Caso Toti: ha fatto bene il riesame a non mettere in libertà un colpevole?

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È indiscutibile: Toti appare colpevole. Non depongono a suo favore né l’atteggiamento durante le indagini, con il presidente che tiene lontano i telefoni apparentemente per non essere intercettato, né le sue frequentazioni. E certamente lasciano assai perplessi le “coincidenze” tra finanziamenti privati al suo movimento e particolari concessioni pubbliche. Per non parlare del modo in cui sollecitava i finanziamenti per il suo movimento. Infine, in questo processo mediatico, pesa molto anche una naturale antipatia che il personaggio sa ispirare. Quindi, sul piano mediatico, la partita pare già chiusa. Col ché anche la parabola politica pare destinata ad esaurirsi.

Fin qui quello che ciascuno è libero di pensare. Siamo pur sempre nell’alveo della libera opinione a cui un personaggio pubblico deve comunque sottoporsi e che ogni comune cittadino ha il diritto di esprimere.

Ma un pm o un gip o dei giudici non possono essere considerati comuni cittadini. E il loro operare deve essere conseguente a regole ben definite, non a libere opinioni.

Sono in molti, indubbiamente lontani da simpatie politiche verso il soggetto o verso la parte del centrodestra, ad aver storto ben più di un sopracciglio nel leggere le motivazioni del respingimento dell’istanza di revoca degli arresti domiciliari.

Sarebbe forse stato accettabile l’ipotesi che la conferma degli arresti domiciliari fosse un’esigenza dettata dalla possibilità di inquinamento delle prove grazie alla posizione ricoperta; ma i giudici, nel rigettare l’istanza di revoca degli arresti, lo hanno escluso. Hanno invece appuntato l’attenzione sul pericolo di reiterazione del reato.

Certo appare difficile credere che il soggetto possa reiterare alcunché vista l’attenzione mediatica che il fatto ha assunto e la virtuale certezza che ogni incontro con l’imputato sia “accompagnato” dalla presenza (diretta o indiretta) di rappresentanti delle forze dell’ordine. Sarebbe più prudente andare a letto con un malato di peste bubbonica che parlare di affari, anche legittimi, con Toti oggi.

In particolare, però, lasciano perplesse le motivazioni moraleggianti del dispositivo: quel riferimento paternalistico al fatto che “ha dimostrato di non aver compreso appieno la natura delle accuse”. Riferimento che anticipa, nel giudizio morale, il verdetto finale.

Personalmente nutro forti dubbi che la nostra magistratura debba assomigliare alla “polizia morale” iraniana. Personalmente preferirei che si muovesse all’interno di perimetri più freddi e oggettivi. Tipo quelli definiti nel codice penale e perimetrali dalla costituzione, per dire.

Mi lascia poi assai perplesso il fatto che l’implicita (ma poi neppure tanto implicita…) condizione per la concessione della libertà personale a colui che è ancora (fino ad un processo che non è neppure iniziato) un cittadino innocente, sia che si ritiri da una carica politica.

Da garantista quale sono, e so di essere parte di una minoranza in questo paese, ritengo che sia meglio che un colpevole la faccia franca piuttosto che un innocente finisca in prigione anche solo per un giorno.

Ritengo che la libertà di un cittadino sia il bene più prezioso che uno stato ha il dovere di conservare. Ben prima che garantirgli servizi comunque davvero essenziali come sanità e istruzione. E se è accettabile che uno stato privi un cittadino di questo diritto, questo fatto è ammissibile solo dopo che ne è stata dimostrata in modo incontestabile la colpevolezza. Non dopo un processo sommario, magari solo mediatico. E le ragioni di una condanna non dovranno mai essere la scarsa moralità dell’individuo né le sue convinzioni, ma precisi fatti che sono espressamente vietate da precise e chiare leggi. Leggi che, invece, troppo spesso nel caso dei reati della politica, sono vaghe nella definizione delle fattispecie e soggette a una libera interpretazione da parte della magistratura. Un infausto lascito di una stagione mai del tutto archiviata.

Ciò che io penso di Toti, fin dai tempi in cui affiancava Berlusconi con la prosopopea del professore delle medie che si rivolge ad una classe di bambini, non ha spazio nel giudizio sulla libertà di un uomo. E neppure quello che credo di aver capito dalle informazioni filtrate sulla stampa.

Se viviamo in uno stato di diritto, e voglio crederlo, l’unica cosa che conta è se l’uomo e colpevole. E l’unica dimostrazione di questo stato di colpevolezza è quella che emerge da un processo equo. Il che prevede i dovuti gradi di giudizio. Fin a quel momento sono pronto ad accettare che le persone sospette siano libere. E mi aspetto che la magistratura si astenga da giudizi morali e sommari.

Francamente di un rigurgito di Mani Pulite questo nostro paese non ha davvero bisogno.

Andrea Bicocchi
Andrea Bicocchi
Imprenditore, editore de "Lo Schermo", volontario. Mi piace approfondire le cose e ho un'insana passione per tutto quello che è tecnologia e innovazione. Sono anche convinto che la comunità in cui viviamo abbia bisogno dell'impegno e del lavoro di tutti e di ciascuno. Il mio impegno nel lavoro, nel sociale e ne Lo Schermo, riflettono questa mia visione del mondo.

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