Nei sotterranei del quotidiano e nell’arte della Compagnia del Teatro del Carretto, da Lucca verso il mondo
Quando camminiamo per le nostre strade, non ci soffermiamo mai abbastanza a pensare a cosa scorra sotto la loro superficie. Fognature, resti romani – nelle città urbane tipo Lucca – , o idrauliche psichiche, nelle città invisibili di ciò che “siamo”.
Non ci soffermiamo e il perché non è da chiederselo adesso, non ci soffermiamo nemmeno quando sono altri ospiti in transito a sfiorare le nostre porte e finestre, ovvero il nostro modo di esprimerci e di guardare.
Un esercizio visionario, invece, l’andare oltre il perimetro dell’evidenza, che aumenterebbe o accenderebbe la consapevolezza della rete non virtuale ma reale, ed organica, di segnali chimici e impalpabili dell’essere vita, ed dell’essere umano. Un esercizio fortemente “democratico” eppure anche diversamente democratico, perché c’è una sfumatura di assolutismo nel capire che ognuno è unico di ciò che non manifesta. L’invisibile che vive nelle “trame” della realtà e che alimenta, ingolosisce, esaspera, denutre o ingrassa il nostro immaginario ci rende drasticamente uguali eppure diversi : i desideri, gli incubi, i chiodi arrugginiti interiori, i vetri rotti, il sale ammuffito delle rinunce e degli abbandoni inconsapevoli.
Di questo si occupa il teatro, ti fa vedere ciò che non si vede, sembrare non vero ciò che invece lo è. O viceversa. Semplicemente perché nelle circo-stanze caotiche del viverci come persone, la verità e il suo opposto sono unite da una relazione omosessuale e complicata.
A Lucca abbiamo da oltre 30 anni, insieme ad altre realtà di grande rispetto, una Compagnia che è rimasta alfiere di questa relazione e quindi della cultura di fare ed essere Teatro.
La Compagnia del Teatro del Carretto, che dal 2019 ha iniziato una nuova fase di produzione, con la rilettura de La Tempesta di Shakespeare grazie all’invenzione musicale e registica di Giacomo Vezzani, per tutta l’estate ha offerto, nelle Piazze della Città, frammenti della loro pregiata storia di racconto e visione dell’invisibile. Un “viaggio” che ha trovato una sua punta di diamante nella straordinaria produzione di “Caligola – Underdog/Upset”, che ha debuttato sabato scorso a Rovigo ne corso del Festival “Opera Prima” ed è andato in scena nei sotterranei di LUcca – giusto appunto – in anteprima. I sotterrai dell’Orto Botanico, con un clamoroso talento come Ian Gualdiani e l’onorevole debutto alla regia di Jonhatan Bertolai.
Tutto ciò che di più estremo abbiamo in noi, e che è sintesi di equilibri precari e compromessi più o meno ben riusciti il teatro lo “denuncia”, lo svela, se ne fa a volte beffe altre ferita cronica.
Ognuno di noi ha un confine, e all’estremo di esso c’è la parte più remota di noi. Una parte di noi abbandonata, mai ascoltata, e quindi violenta per reazione. All’estremo del nostro invisibile c’è un Caligola .
C’è un imperatore sadico, un folle razionale, un ferito a morte che della morte ( i cari autosabotaggi psichici) si fa arbitro assoluto ed esecutore.
C’è un nazista spaventato dentro ognuno di noi? Forse. C’è qualcuno che ha amato tanto qualcosa, anche fosse solo la propria ombra, un’emozione, un ricordo, un’idea, la luna.. e l’ha persa, sentendo quella perdita come la più grande delle promesse non mantenute.
La messinscena, vagamente ispirata al “Caligola” di Albert Camus (autore, non a caso, de “La Peste”), è un regalo perché nella nostra era pandemica – pandemia di idiozia, di analfabetismo funzionale, di estremismi imbronciati, di omofobie e razzismi spregevoli, di estetismo fumogeno.
