo che non ha ragione di essere ma che è l’ultimo legame affettivo e culturale con il vecchio comunismo. Ateismo che poi, ironia della storia, aveva ereditato dal liberismo illuminista…
La sinistra è diventata così la roccaforte delle più strampalate battaglie, delle teorie più contorte e irrealiste, delle contraddizioni più stridenti.
Oggi non è più radicata nelle classi sociali più povere (ma lo è mai stata davvero? Non lo era, in fondo anche allora, più la chiesa e la DC?). Oggi è il partito delle ZTL, dei ben pensanti, delle star del cinema, dei professori universitari. Di chi, cioè, trovata ogni soddisfazione nel sogno occidentale, magari raggiunta anche non negandosi qualche scorrettezza o forzatura, cerca un ambiente di «buoni sentimenti» per un lavaggio dell’anima a buon mercato.
La sinistra senza principi è persa. È un cieco che viaggia per via inciampando e senza meta. Ma l’ideologia del nuovismo e del progressismo non è una ispirazione o un ideale: è solo una benda che porta la sinistra alla parodia del proprio passato.
Foto di Mohit Chanderh
Andrea Bicocchi @Andrea_Bicocchi
Parole sante, mi limito soltanto ad aggiungere che bastava leggere il capolavoro di G.Orwell “Animal Farm” scritto già negli anni 30 per sapere come sarebbe andata a finira
Grande Bicocchi!!! Analisi perfetta!!