“Il desiderio che ha guidato lo studio e la drammaturgia di questo nuovo progetto nasce nella primavera 2019”, spiega il regista, “ben prima della pandemia che ci ha colpiti, e ha trovato in questi mesi nuovi motivi di urgenza. La scelta di questo personaggio e dei suoi drammi interiori, trae origine dalla necessità di indagare il mondo giovanile con la sua fragilità e il disagio esistenziale nei confronti del futuro, temi, in particolare quest’ultimo, che ora si rivelano di ancora più scottante attualità, innestandosi in un panorama caratterizzato da un’incertezza globale in termini economici, politici e culturali, oltre che sanitari.
Così come Caligola voleva “semplicemente” la luna, anche al giorno d’oggi le nuove generazioni si scontrano con un mondo assurdo, nel quale devono conquistare il loro diritto di esistere e di emergere, a partire da un contesto a loro completamente sfavorevole. Devono combattere come se fossero su un ring, e, per continuare in questa metafora, come un pugile dato per sfavorito (underdog) a volte riescono con determinazione e follia a ribaltare i pronostici (upset).”
Il Caligola racconta della tragedia immortale dei meccanismi di potere tra esseri umani. Gli istrionismi e la complessità dell’imperatore romano reso pazzo dalla morte di Drusilla, la sua sorella-amante, sono il delirio della “melma scura e oscura” delle nostre repressioni, oppressioni, ostinati e reiterati fallimenti di essere umani “liberi”.
La messinscena è un dramma psicologico calato in un’atmosfera post industriale. Su una scena trapuntata di monitor e luci a neon, su cui si staglia un piedistallo e si schierano delle statuette-icone, passano video e inserti sonori che richiamano gli anni ’80 (ricordano ad esempio i video musicali dei Talking Heads) e scenografie che si ispirano alle opere multimediali di Bill Viola, creando una curiosa alternanza tra la tragicità dei temi trattati e il pop di questa estetica.
La molteplicità di suoni che si rincorrono nella sala e i contributi video che circondano il corpo dell’attore sono le mille voci del dissidio interiore di Caligola raccontati dalla notevole versatilità interpretativa di Ian Gualdani. La ricerca sonora di Hubert Westkemper – già sound designer di numerosi artisti internazionali di fama e del Teatro Del Carretto e premio Ubu 2005 e 2019 – rafforza l’alternanza fra il dissidio interiore e la freschezza dell’essere giovani.
Dice Jonathan Bertolai di questa nuova sfida: “È uno spettacolo che parla di questo tempo incerto che stiamo vivendo, un tempo che incede più velocemente della natura dell’uomo, costretto a rincorrere sé stesso, in una distanza ormai siderale. Caligola come noi fluttua smarrito nei meandri della sua mente cercando l’impossibile.”
Un guscio vuoto – questo smarrimento – da cui uscire e rinascere. Potrebbe essere questo il messaggio da decrittare (nemmeno troppo tra le righe) nei deliri dell’imperatore folle di Camus.
La dannazione di Caligola nasconde un sogno dentro un incubo: da qualche parte, sempre più lontana ma ancora intatta, riposa la chiave per riuscire a “liberarci” ( a liberare il “noi”, chiuso in perpetuo “lockdown”) a dirci e a dire ciò che sentiamo e quindi siamo. A rivelarci per quel che si è, nel bene e nel male.
C A L I G O L A
UNDERDOG/UPSET
Una produzione Teatro Del Carretto
Regia e drammaturgia: Jonathan Bertolai
Suono: Hubert Westkemper
Luci: Orlando Bolognesi
Con Ian Gualdani
Fonico: Luca Contini
Elementi scenici: Rosanna Monti
Scenotecnica: Giacomo Pecchia
Riprese video: Diego Granzetti, Giovanni Adorni
Foto credits e grafica: Manuela Giusto